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L’enorme camera da letto che divido con Helenda si culla lievemente fra i rami di un albero-mondo di trecento metri, su Bosco Divino, il pianeta dei Templari, ed è collegata con il solarium che si trova invece nella solitudine dell’arido deserto di sale di Hebron. Non tutti i nostri panorami sono di terre selvagge: la sala dei media si apre in un modulo skimmer al 137° piano di una arco-torre su Tau Ceti Centro e la nostra veranda si trova su una terrazza prospiciente il mercato nella Città Vecchia dell’indaffarata Nuova Gerusalemme. L’architetto, uno studente del leggendario Millon DeHaVre, ha inserito nel progetto della casa alcuni piccoli scherzi: gli scalini scendono alla stanza torre, ovviamente, ma egualmente stramba è l’uscita dal nido d’aquila che porta alla palestra nel piano inferiore dell’Alveare più profondo di Lusus, o forse il bagno degli ospiti, che consiste in toilette, bidet, lavello e doccia, sistemati su una zattera aperta e senza parapetti, sul violaceo pianeta oceanico, Mare Infinitum.

All’inizio, i cambiamenti di gravità da stanza a stanza mi davano un senso di confusione, ma mi sono adattato in fretta: inconsciamente mi preparavo all’attrazione gravitazionale di Lusus, di Hebron e di Sol Draconis Septem, oppure anticipavo il senso di libertà della maggior parte delle stanze, dovuto alla gravità ridotta rispetto al normale 1 g.

Nei dieci mesi standard in cui Helenda e io stiamo insieme, trascorriamo poco tempo in casa; preferiamo muoverci con amici fra i luoghi di soggiorno, le arcologie di vacanza, i locali notturni della Rete dei Mondi. I nostri “amici” sono l’ex teleporter-set, che ora si definisce il Branco Caribù, dal nome d’un mammifero migratore della Vecchia Terra ora estinto. Questo branco consiste di altri scrittori, di alcuni artisti visuali di successo, di intellettuali del Concourse, di rappresentanti dei media della Totalità, di alcuni radicali ARNisti e dissettori di geni cosmetici, di aristocratici della Rete, di milionari patiti del teleporter e Flashback-dipendenti, di alcuni registi d’olofilm e di teatro, di una manciata di attori e di gente di spettacolo, di parecchi mammasaritissima della mafia diventati persone rispettabili, e di una sfilza a rotazione di celebrità del momento… me compreso.

Tutti bevono, usano stim e autoinnesti, si inseriscono nelle reti IA, possono permettersi le droghe migliori. La droga alla moda è il Flashback. Un vizio decisamente da classi alte: per sperimentarlo appieno occorre un’intera serie di costosi innesti. Helenda me l’ha procurata: biomonitor, estensori sensoriali, comlog interno, scambi neurali, eccitanti, processori metacorticali, emochip, tenie RNA… mia madre non avrebbe riconosciuto il mio interno.

Provo il Flashback due volte. La prima volta è una planata… scelgo come bersaglio la festa per il mio nono compleanno e con la prima salva la centro. C’è tutto: i servi che all’alba cantano sul prato nord, don Balthazar che a malincuore annulla le lezioni per farmi trascorrere la giornata sul VEM in compagnia di Amalfi a girare in gaio abbandono fra le dune grigie del Bacino delle Amazzoni; la processione serale a lume di torcia, mentre al crepuscolo i rappresentanti delle altre Vecchie Famiglie mi portano regali in involucri dai colori vivaci che brillano sotto la luna e le Diecimila Luci. Dopo nove ore di Flashback mi alzo con il sorriso sulle labbra. Il secondo viaggio rischia di uccidermi.

Ho quattro anni e piango, cerco mia madre nell’infinita serie di stanze che odorano di polvere e di vecchi mobili. Servandroidi cercano di consolarmi, ma io li respingo e corro nei corridoi sporchi d’ombra e del sudiciume di troppe generazioni. Infrango la prima regola appresa: spalanco la porta della stanza da cucito di Mamma, il sancta sanctorum in cui ogni pomeriggio si ritira per tre ore e da cui emerge con un lieve sorriso, mentre l’orlo della sua veste chiara fruscia sul tappeto come l’eco d’un sospiro di spettro.

Mamma siede lì dentro, fra le ombre. Ho quattro anni, mi sono ferito al dito e corro da lei, mi getto fra le sue braccia.

Mamma non reagisce. Un braccio elegante resta reclinato sullo schienale della sdraio, l’altro giace inerte sul cuscino.

Mi tiro indietro, scosso dalla gelida plasticità della sua posa. Apro le pesanti tende di velluto senza scendere dal grembo di lei.

Mamma mostra il bianco degli occhi, ha le labbra socchiuse. Perline di saliva le inumidiscono gli angoli delle labbra e luccicano sul mento perfetto. Tra i fili d’oro dei capelli, acconciati nello stile Grande Dame che preferisce, brilla il freddo acciaio dei cavetti stim e il riflesso più opaco della presa cranica in cui li ha infilati. La chiazza d’osso ai lati è bianchissima. Sul tavolino alla sua sinistra c’è una siringa di Flashback, vuota.

Arrivano i servi e mi tirano via. Mamma non batte ciglio. Grido, mentre mi portano di peso fuori della stanza.

Mi sveglio urlando.

Forse fu proprio il mio rifiuto di usare ancora il Flashback che affrettò la partenza di Helenda, ma ne dubito. Per lei ero un giocattolo: un primitivo che la divertiva, per la sua ingenuità verso una vita che da decenni lei dava per scontata. A ogni modo, il rifiuto del Flashback mi lasciò molti giorni senza di lei; il tempo che si trascorre nella ripetizione è reale: chi usa il Flashback spesso passa più giorni di vita sotto l’influsso della droga che in esperienze coscienti.

All’inizio mi divertii con gli innesti e i tecnogiocattoli che, come appartenente a una Famiglia della Vecchia Terra, mi erano stati negati. Quel primo anno, la sfera dati fu una delizia: chiedevo informazioni quasi di continuo, vivevo nella frenesia dell’interfaccia totale. Dipendevo dai freddi dati come il Branco Caribù dagli stimolatori e dalle droghe. Vedevo don Balthazar rigirarsi nella tomba fusa, mentre cedevo ricordi a lungo termine in cambio della fugace soddisfazione dell’onniscienza innestata. Solo in seguito mi resi conto della perdita… l’Odissea di Fitzgerald, la Marcia finale di Wu, decine d’altri poemi epici sopravvissuti all’incidente e ora sbrindellati come nubi sotto la violenza del vento. Molto più tardi, libero dagli innesti, li ho laboriosamente imparati di nuovo a memoria.

Per la prima e unica volta nella mia vita, m’interessai di politica. Passavo giorni e notti ad assistere alle riunioni del Senato, tramite il cavo teleporter, oppure a giacere in collegamento con la Totalità. Qualcuno una volta ha calcolato che la Totalità tratta circa cento pezzi attivi di legislazione dell’Egemonia al giorno; durante i mesi in collegamento col sensorio, non ne perdetti uno. Per voce e nome diventai ben noto nei canali di dibattito. Nessun argomento era troppo piccolo, nessuna questione troppo semplice o troppo complessa per il mio input. Il semplice atto di votare ogni pochi minuti mi dava la falsa sensazione di avere realizzato qualcosa. Alla fine, rinunciai all’ossessione per la politica solo dopo avere capito che accedere regolarmente alla Totalità significava solo restare a casa e trasformarsi in uno zombie ambulante. Una persona costantemente occupata a inserirsi nei propri innesti è uno spettacolo pietoso in pubblico; non furono necessarie le prese in giro di Helenda per farmi capire che, se fossi rimasto in casa, sarei diventato una spugna della Totalità come milioni di babbei in tutta la Rete dei Mondi. Così abbandonai la politica. Ma a quel tempo avevo scoperto un nuovo interesse: la religione.

Mi unii alle religioni. Diamine, collaborai a creare religioni. La Chiesa Gnostica Zen era in espansione esponenziale e io diventai un vero credente, partecipai ai talk-show della TVE e cercai i miei Luoghi di Potere con la devozione di un musulmano pre-Egira in pellegrinaggio alla Mecca. Inoltre, mi piaceva teleportarmi. Avevo guadagnato quasi cento milioni di marchi, con i diritti d’autore del Crepuscolo di un mondo e Helenda li aveva investiti bene. Ma un tale una volta calcolò che una casa teleporter come la mia costava più di cinquantamila marchi al giorno solo per mantenersi nella Rete. E io non mi limitavo a teleportarmi nei trentasei mondi della mia abitazione. La Casa Editrice Transline mi aveva qualificato per una carta d’oro universale che usai con liberalità, teleportandomi in improbabili angoli della Rete e trascorrendo poi settimane in alloggi lussuosi, affittando VEM per cercare i miei Luoghi di Potere in zone remote di mondi arretrati.