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— Stia zitto, maledizione! — sbottò Hoyt. Si passò la mano sul viso, poi si toccò il petto. Per la seconda volta in quella sera, il Console capì di avere di fronte un uomo gravemente ammalato.

— Scusate — riprese padre Hoyt. — Ma se devo raccontare la mia… la mia storia, devo raccontare anche la storia di un altro. Questi sono i diari dell’uomo che un tempo mi ha indotto a venire su Hyperion… e spiegano perché vi torno adesso. — Fece un respiro profondo.

Il Console toccò i diari. Erano sporchi e bruciacchiati come se fossero scampati a un incendio. Disse: — Il suo amico ha gusti all’antica, se tiene ancora un diario manoscritto.

— Sì — ammise Hoyt. — Se siete pronti, comincio.

Tutti annuirono. Sotto la piattaforma da pranzo, un chilometro di nave-albero correva nella notte fredda grazie alla robusta spinta di una creatura vivente. Sol Weintraub sollevò la bimbetta addormentata e con cautela l’adagiò sulla stuoia imbottita stesa per terra accanto alla sua sedia. Si tolse il comlog, lo mise accanto alla stuoia e programmò il diskey per il rumore bianco. La bimba di una settimana, distesa bocconi, continuò a dormire.

Il Console si appoggiò alla spalliera e trovò la stella azzurra e verde che era Hyperion. Sembrò diventare più grande, mentre lui la fissava. Het Masteen si tirò sugli occhi il cappuccio e il suo viso diventò una macchia d’ombra. Sol Weintraub si accese la pipa. Altri presero una seconda tazza di caffè e si accomodarono meglio sulle sedie.

Martin Sileno sembrò il più avido e il più ansioso degli ascoltatori, mentre si sporgeva a mormorare:

Diss’egli: “Poiché darò inizio al gioco, ecco, benvenuto sia l’affronto, nome di dea! Ora viaggiamo e ascoltiamo quel che dico”. Con questo proseguimmo la strada; e lui iniziò col giusto spirto allegro il racconto e parlò come potete ascoltare.

IL RACCONTO DEL PRETE

L’uomo che si lamentò di Dio

— A volte una linea sottile divide lo zelo ortodosso dall’apostasia — disse padre Lenar Hoyt.

Iniziò così il racconto del prete. Più tardi, dettando la storia al comlog, il Console la ricordò come un tutto privo di giunzioni, a parte le pause, la voce rauca, le false partenze e le ripetizioni di scarsa importanza, gli eterni difetti, cioè, del linguaggio umano.

Lenar Hoyt era un giovane prete nato, cresciuto e da poco ordinato sul pianeta cattolico Pacem, quando fu incaricato della prima missione extraplanetaria: doveva scortare il rispettato padre gesuita Paul Duré al suo tranquillo esilio sul mondo coloniale di Hyperion.

In altri tempi, padre Duré sarebbe certo diventato vescovo e forse papa. Alto, magro, ascetico, coi capelli bianchi che si ritiravano dalla fronte spaziosa e occhi resi troppo acuti dall’esperienza per nascondere il dolore, padre Duré era un seguace di San Teilhard, oltre che archeologo, etnologo ed eminente teologo gesuita. Nonostante il declino del cattolicesimo, divenuto ormai un culto quasi dimenticato e tollerato solo a causa delle qualità pittoresche e del distacco dal sistema di vita principale dell’Egemonia, la logica dei gesuiti non aveva perso mordente. Né padre Duré aveva perso la convinzione che la Santa Chiesa Cattolica Apostolica fosse ancora l’ultima e migliore speranza d’immortalità rimasta all’uomo.

Per il giovane Lenar Hoyt, padre Duré era stato una figura quasi divina intravista durante le rare visite alle scuole di pre-seminario o in quelle, ancora più rare, effettuate dal futuro seminarista a Nuovo Vaticano. Poi, mentre Hoyt studiava in seminario, padre Duré aveva compiuto nel vicino pianeta Armaghast importanti scavi archeologici finanziati dalla Chiesa. Il ritorno del gesuita, alcune settimane dopo l’ordinazione di Hoyt, era stato oscurato da una nube. Nessuno, al di fuori dei più alti circoli di Nuovo Vaticano, sapeva con precisione che cosa fosse successo, ma si accennava sottovoce alla scomunica e persino a un’indagine del Sant’Uffizio d’Inquisizione, rimasto inattivo nei quattro secoli di confusione seguiti alla morte della Terra.

Invece padre Duré aveva chiesto un incarico su Hyperion, un pianeta che molti conoscevano solo a causa del bizzarro culto Shrike locale, e padre Hoyt era stato scelto per accompagnarlo; una mansione poco gratificante, in un ruolo che combinava i peggiori aspetti dell’apprendista, della scorta e della spia, senza neppure la soddisfazione di vedere un mondo nuovo: Hoyt aveva infatti l’ordine di depositare padre Duré allo spazioporto di Hyperion e di riprendere subito la medesima astronave per fare ritorno alla Rete dei Mondi. In pratica l’episcopato offriva a Hoyt venti mesi in crio-fuga, qualche settimana di viaggio interplanetario per l’andata e il ritorno, e un debito temporale che per il giovane prete significava, su Pacem, un ritardo di otto anni rispetto ai suoi compagni di studio nella ricerca di una carriera nel Vaticano e di incarichi nelle missioni.

Tenuto all’ubbidienza e ammaestrato alla disciplina, Lenar Hoyt aveva accettato senza discutere.

Il mezzo di trasporto, l’antiquata spin-nave AE Nadia Oleg, era una bagnarola metallica butterata, priva di gravità artificiale se non in fase d’accelerazione, di sale panoramiche e di impianti ricreativi, a parte gli stim-sim, simulatori di stimoli collegati alla banca dati perché i passeggeri se ne stessero tranquilli nelle brande e nelle cuccette di crio-fuga. Al risveglio dalla crio-fuga, i passeggeri — in massima parte lavoratori extraplanetari e turisti di classe economica, più alcuni mistici e futuri suicidi Shrike — dormivano nelle medesime brande e cuccette, mangiavano cibo riciclato negli scialbi ponti mensa e, nei dodici giorni di viaggio a gravità zero, in genere cercavano soprattutto di tener testa al mal di spazio e alla noia.

Durante questi giorni d’intimità forzata, padre Hoyt apprese da padre Duré ben poco; e, di quel poco, niente che riguardasse gli eventi occorsi su Armaghast, che avevano causato l’esilio del prete più anziano. Il giovane Hoyt trasmise al comlog impiantato nel braccio l’ordine di cercare il maggior numero possibile di dati su Hyperion: a tre giorni di distanza dal pozzo gravitazionale del pianeta, si considerava quasi un esperto di quel mondo.

«Esistono registrazioni riguardanti presenze di cattolici su Hyperion, ma non si parla di alcuna diocesi sul pianeta» disse Hoyt una sera, mentre chiacchieravano distesi sulle brande a g-0 e la maggior parte dei compagni di viaggio se ne stava collegata agli sim-stim erotici. «Immagino che lei ci vada per svolgere qualche opera missionaria.»

«Nient’affatto» replicò padre Duré. «I bravi abitanti di Hyperion non hanno fatto nulla per impormi le loro idee religiose, quindi non vedo motivo d’offenderli cercando di convertirli. A dire il vero, conto di viaggiare fino ad Aquila, il continente meridionale, e di trovare poi una via nell’entroterra dalla città di Port Romance. Ma non in veste di missionario. Ho intenzione di stabilire una stazione di ricerca etnologica lungo la Fenditura.»

«Ricerca?» ripeté sorpreso padre Hoyt. Chiuse gli occhi per collegarsi al comlog impiantato, poi tornò a guardare padre Duré e disse: «Quella sezione dell’altopiano Punta d’Ala non è abitata, padre. Le foreste di fuoco la rendono del tutto inaccessibile per gran parte dell’anno».

Padre Duré sorrise e annuì. Non portava impianti: il suo antiquato comlog sarebbe rimasto per tutto il viaggio nel suo bagaglio. «Non proprio inaccessibile» replicò piano. «E non del tutto disabitata. I Bikura vivono lì.»

«I Bikura» ripeté padre Hoyt. Chiuse gli occhi. «Ma sono solo una leggenda» disse poco dopo.

«Uhm» disse padre Duré. «Provi a controllare i rimandi a Mamet Spedling.»

Padre Hoyt richiuse gli occhi. L’indice generale gli disse che Mamet Spedling era un esploratore d’importanza secondaria, un membro dell’Istituto Shackleton su Rinascimento Minore. Quasi un secolo e mezzo standard prima, aveva inviato all’Istituto un breve rapporto in cui sosteneva d’essersi aperto la strada dal recente insediamento di Port Romance fino all’entroterra, tra le paludi poi reclamate per le piantagioni di fibroplastica, e tra le foreste di fuoco durante un raro periodo di calma; di aver scalato l’altopiano Punta d’Ala e scoperto la Fenditura e una piccola tribù d’esseri umani che corrispondeva alla descrizione dei leggendari Bikura.