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Martin Sileno fece una risata simile a un latrato. — Oppure è già andato via. In teoria dovevamo essere qui ieri sera.

Il colonnello Kassad alzò il binocolo elettronico e scrutò l’orizzonte. — Mi sembra poco probabile che se ne sia andato senza di noi — disse. — Il carro lo mandavano i preti stessi del Tempio Shrike. Loro ci tengono, al nostro pellegrinaggio.

— Potremmo camminare — disse Lenar Hoyt. Il prete, pallido e debole, chiaramente in preda al dolore e alle droghe, sembrava appena in grado di reggersi in piedi, altro che camminare.

— No — rispose Kassad. — Sono centinaia di chilometri. E l’erba è più alta di noi.

— La bussola — disse il prete.

— La bussola non funziona, su Hyperion — replicò Kassad senza abbassare il binocolo.

— Gli indicatori direzionali, allora — continuò Hoyt.

— Abbiamo un ID, ma il punto è un altro — intervenne il Console. — L’erba è tagliente. Mezzo chilometro, e saremo degli stracci.

— E ci sono i serpenti d’erba — aggiunse Kassad abbassando il binocolo. — L’ecosistema è ben mantenuto, ma non abbastanza da farci una passeggiata.

Padre Hoyt sospirò e quasi crollò nell’erba bassa alla sommità dell’altura. Nella sua voce c’era qualcosa di simile al sollievo, quando disse: — D’accordo, torniamo indietro.

A. Bettik avanzò d’un passo. — L’equipaggio sarà lieto di aspettare e di riportarvi con la Benares a Keats, se il carro a vela non dovesse arrivare.

— No — disse il Console. — Prendete pure la lancia e andatevene.

— Merda, aspetti un minuto! — esclamò Martin Sileno. — Non mi ricordo d’averla eletta dittatore, amigo. Lì dobbiamo andarci! Se il merdoso carro a vela non arriva, dovremo trovare un altro mezzo.

Il Console girò sui tacchi per fronteggiare l’altro, più basso di lui. — E come? In barca? Occorrono due settimane, per risalire la Criniera, girare intorno al Litorale Nord e raggiungere Otho o una delle altre aree di posta. Ammesso che ci siano navi disponibili. Ogni vascello di Hyperion probabilmente è adibito all’evacuazione.

— In dirigibile, allora — brontolò il poeta.

Brawne Lamia scoppiò a ridere. — Oh, sì. Né abbiamo visti talmente tanti, nei due giorni di fiume!

Martin Sileno si girò di scatto e strinse i pugni come se volesse colpirla. Poi sorrise. — D’accordo, allora, signora mia. Che cosa facciamo? Forse, se sacrifichiamo uno di noi ai serpenti dell’erba, gli dèi dei trasporti ci sorrideranno.

Lo sguardo di Brawne Lamia era gelido come il ghiaccio. — Credevo che nel tuo stile rientrassero di più gli olocausti, piccoletto.

Il colonnello Kassad intervenne. Latrò un ordine: — Basta così. Il Console ha ragione. Ci fermiamo fino all’arrivo del carro. Masteen, Lamia, andate con Bettik a badare allo scarico del nostro equipaggiamento. Padre Hoyt e Sileno raccoglieranno un po’ di legna per fare un falò.

— Un falò? — disse il prete. Faceva caldo, sul pendio della collina.

— Per la notte — spiegò Kassad. — Bisogna far sapere al carro a vela che siamo qui. E ora, muoviamoci!

Fu un gruppo silenzioso quello che guardò l’elettrolancia scendere il fiume, al tramonto. Anche da due chilometri di distanza, il Console vedeva la pelle azzurra dell’equipaggio. Lungo la banchina, la Benares sembrava vecchia e abbandonata, già parte della città deserta. Quando la lancia sparì lontano, il gruppo si girò a fissare il mare d’Erba. Le lunghe ombre delle scarpate lungo il fiume scivolavano su quelli che il Console si era già scoperto a considerare come frangenti e bassi fondali. Più lontano, il mare sembrava cambiare colore e l’erba si addolciva in un riflesso acquamarina, prima di scurirsi in una tonalità verde intenso. Il cielo blu si fondeva nel rosso e nell’oro del tramonto, illuminava la cima dell’altura e irradiava di una luce liquida la pelle dei pellegrini. Si sentiva solo il mormorio del vento fra l’erba.

— Abbiamo un bel mucchio di merdosi bagagli — disse ad alta voce Martin Sileno — per essere quattro gatti in un viaggio di sola andata.

Era vero, si disse il Console. Sul pendio erboso, i bagagli formavano una montagnola.

— Da qualche parte, laggiù — disse piano Het Masteen — forse c’è la nostra salvezza.

— Cosa vuol dire? — domandò Brawne Lamia.

— Già — disse Martin Sileno, steso sulla schiena, le mani sotto la testa, fissando il cielo. — Ha portato un paio di mutande a prova di Shrike?

Il Templare scosse lentamente la testa. L’improvviso crepuscolo mise in ombra il suo viso sotto il cappuccio della veste. — Evitiamo commenti scemi e ipocriti — disse. — È ora d’ammettere che ciascuno di noi ha portato in questo pellegrinaggio qualcosa che si augura possa mutare l’inevitabile risultato, quando verrà il momento di affrontare il Signore delle Sofferenze.

Il poeta rise. — Io non ho portato nemmeno la mia stronzissima zampa di coniglio portafortuna.

Il cappuccio del Templare si mosse lievemente. — Ma il manoscritto sì, vero?

Il poeta restò zitto.

Het Masteen spostò gli occhi invisibili sull’uomo alto alla sua sinistra. — E lei, colonnello? Ci sono alcuni bauli con il suo nome. Armi, per caso?

Kassad alzò la testa, ma non replicò.

— Naturalmente — proseguì Het Masteen — sarebbe sciocco andare a caccia senza un’arma.

— E io? — domandò Brawne Lamia, incrociando le braccia. — Sa quale arma segreta ho portato di nascosto?

La voce dalla cadenza bizzarra del Templare rimase calma. — Non abbiamo ancora ascoltato la sua storia, signora Lamia. Sarebbe prematuro fare ipotesi.

— E il Console? — replicò Lamia.

— Oh, sì, l’arma che il nostro amico diplomatico ha in serbo è ovvia.

Il Console smise di contemplare il tramonto e girò la testa. — Ho portato solo qualche vestito e due libri da leggere — disse in tono sincero.

— Ah — sospirò il Templare. — Però si è lasciato alle spalle una magnifica nave!

Sileno saltò in piedi. — La sua merdosa nave! — esclamò. — Può chiamarla, vero? Allora, maledizione, tiri fuori il fischietto. Sono stufo di starmene qui seduto.

Il Console strappò uno stelo e tirò via le foglioline. Dopo un minuto, disse: — Anche se potessi chiamarla… e avete sentito A. Bettik, i satelliti per le telecomunicazioni e le stazioni ripetitrici non funzionano… anche se potessi chiamarla, non potremmo atterrare a nord della Briglia. Sarebbe un disastro immediato, addirittura prima che lo Shrike cominciasse a muoversi a sud delle montagne.

— Già — disse Sileno, agitando le braccia, turbato. — Ma potremmo superare questo… questa prateria del cazzo! Chiami la nave.

— Aspettiamo domattina — rispose il Console. — Se il carro a vela non sarà ancora arrivato, discuteremo le altre possibilità.

— Vaffanculo… — iniziò il poeta. Ma Kassad venne avanti dandogli la schiena, con il risultato di escluderlo dal cerchio degli altri.

— Signor Masteen — disse il colonnello. — Qual è il suo segreto?

La luce del sole al tramonto era sufficiente perché sulle labbra sottili del Templare si scorgesse un accenno di sorriso. Masteen indicò la montagnola di bagagli. — Come vede, il mio baule è più pesante e misterioso degli altri.

— Un cubo di Moebius — disse padre Hoyt. — Ho già visto trasportare in questo modo i manufatti antichi.

— O bombe a fusione — disse Kassad.

Het Masteen scosse la testa. — Niente di così poco raffinato — disse.

— Ce lo dirà? — domandò Lamia.

— Quando sarà il mio turno — ribatté il Templare.