Non so se mi spiego.
Con tutto ciò, re Billy il Triste ha una mente intuitiva e una passione per le arti e per la letteratura, ineguagliata fin dai giorni del Rinascimento su Vecchia Terra.
Per certi aspetti, re Billy è un bimbo grassoccio con il viso eternamente premuto contro la vetrina di una pasticceria. Ama e apprezza la bella musica, ma non sa crearla. Esperto del balletto e di tutto ciò che possiede grazia, Sua Altezza è goffo e maldestro, una serie ambulante di stupidi incidenti e di goffaggini comiche. Lettore appassionato, infallibile critico di poesia, mecenate dell’arte oratoria, re Billy unisce alla balbuzie una timidezza che non gli consente di mostrare a nessuno i suoi versi o le sue prose.
Scapolo incallito ormai sulla sessantina, re Billy abita il palazzo diroccato e il regno di duemila miglia quadrate come se si trattasse di un altro completo di vesti regali stropicciate. Gli aneddoti su di lui abbondano: un famoso pittore a olio finanziato da re Billy trova Sua Maestà che cammina a testa bassa, mani strette dietro la schiena, un piede sul sentiero del giardino e l’altro nel fango, chiaramente perso nei suoi pensieri. L’artista saluta il suo mecenate. Re Billy il Triste alza lo sguardo, batte le palpebre, si guarda intorno come se si svegliasse da un lungo pisolino. «Mi scusi» dice Sua Altezza al pittore perplesso «p-p-potrebbe dirmi per f-f-favore se ero diretto al p-p-palazzo o me ne allontanavo?» «Era diretto al palazzo, Maestà» risponde l’artista. «Oh, b-b-bene» sospira il re. «Allora ho già fatto colazione.»
Il generale Horace Glennon-Heigh ha iniziato la rivolta e il mondo periferico di Asquith si trova sul suo sentiero di conquista. Asquith non era preoccupato (l’Egemonia gli ha offerto lo scudo di una flotta della FORCE:spazio), ma il governatore reale del regno di Monaco-in-esilio sembrava più fuso che mai, quando mi convocò.
«Martin» disse Sua Maestà «hai sentito p-p-parlare della b-b-battaglia di Fomalhaut?»
«Sì» risposi. «Non sembra che ci sia da preoccuparsi. Fomalhaut è proprio il tipo di mondo che Glennon-Height colpisce: piccolo, abitato al massimo da qualche migliaio di coloni, ricco di minerali, e con un debito temporale di almeno venti mesi standard dalla Rete.»
«Ventitré» disse re Billy il Triste. «Allora non p-p-pensi che siamo in p-p-pericolo?»
«Ah-ah» dissi. «Con un tempo effettivo di transito di sole tre settimane e un debito temporale inferiore all’anno, l’Egemonia può sempre mandare qui le forze della Rete molto più in fretta di quanto il Generale non impieghi ad arrivare da Fomalhaut per spin-nave.»
«Può darsi» rifletté Billy, appoggiandosi a un globo e drizzandosi di scatto nel sentirlo rotolare sotto il suo peso. «Ma n-n-nondimeno ho deciso di d-d-dare inizio alla nostra m-m-modesta Egira.»
Battei le palpebre, sorpreso. Da quasi due anni Billy parlava di cambiare sede al suo regno in esilio, ma non credevo che l’avrebbe fatto.
«Le n-n-navi sono p-pronte su Parvati» continuò. «Asquith è d-d-d’accordo di fornirci il trasporto alla Rete.»
«Ma il palazzo?» obiettai. «La biblioteca? Le fattorie e le terre?»
«Le regalo, ovviamente» disse re Billy. «Ma il contenuto della biblioteca verrà con noi.»
Mi sedetti sul bracciolo del divano di crine di cavallo e mi strofinai il mento. Nei dieci anni di permanenza nel regno, avevo fatto strada: da protetto a tutore, confidente e amico; ma non avevo mai preteso di capire quell’enigma scarmigliato. Al mio arrivo mi aveva concesso udienza immediata. «V-v-vuole unirsi alle altre p-p-persone di t-t-talento nella nostra piccola colonia?» mi aveva domandato.
«Sì, maestà.»
«E s-s-scriverà altri libri come C-c-crepuscolo di un m-m-mondo?»
«No, se posso evitarlo, maestà.»
«L’ho l-l-letto, sa? Dav-v-vero interessante.»
«Molte gentile, maestà.»
«Stronzate, s-s-signor Sileno. Era interessante p-p-perché qualcuno l’ha espurgato e vi ha l-l-lasciato tutte le parti brutte.»
Avevo sorriso, colpito dall’improvvisa rivelazione che re Billy il Triste mi sarebbe andato a genio.
«M-m-ma i Canti» aveva sospirato lui. «Quelli sì che s-s-sono un libro. Forse il miglior volume di v-v-v… di poesia pubblicato nella Rete negli ultimi due secoli. Non saprò mai come sia riuscito a fargli superare la politica della mediocrità. Ne ho ordinate ventimila copie per il r-r-regno.»
Avevo fatto un lieve inchino. Per la prima volta dai giorni dell’incidente, due decenni prima, ero rimasto senza parole.
«Scriverà altre p-p-poesie come i Canti?»
«Sono venuto qui per provarci, maestà.»
«Allora sia il benvenuto» aveva detto re Billy il Triste. «Sarà alloggiato nell’ala est del p-p-p… del castello, vicino al mio ufficio, e la mia p-p-porta le sarà sempre aperta.»
Lanciai un’occhiata alla porta chiusa e al piccolo sovrano che, pur sorridendo, sembrava sull’orlo delle lacrime. «Hyperion?» domandai. Diverse volte aveva nominato quella colonia tornata allo stato primitivo.
«Esattamente. Le navi coloniali androidi sono state lì per alcuni anni, Martin. A preparare la strada, in pratica.»
Sollevai un sopracciglio. La ricchezza di re Billy non proveniva dalle risorse del regno, ma da importanti investimenti nell’economia della Rete. Anche così, se per anni aveva effettuato in segreto la ricolonizzazione di un pianeta, la spesa era stata certo sbalorditiva.
«Ricorda, Martin, perché i coloni iniziali diedero al p-p-p… a quel mondo il nome Hyperion?»
«Certo. Prima dell’Egira formavano una piccola comunità libera, su una luna di Saturno. Non potevano tirare avanti senza rifornimenti terrestri, perciò emigrarono nei mondi periferici e diedero al pianeta il nome della loro luna.»
Re Billy fece un sorriso triste. «E sa perché quel nome è propizio al nostro tentativo?»
Impiegai circa dieci secondi a scoprire il legame. «Keats» risposi.
Alcuni anni prima, quasi al termine d’una lunga discussione sull’essenza della poesia, re Billy mi aveva domandato quale fosse il poeta più puro mai vissuto.
«Più puro?» avevo ripetuto. «Non intende il più grande?»
«No, no» aveva risposto Billy. «È assurdo d-d-discutere su chi è il più grande. Ma sono curioso di sapere chi ritiene il più p-p-puro… il più vicino all’essenza della poesia di cui parla.»
Avevo riflettuto per qualche giorno e alla fine avevo portato la risposta a re Billy, che in quel momento stava ammirando il tramonto dei soli dalla scogliera nei pressi del palazzo. Ombre rosse e azzurre si allungavano verso di noi sul prato color ambra. «Keats» avevo detto.
«John Keats» aveva mormorato re Billy il Triste. «Ah.» E un momento dopo: «Perché?»
Allora gli avevo detto quel che sapevo del poeta del XIX secolo della Vecchia Terra; la sua educazione, l’addestramento, la morte precoce… ma soprattutto la vita dedicata quasi totalmente ai misteri e alle bellezze della creazione poetica.
Billy allora era sembrato interessato; ora sembrava invece ossessionato, mentre muoveva la mano e dava vita a un olomodello che quasi riempiva la stanza. Mi tirai indietro, camminando fra colline, edifici, animali al pascolo, per avere una vista migliore.