Un soldato semplice aiutò Kassad a tirarsi in piedi. Kassad scrollò via il fango dal bastone di comando e si tolse dai piedi del plotone successivo che si materializzava attraverso il teleporter. La guerra continuò.
Fin dai primi minuti a Bressia Sud, Kassad capì che il Codice Neo-Bushido era morto. Ottantamila uomini della FORCE:terra, superbamente armati e addestrati, avanzarono dalle basi provvisorie e cercarono battaglia in una zona spopolata. Le forze degli Ouster si ritirarono dietro una linea di terra bruciata, lasciando solo trappole esplosive e cadaveri di civili. La FORCE usò i teleporter per superare in astuzia il nemico, per costringerlo a combattere. Gli Ouster risposero con uno sbarramento di armi nucleari e a plasma, intrappolando sotto campi di forza le truppe di fanteria, mentre i loro fanti si ritiravano per preparare difese intorno alle città e alle basi provvisorie delle navette.
Non ci furono rapide vittorie nello spazio a modificare l’equilibrio in Bressia Sud. Nonostante le finte e, a volte, qualche scontro feroce, gli Ouster mantennero il controllo completo di tutto, nel raggio di tre unità astronomiche da Bressia. I reparti della FORCE: spazio si ritirarono e si concentrarono nel mantenere la flotta a portata di teleporter e a difendere la balzonave primaria.
La prevista battaglia di due giorni ne durò trenta, poi sessanta. Le tattiche di guerra tornarono a essere quelle del Ventesimo o Ventunesimo secolo: lunghi e feroci scontri tra la polvere di mattone delle città e sopra i cadaveri dei civili. Agli originari ottantamila uomini della FORCE si aggiunse il rinforzo di altri centomila, che vennero a loro volta decimati quando altri duecentomila furono chiamati alle armi. Solo il fiero proposito di Meina Gladstone e di una decina d’altri senatori ben decisi mantenne viva la guerra e morenti le truppe, mentre miliardi di voci della Totalità e della Commissione di Consulenza IA chiedevano il disimpegno.
Kassad capì quasi subito il cambiamento di tattica. I suoi istinti di guerrigliero urbano erano tornati a galla ancora prima che gran parte della sua divisione fosse spazzata via nella battaglia di Stoneheap. Mentre gli altri comandanti della FORCE restavano quasi bloccati, indecisi per via della violazione del Codice Neo-Bushido, Kassad (al comando del suo reggimento e al comando temporaneo della divisione, dopo il bombardamento atomico del Gruppo Comando Delta) perdeva uomini per guadagnare tempo e chiedeva di usare le armi a fusione per favorire il contrattacco. Quando gli Ouster si ritirarono, novantasette giorni dopo che la FORCE “salvò” Bressia, Kassad si era guadagnato un nomignolo a doppio taglio: Macellaio di Bressia Sud. Correva voce che i suoi stessi soldati avessero terrore di lui.
E Kassad sognò lei, in sogni che erano qualcosa di più, e qualcosa di meno di sogni.
L’ultima notte della battaglia di Stoneheap, nel labirinto di tunnel tenebrosi in cui Kassad e i suoi gruppi di cacciatori-killer usavano armi soniche e gas T-5 per snidare i resti dei commando Ouster, il colonnello s’addormentò tra fiamme e grida e, nel sonno, sentì sulla guancia il tocco delle dita affusolate e sul petto la morbida pressione dei seni della sconosciuta.
La mattina dopo il bombardamento spaziale richiesto da Kassad, quando i soldati entrarono in Nuova Vienna seguendo i solchi lisci come il vetro e larghi venti metri che portavano nella città bombardata, Kassad aveva fissato senza battere ciglio le file di teste umane allineate sui marciapiedi, come a dare con il loro sguardo accusatore il benvenuto alle truppe di soccorso della FORCE. Kassad era tornato al suo VEM di comando e aveva chiuso i portelli; rannicchiato nella tiepida oscurità odorosa di gomma, di plastica surriscaldata e di ioni attivi, aveva sentito il mormorio di lei sopra la confusione dei canali C-3 e degli innesti di codifica.
La notte precedente la ritirata degli Ouster, Kassad lasciò la conferenza comando a bordo della AE Brazil, si teleportò al suo quartier generale fra i monti Indelebili a nord della valle Hyne e condusse sulla cima la vettura comando per assistere al bombardamento finale. L’atomica tattica più vicina cadde a quarantacinque chilometri da lui. Le bombe al plasma sbocciarono formando una griglia regolare di fiori arancione e rosso sangue. Kassad contò più di duecento colonne danzanti di luce verde, mentre le lance di frustalaser riducevano a brandelli il vasto altopiano. E anche prima d’addormentarsi, mentre se ne stava nel paravampa del VEM e si scuoteva dagli occhi le pallide postimmagini, lei arrivò. Indossava un abito celestino e camminava con passo lieve fra le morte piante di lappola, sul fianco della collina. La brezza sollevava l’orlo della stoffa leggera. Viso e braccia erano pallidi, quasi diafani. Lei lo chiamò per nome — Kassad quasi udì le parole — e poi la seconda ondata di bombardamenti rotolò nella piana più in basso e ogni cosa si perse nel frastuono e nelle fiammate.
Come spesso accade in un universo che sembra regolato dall’ironia, Fedmahn Kassad superò senza un graffio i novantasette giorni della guerra più sanguinosa che l’Egemonia avesse mai visto, per essere ferito due giorni dopo che gli ultimi Ouster si erano ritirati nelle navi-sciame in fuga. Si trovava nel palazzo del Centro Civico di Buckminster, uno dei tre edifici ancora in piedi, e stava rispondendo seccamente alle sciocche domande di un robocronista della Rete dei Mondi, quando una trappola esplosiva al plasma, poco più grande d’un microinterruttore, esplose quindici piani più su, scagliò in strada da una griglia d’areazione il giornalista e due aiutanti militari e seppellì lui sotto le macerie.
Kassad fu ricoverato nell’infermeria del quartier generale e poi teleportato nella balzonave in orbita intorno alla seconda luna di Bressia. Qui fu resuscitato e messo nell’apparecchiatura di ripristino totale, mentre i pezzi grossi militari e i politici dell’Egemonia decidevano quali provvedimenti prendere nei suoi confronti.
A causa del collegamento teleporter e dei servizi giornalistici in tempo reale, il colonnello Fedmahn Kassad divenne una sorta di cause célèbre. Chi era rimasto atterrito per la ferocia senza precedenti della campagna di Bressia Sud, sarebbe stato contento di vederlo davanti alla corte marziale e saperlo sotto processo per crimini di guerra. Ma il PFE Gladstone e molti altri ritenevano invece di dovere la salvezza a Kassad e agli altri comandanti della FORCE.
Alla fine, Kassad fu preso a bordo di una spin-nave ospedale per il lento ritorno nella Rete. Dal momento che la maggior parte delle cure fisiche sarebbe comunque avvenuta in crio-fuga, era sensato lasciare che le antiquate navi ospedale badassero ai feriti gravi e ai morti risuscitabili. Quando Kassad e gli altri pazienti avessero raggiunto i mondi della Rete, sarebbero stati pronti per riprendere il servizio attivo. Fatto ancora più importante, Kassad avrebbe accumulato un debito temporale di almeno diciotto mesi standard: a quel punto, era facile che eventuali controversie su di lui fossero già finite nel dimenticatoio.
Kassad si svegliò e scorse la sagoma scura di una donna china su di lui. Per un secondo fu sicuro che si trattasse di lei, ma poi si rese conto che era un medico della FORCE.
«Sono morto?» mormorò Kassad.
«Lo era» rispose la dottoressa. «Ora è a bordo della AE Merrick. È stato sottoposto alcune volte ai procedimenti di risurrezione e di rinnovamento fisiologico, ma di sicuro non se ne ricorda, per via dei postumi della crio-fuga. Siamo pronti a iniziare il prossimo passo di fisioterapia. Se la sente di provare a camminare?»