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Non ne trovai nessuno. Rinunciai allo Gnosticismo Zen più o meno nello stesso periodo in cui Helenda divorziò da me. A quel tempo le fatture si ammucchiavano; fui costretto a liquidare gran parte delle azioni e degli investimenti a lungo termine rimasti dopo che Helenda si era presa la sua parte. (Quando lei aveva dato ai suoi legali l’incarico di redigere il contratto matrimoniale, non ero solo ingenuo e innamorato… ero anche stupido.)

Alla fine, anche facendo economie come la drastica riduzione del teleporter e il licenziamento dei servandroidi, mi trovai sull’orlo del disastro finanziario.

Andai a trovare Tyrena Wingreen-Feif.

«Nessuno vuole leggere poesie» disse lei, sfogliando lo smilzo volume di Canti scritti nell’ultimo anno e mezzo.

«Come sarebbe?» replicai. «Crepuscolo di un mondo era poesia.»

«Crepuscolo è stato un colpo di fortuna» disse Tyrena. Aveva unghie lunghe, verdi, ricurve alla mandarina secondo l’ultima moda e le arricciò intorno al manoscritto come fossero artigli d’una belva di clorofilla. «Si è venduto perché il subconscio collettivo era pronto.»

«Forse è pronto anche per questi» replicai. Cominciavo ad arrabbiarmi.

Tyrena si mise a ridere, ma non era un suono del tutto piacevole. «Martin, Martin, Martin» disse. «Questa è poesia. Parli di Porta del Paradiso e del Branco Caribù, ma ne viene fuori solitudine, dislocazione affettiva, ansia e una visione cinica dell’umanità.»

«E allora?»

«Allora nessuno vuol pagare per un’occhiata alle ansie di un altro» rise Tyrena.

Mi allontanai dalla sua scrivania e andai all’estremità opposta della stanza. L’ufficio occupava l’intero 434° piano della Guglia Transline, nel settore Babele di Tau Ceti Centro. Non c’erano finestre: la stanza circolare era aperta dal soffitto al pavimento, schermata da un campo di contenimento a energia solare privo del minimo scintillio. Sembrava di stare fra due piastre grigie sospese a mezz’aria fra cielo e terra. Osservai le nuvole cremisi muoversi fra guglie inferiori, mezzo chilometro più sotto e pensai all’hubris. L’ufficio di Tyrena non aveva porte, scale, ascensori, campi mobili, botole: nessun collegamento con gli altri piani. Vi si entrava mediante un teleporter a cinque facce che luccicava a mezz’aria come un’oloscultura astratta. Pensai a incendi e mancanza di corrente, oltre che all’hubris. Dissi: «Significa che non lo pubblichi?»

«Nient’affatto» sorrise il mio editor. «Hai fatto guadagnare alla Transline diversi miliardi di marchi, Martin. Lo pubblichiamo. Dico solo che nessuno lo comprerà.»

«Ti sbagli!» gridai. «Non tutti riconoscono la buona poesia, ma ci sono ancora lettori sufficienti a farne un bestseller.»

Tyrena non si mise di nuovo a ridere, ma increspò in un sorriso le labbra verdi. «Martin, Martin, Martin» disse. «Dai giorni di Gutenberg, il numero di persone colte diminuisce costantemente. Nel Ventesimo secolo, meno del due per cento della popolazione delle cosiddette democrazie industrializzate leggeva un libro all’anno. E questo accadeva prima delle macchine intelligenti, delle sfere dati, degli ambienti facilitati per l’utenza. Ai tempi dell’Egira, il novantotto per cento della popolazione dell’Egemonia non aveva motivo di leggere. Così non ci si preoccupava d’imparare. Oggi è peggio. Nella Rete dei Mondi ci sono più di cento miliardi di esseri umani. Meno dell’uno per cento si prende la briga di fax-copiare materiale scritto e tanto meno di leggere un libro

«Crepuscolo di un mondo ha venduto quasi tre miliardi di copie» le ricordai.

«Uhm» fece Tyrena. «Effetto Pilgrim’s Progress

«Eh?»

«Pilgrim’s Progress. Nella colonia del Massachusetts, sulla Vecchia Terra del… quand’era?… del XVII secolo, ogni famiglia perbene doveva averne in casa una copia di quel libro. Ma, cielo, nessuno era obbligato a leggerla. Lo stesso vale per Mein Kampf di Hitler o per Visioni nell’occhio d’un bambino decapitato di Stukatsky.»

«Chi era Hitler?»

Tyrena sorrise appena. «Un uomo politico della Vecchia Terra che scrisse qualche libro. Mein Kampf si stampa ancora… la Transline rinnova ancora il copyright, ogni 138 anni.»

«Be’, senti, mi prendo un paio di settimane per limare e perfezionare i Canti

«Ottimo» sorrise Tyrena.

«Immagino che anche stavolta tu voglia farne la revisione.»

«Nient’affatto. Stavolta non c’è alcun nucleo nostalgico, quindi puoi scriverli come meglio ti pare.»

Battei le palpebre. «Intendi dire che posso lasciare dentro i versi sciolti?»

«Certo.»

«E la filosofia?»

«Senz’altro.»

«E le parti sperimentali?»

«Sì.»

«E lo stamperai così com’è scritto?»

«Senza dubbio.»

«C’è una probabilità che si venda?»

«Nemmeno la speranza.»

“Un paio di settimane per limare i Canti” diventarono dieci mesi di lavoro ossessivo. Chiusi gran parte delle stanze di casa, tenni solo la torre su Deneb Drei, la palestra su Lusus, la cucina e la zattera-bagno su Mare Infinitum. Ogni giorno lavoravo per dieci ore filate, m’interrompevo per fare qualche vigoroso esercizio seguito da un pasto e da un sonnellino, poi tornavo alla scrivania per altre otto ore. Mi sembrava d’essere tornato indietro di cinque anni, quando cominciavo a riprendermi dall’incidente e a volte mi ci voleva un’ora o un giorno perché la parola giusta si presentasse, perché l’idea mettesse radici nel solido terreno del linguaggio. Il processo attuale era anche più lento: penavo nella ricerca della parola perfetta, della rima precisa, dell’immagine più valida, dell’analogia più ineffabile per descrivere l’emozione più elusiva.

Dopo dieci mesi standard, ero esausto. Riconoscevo la validità dell’antico aforisma secondo il quale libri e poesie non sono mai terminati, solo abbandonati.

«Cosa ne pensi?» domandai a Tyrena, mentre lei leggeva la prima copia.

I suoi occhi erano vacui, dischi di bronzo secondo la moda di quella settimana; ma questo non nascondeva la presenza di lacrime. Tyrena ne asciugò una. «È bello» disse.

«Ho cercato di riscoprire la voce di alcuni Antichi» spiegai, intimidito all’improvviso.

«Ci sei riuscito magnificamente.»

«L’interludio di Porta del Paradiso è ancora da limare.»

«È perfetto.»

«Parla di solitudine.»

«E solitudine.»

«Ti sembra pronto?»

«È perfetto… un capolavoro.»

«Si venderà?»

«Nessun rischio.»

Per i Canti programmarono una tiratura iniziale di settanta milioni di faxcopie. La Transline mise annunci pubblicitari nelle sfere dati e negli spot in TVE, trasmise inserti via software, sollecitò con successo soffietti da autori di grido, si accertò che comparissero recensioni nella New New York Times Book Section e nella TC2 Review: a conti fatti, spese una fortuna in pubblicità.