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«No» dissi, facendomi ancora più vicino.

«Ma non può scriverlo, vero, Martin? Non può comporre v-v-versi, se la sua m-m-musa non sparge sangue, vero?»

«Stronzate» replicai.

«Forse. Ma è una coincidenza affascinante. Si è mai chiesto, Martin, perché lei è stato risparmiato?»

Di nuovo alzai le spalle e spostai fuori della sua portata un’altra pila di fogli. Ero più alto, più robusto e più cattivo di Billy; ma dovevo assicurarmi che il manoscritto non restasse danneggiato se si fosse dibattuto mentre lo sollevavo di peso dalla poltrona e lo buttavo fuori.

«È ora che facciamo q-q-qualcosa a questo proposito» disse il mio mecenate.

«No» risposi. «È ora che se ne vada.» Spinsi da parte l’ultima pila di fogli e alzai le braccia, sorpreso di vedere che stringevo in pugno un candeliere d’ottone.

«Fermo dove sei, per favore» disse piano re Billy, alzando lo storditore neurale che aveva tenuto in grembo.

Esitai solo un secondo, poi scoppiai a ridere. «Piccolo, miserabile impostore truffaldino» dissi. «Non saprebbe usare una stronzissima arma nemmeno se ne andasse della sua vita.»

Avanzai d’un passo, per picchiarlo e buttarlo fuori.

Avevo la guancia contro la pietra del cortile, ma un occhio era aperto quanto bastava a mostrarmi che le stelle brillavano ancora attraverso il graticcio rovinato della cupola della galleria. Non potevo muovere le palpebre. Le membra e il tronco mi formicolavano per le punture di spillo causate dal ritorno delle sensazioni, come se tutto il corpo si fosse addormentato e ora si svegliasse dolorosamente. Avevo voglia di gridare, ma le mascelle e la lingua si rifiutavano di funzionare. A un tratto fui sollevato e appoggiato a una panca di pietra, cosicché vedevo il cortile e la fontana asciutta progettata da Rithmet Corbet: il Laocoonte di bronzo lottava con i serpenti bronzei nella tremula luce della pioggia di meteoriti prima dell’alba.

«M-m-i s-scusi, Martin» disse una voce ben nota «Ma questa f-f-follia deve finire.» Re Billy entrò nel mio campo visivo: teneva in mano una grossa pila di fogli. Altri mucchi di pagine erano posati sullo zoccolo della fontana, ai piedi del troiano di bronzo. Poco più in là c’era un bidone di cherosene aperto.

Riuscii a battere le palpebre. Sembravano di ferro arrugginito.

«Ormai lo s-s-stordimento dovrebbe passare da un m-m-mo-mento all’altro» disse re Billy. Allungò la mano nella vasca, alzò un mucchietto di fogli e con l’accendino gli diede fuoco.

«No!» riuscii a gridare fra le mascelle serrate.

La fiamma danzò e morì. Re Billy lasciò cadere le ceneri e prese un altro mucchietto di fogli. Li arrotolò. Delle lacrime brillarono sulle guance rugose illuminate dalla fiamma. «L’ha v-v-voluto lei» ansimò l’ometto. «Bisogna f-f-finirla.»

Mi sforzai d’alzarmi. Braccie e gambe si mossero a scatti come quelle d’una marionetta mal guidata. Il dolore era incredibile. Gridai di nuovo: il mio grido di dolore echeggiò contro il marmo e il granito.

Re Billy sollevò un grasso mucchietto di fogli e si soffermò a leggere dal primo:

Senza storia né sostegno tranne la mia debole mortalità, porto il peso di questa quiete eterna, della tristezza immutabile e delle tre sagome pesanti sui miei sensi come un’intera luna. Perché col mio cervello ardente ho misurato le sue stagioni d’argento perse nella notte e giorno dopo giorno ho pensato di diventare più magro e spettrale… Spesso ho pregato intensamente che la Morte prendesse dalla valle me e tutti i suoi fardelli… Ansimando per la disperazione del mutamento, ora dopo ora ho maledetto me stesso.

Re Billy levò alle stelle il viso e consegnò alle fiamme la pagina.

«No!» gridai di nuovo. Costrinsi le gambe a piegarsi. Mi alzai sul ginocchio, cercai di sostenermi con il braccio ardente di formicolii, caddi sul fianco.

L’ombra sotto il manto alzò un mucchietto di fogli, troppo spesso per arrotolarlo; nella fioca luce lo scrutò.

Poi vidi un pallido viso non segnato da crucci umani, ma sbiancato da un male immortale che non uccide; opera un costante mutamento, a cui la morte felice non può porre termine; avanzava verso la morte quel viso per cui non c’è morte; oltrepassato aveva il giglio e la neve; e più che a questi ora non devo pensare, anche se vidi quel viso…

Re Billy mosse l’accendino: altre cinquanta pagine presero fuoco. Lui lasciò cadere nella fontana i fogli accesi e allungò la mano per prenderne altri.

«La prego!» gridai. Mi alzai, tesi le gambe per superare gli spasmi d’impulsi nervosi casuali, mi appoggiai alla panca di pietra. «La prego.»

La terza figura in realtà non si materializzò fino al punto di permettere che la sua presenza colpisse la mia consapevolezza; era come se fosse sempre stata lì, come se re Billy e io non l’avessimo notata finché le fiamme non furono abbastanza luminose. Irrealmente alto, munito di quattro braccia, modellato in cromo e cartilagine, lo Shrike rivolse su di noi il suo sguardo rossastro.

Re Billy ansimò, arretrò d’un passo, poi si mosse in avanti per alimentare con altri canti le fiamme. Faville si levarono su correnti d’aria calda. Uno stormo di tortore volò via dalle travi soffocate dai rampicanti della cupola infranta in un’esplosione di frullo d’ali.

Avanzai, barcollando più che camminando. Lo Shrike non si mosse, non spostò lo sguardo sanguigno.

«Sparisci!» gridò re Billy, in tono esaltato, dimentico della balbuzie; reggeva in ogni mano un fascio di poesia in fiamme. «Torna nell’abisso dal quale sei uscito!»

Lo Shrike sembrò inclinare appena la testa. Una luce rossastra brillò sulle superfici acuminate.

«Milord!» gridai; non sapevo, e non so neppure ora, se a re Billy o all’infernale apparizione. Barcollai ancora per qualche passo, allungai la mano verso il braccio di Billy.

Non era più lì. Un istante prima il re ormai anziano era a un palmo da me, l’istante dopo era a dieci metri di altezza sulle lastre di pietra della corte. Dita simili a spine d’acciaio gli trapassavano braccia, torace e cosce, ma lui si contorceva ancora e nei suoi pugni i miei Canti bruciavano. Lo Shrike lo sollevò come un padre che offrisse al battesimo il figlio.

«Distruggilo!» gridò Billy, con gesti pietosi delle braccia imprigionate. «Distruggilo!»

Mi fermai contro il bordo della fontana, ondeggiai debolmente sull’orlo. A tutta prima pensai che si riferisse allo Shrike… poi credetti che parlasse del poema… infine capii che intendeva l’uno e l’altro. Nella vasca asciutta, mille e più pagine manoscritte giacevano accartocciate. Presi il secchio di cherosene.

Lo Shrike si mosse solo per portarsi lentamente al petto re Billy, in un gesto bizzarramente affettuoso. Billy si contorse e urlò mentre una lunga spina d’acciaio emergeva dalla seta arlecchinesca della sua veste, giusto sopra lo sterno. Rimasi lì, istupidito, e pensai alla collezione di farfalle che avevo da bambino. Lentamente, con gesti meccanici, versai cherosene sopra le pagine sparpagliate.

«Finiscilo!» boccheggiò re Billy. «Martin, per l’amor di Dio!»

Presi l’accendino caduto per terra. Lo Shrike non si mosse. Il sangue inzuppava le pezze nere della veste di Billy, fino a mescolarsi ai riquadri cremisi. Azionai l’antico accendino, una, due, tre volte: ottenni solo delle scintille. Tra le lacrime vedevo il lavoro della mia vita sparso nella fontana polverosa. Lasciai cadere l’accendino.