Rachel si diplomò con lode; scuole private di cinque mondi e alcune università, fra cui Harvard di Nuova Terra, le offrirono una borsa di studio. Lei scelse Nightenhelser.
Sol non fu molto sorpreso, quando sua figlia scelse archeologia come corso principale di laurea. Fra i suoi ricordi più belli, conservava quello dei lunghi pomeriggi in cui Rachel, a due anni, se ne stava a scavare nella terra grassa sotto il portico anteriore senza badare ai ragni e ai millepiedi, e poi si precipitava in casa a mostrare ogni pezzetto di plastica, ogni pfenning ossidato ritrovati, e domandava da dove venivano e che tipo di persone li aveva abbandonati lì.
A diciannove anni standard, Rachel ottenne la laurea di primo grado; quell’estate lavorò nella fattoria della nonna e l’autunno seguente andò via col teleporter. Rimase all’università di Reichs, su Freeholm, per ventotto mesi locali; quando tornò, a Sol e a Sarai sembrò che il mondo avesse riacquistato colore.
Per due settimane la loro figlia (ora adulta, consapevole e sicura come persone con il doppio dei suoi anni spesso non erano) si riposò e si divertì a stare in famiglia. Una sera, nell’attraversare il campus subito dopo il tramonto, fece al padre alcune domande sul suo retaggio. «Papà, ti consideri ancora ebreo?»
Sol si passò la mano fra i capelli sempre più radi, sorpreso per la domanda. «Ebreo? Sì, penso di sì. Ma non ha più il significato d’una volta.»
«E io sono ebrea?» domandò Rachel. Le guance le brillavano nella luce debole.
«Solo se vuoi esserlo» rispose Sol. «Non ha più l’importanza d’una volta, ora che la Vecchia Terra è stata distrutta.»
«Se fossi nata maschio, mi avresti fatto circoncidere?»
Sol mise a ridere, divertito e imbarazzato.
«Parlo sul serio» disse Rachel.
Sol si aggiustò gli occhiali. «Immagino di sì, bambina mia. Non ci ho mai pensato.»
«Sei stato alla sinagoga di Bussard?»
«Non più, dopo il mio bar mitzvah» rispose Sol, e gli tornò in mente quel giorno di cinquant’anni prima, quando suo padre si era fatto prestare la Vikken di zio Richard e aveva accompagnato la famiglia nella capitale per la cerimonia.
«Papà, come mai gli ebrei pensano che tutto abbia… meno importanza adesso che prima dell’Egira?»
Sol allargò le mani… mani forti, più adatte a un tagliapietre che a un professore universitario. «Ottima domanda, Rachel. Probabilmente, perché gran parte del sogno è morto. Israele non esiste più. Il Nuovo Tempio è durato ancora meno del primo e del secondo. Dio ha mancato alla parola data, permettendo per la seconda volta la distruzione della Terra. E questa diaspora… non ha più fine.»
«Ma gli ebrei mantengono la loro identità etnica e religiosa, in alcuni mondi.»
«Oh, certo. Su Hebron e in alcune zone isolate del Concourse trovi ancora intere comunità… assidici, ortodossi, asmonei… scegli tu. Ma hanno la tendenza a essere… gruppi privi di vitalità, pittoreschi, a uso turistico.»
«Come un parco a tema?»
«Sì.»
«Domani puoi portarmi al tempio Bethel? Mi faccio prestare lo strat di Khaki.»
«Non occorre. Useremo lo shuttle del college.» Sol esitò, poi aggiunse: «Sì, mi piacerebbe portarti alla sinagoga, domani.»
Sotto i vecchi olmi si stava facendo buio. I lampioni si accesero lungo l’ampio viale che portava alla loro casa.
«Papà» disse Rachel. «Ora ti faccio una domanda che ti ho rivolto un milione di volte, da quando avevo due anni. Credi in Dio?»
Sol non sorrise. Non aveva scelta, se non darle la risposta che le aveva dato un milione di volte. «Aspetto di crederci» disse.
Dopo la laurea, Rachel seguì un corso di specializzazione in manufatti alieni precedenti l’Egira. Per tre anni standard, Sol e Sarai ricevettero di tanto in tanto una visita della figlia, a cui facevano seguito veline astrotel spedite da mondi esotici nelle vicinanze della Rete, ma non compresi nella stessa. Sapevano che il lavoro di ricerca sul campo per la tesi conclusiva presto avrebbe portato Rachel al di là della Rete, nella Periferia, dove il debito temporale consumava la vita e i ricordi delle persone che ci si lasciava alle spalle.
«Dove diavolo si trova, Hyperion?» chiese Sarai durante l’ultima vacanza di Rachel, prima che la spedizione partisse. «Sembra un nuovo prodotto per la casa.»
«È un mondo grande, mamma. Lì ci sono più manufatti non umani che in qualsiasi altro pianeta, a parte Armaghast.»
«E allora perché non vai su Armaghast?» disse Sarai. «Dista dalla Rete solo qualche mese. Perché scegli il secondo e non il primo?»
«Hyperion non è ancora una grande attrazione turistica» spiegò Rachel. «Ma i turisti cominciano a diventare una seccatura. Ora la gente piena di soldi è più disposta a viaggiare al di fuori della Rete.»
Sol scoprì all’improvviso d’avere la voce rauca. «Andrai nel labirinto o nelle cosiddette Tombe del Tempo?»
«Nelle Tombe, papà. Lavoro con il dottor Melio Arundez, la massima autorità sulle Tombe del Tempo.»
«Non sono pericolose?» disse Sol con noncuranza, ma senza riuscire a nascondere una traccia di preoccupazione.
Rachel sorrise. «A causa dello Shrike? No. Da due secoli standard nessuno è mai stato infastidito da quell’essere leggendario.»
«Ma ho visto alcuni documenti sui disordini avvenuti durante la seconda colonizzazione…» iniziò Sol.
«Anch’io, papà, ma allora non si sapeva niente delle grosse anguille delle rocce che scendono a caccia nel deserto. Probabilmente qualcuno è rimasto vittima delle anguille e gli altri si sono fatti prendere dal panico. Sai benissimo come nascono le leggende. Comunque, a furia di essere cacciate, le anguille delle rocce si sono estinte.»
«I veicoli spaziali non atterrano sul pianeta» insistette Sol. «Dovrai andare in barca fino alle Tombe. O a piedi. O chissà come.»
Rachel rise. «All’inizio, nel sorvolare le Tombe, sono stati sottovalutati gli effetti dei campi anti-entropici e si sono verificati alcuni incidenti. Ma ora c’è un servizio di dirigibili. E un grande albergo, il Castel Crono, al limitare delle montagne, dove centinaia di turisti si fermano tutto l’anno.»
«Ti fermerai lì?» domandò Sarai.
«Per un po’. Sarà un’esperienza entusiasmante, mamma.»
«Non troppo, mi auguro» disse Sarai, e tutt’e tre sorrisero.
Durante i quattro anni in cui Rachel fu in transito (per lei erano solo alcune settimane di crio-fuga) Sol scoprì di sentire la mancanza della figlia molto più che se fosse stata impegnata in qualche punto della Rete e impossibilitata a tenersi in contatto. L’idea che volasse via da lui a velocità superiore a quella della luce, avvolta nel bozzolo quantico artificiale dell’effetto Hawking, gli sembrava innaturale e infausta.
Lui e la moglie si tennero occupati. Sarai lasciò il suo lavoro di critico musicale per dedicare più tempo alle questioni ambientali locali, ma per Sol quello fu uno dei periodi più febbrili della sua vita. Diede alle stampe il secondo e il terzo libro; e il secondo, Svolte decisive della morale, provocò sensazione, tanto che la presenza dell’autore fu richiesta costantemente in simposi e conferenze extraplanetari. Ad alcuni, Sol partecipò da solo; ad altri, in compagnia di Sarai. Ma per quanto amassero l’idea di viaggiare, dopo un po’ l’esperienza dei cibi insoliti, della gravità diversa, della luce di soli sconosciuti perse di fascino, e Sol si ritrovò a trascorrere sempre più tempo a casa per fare ricerche sul libro successivo, e partecipò alle conferenze, se proprio doveva, dal college, via ologramma interattivo.
Quasi cinque anni dopo la partenza di Rachel, Sol ebbe un sogno che gli cambiò la vita.