«E Rachel?» chiese Sarai.
«Dorme» rispose la dottoressa Singh. Era alta, aristocratica, ma aveva occhi gentili. «Per quanto ne sappiamo, non ha subito danni… ah… fisici. Ma ormai è priva di conoscenza da circa diciassette settimane standard di tempo soggettivo. Solo da dieci giorni le onde cerebrali indicano un sonno profondo anziché uno stato comatoso.»
«Non capisco» disse Sol. «Nel campo c’è stato un incidente? Una esplosione?»
«Qualcosa è accaduto» disse Melio Arundez. «Ma non sappiamo cosa, esattamente. Rachel si trovava all’interno di un edificio… da sola; il suo comlog e gli altri strumenti non hanno registrato niente fuori dell’ordinario. Ma c’è stato un rigurgito di un fenomeno noto come campi anti-entropici…»
«Le maree del tempo» disse Sol. «Sappiamo cosa sono. Continui.»
Arundez annuì e aprì le mani, come se modellasse l’aria. «C’è stato un… rigurgito del campo… più simile a uno tsunami che a una marea… e la Sfinge… l’edificio dove Rachel si trovava… è stato completamente inondato. Voglio dire, Rachel non ha subito danni fisici, ma era incosciente, quando l’abbiamo trovata…» Si rivolse alla dottoressa Singh in cerca di aiuto.
«Vostra figlia era in coma» disse la dottoressa. «Era impossibile, in quelle condizioni, metterla in crio-fuga…»
«Ha fatto il balzo quantico senza crio-fuga?» domandò Sol. Aveva letto dei danni psicologici riportati da viaggiatori che avevano sperimentato direttamente l’effetto Hawking.
«No, no» lo calmò Singh. «Lo stato d’incoscienza la proteggeva con la stessa efficacia della crio-fuga.»
«È ferita?» domandò Sarai.
«Non lo sappiamo» rispose Singh. «Tutti i segni di vita sono tornati quasi alla normalità. L’attività delle onde cerebrali si avvicina allo stato di coscienza. Il guaio è che il corpo sembra avere assorbito… cioè, sembra che il campo anti-entropico l’abbia contaminata.»
Sol si fregò la fronte. «Come le malattie da radiazioni?»
La dottoressa Singh esitò. «Non proprio. Ah… questo caso non ha precedenti. Oggi pomeriggio alcuni specialisti in malattie dell’invecchiamento arriveranno da Tau Ceti Centro, da Lusus e da Metaxas.»
Sol la fissò negli occhi. «Dottoressa, vuol dire che su Hyperion Rachel ha contratto una malattia che la fa invecchiare?» S’interruppe un attimo, frugando nella memoria. «Qualcosa di simile alla sindrome di Matusalemme o all’antico morbo di Alzheimer?»
«No» disse Singh. «In realtà la malattia di vostra figlia non ha nome. Qui i dottori la chiamano morbo di Merlino. Vede… sua figlia invecchia a ritmo normale… ma, da quanto ci risulta, invecchia a ritroso.»
Sarai si staccò dal gruppetto e fissò Singh come se fosse impazzita. «Voglio vedere mia figlia» disse, piano ma con fermezza. «Voglio vedere Rachel, subito!»
Rachel si svegliò meno di quaranta ore dopo l’arrivo di Sol e di Sarai. Nel giro di qualche minuto si alzò a sedere sul letto, e fu in grado di parlare anche se medici e tecnici s’affaccendavano intorno a lei. «Mamma! Papà! Cosa ci fate, qui?» Prima che uno dei due rispondesse, si guardò intorno e batté le palpebre. «Un momento, dove siamo? A Keats?»
La madre le strinse la mano. «In un ospedale a Da Vinci, tesoro. Su Vettore Rinascimento.»
Rachel spalancò gli occhi, con aria quasi comica. «Rinascimento! Siamo nella Rete?» Si guardò intorno, attonita.
«Rachel, qual è l’ultima cosa che ricorda?» le chiese la dottoressa Singh.
La ragazza la fissò senza capire. «L’ultima cosa che ricordo… sono andata a dormire con Melio dopo…» Diede un’occhiata ai genitori e con la punta delle dita si toccò le guance. «Melio? Gli altri? Sono…»
«Tutti i componenti la spedizione stanno bene» disse la dottoressa Singh. «Lei ha avuto un piccolo incidente. Sono trascorse circa diciassette settimane. È tornata nella Rete. In salvo. I suoi colleghi stanno bene.»
«Diciassette settimane…» I resti dell’abbronzatura non riuscirono a nascondere l’improvviso pallore di Rachel.
Sol le prese la mano. «Come ti senti, bambina mia?» La pressione delle dita di Rachel era debole, sconsolante.
«Non so, papà» riuscì a dire la ragazza. «Stanca. Intontita. Confusa.»
Sarai si sedette sul letto e le circondò le spalle. «Va tutto bene, bambina. Andrà tutto bene.»
Melio entrò nella stanza, con la barba lunga e i capelli arruffati dal pisolino schiacciato nella saletta esterna. «Rachel?»
Rachel lo guardò, al sicuro nell’abbraccio della madre. «Ciao» disse, quasi timidamente. «Sono tornata.»
Sol aveva sempre pensato, e continuava a pensare, che in realtà la scienza medica non fosse cambiata molto dai giorni dei salassi e dei cataplasmi: ora i medici mettevano il malato nelle centrifughe, riallineavano il campo magnetico del corpo, lo bombardavano di onde soniche, penetravano nelle cellule per interrogare l’RNA, e alla fine ammettevano la propria ignoranza senza però dirlo chiaramente. L’unica vera differenza era il conto, molto più salato di un tempo.
Sonnecchiava nella poltrona, quando fu svegliato dalla voce di Rachel.
«Papà?»
Si alzò a sedere, le prese la mano. «Eccomi, bambina mia.»
«Dove sono, papà? Cos’è successo?»
«Sei in un ospedale di Rinascimento, bambina mia. Hai avuto un incidente, su Hyperion. Ora stai bene, ma la tua memoria è rimasta un po’ colpita.»
Rachel si afferrò alla sua mano. «Ospedale? Nella Rete? Come ci sono arrivata? Da quanto sto qui?»
«Da circa cinque settimane» mormorò Sol. «Qual è l’ultima cosa che ricordi, Rachel?»
Lei si lasciò ricadere sul cuscino e si toccò la fronte, dove erano impiantati minuscoli sensori. «Melio e io avevamo partecipato alla riunione. Avevamo parlato con la squadra di piazzare nella Sfinge l’attrezzatura di ricerca. Oh, papà, non ti ho parlato di Melio… è il mio…»
«Certo, certo» disse Sol. Le tese il comlog. «Tieni, piccolina. Ascolta questo.» Uscì dalla stanza.
Rachel sfiorò il diskey e batté le palpebre, quando sentì la propria voce. «Bene, Rachel, ti sei appena svegliata. Sei confusa. Non sai come sei arrivata qui. Ecco, ti è accaduto qualcosa, ragazza. Ascolta.
«Oggi è il dodicesimo giorno del mese Decimo, anno 457 dell’Egira, a.D. 2739 secondo il vecchio calendario. Sì, lo so che è passato mezzo anno standard dall’ultima cosa che ricordi. Ascolta.
«Dentro la Sfinge c’è stato un incidente. Sei rimasta presa nella marea del tempo. La marea ti ha cambiato. Invecchi a ritroso, per quanto sciocco sembri. Il corpo ringiovanisce a ogni minuto, ma non è questa la parte importante, al momento. Quando dormi… quando dormiamo… dimentichi. Perdi un altro giorno di ricordi prima dell’incidente e tutto il resto dopo. Non chiedermi perché. I medici non lo sanno. Gli esperti non lo sanno. Se vuoi un’analogia, pensa a un virus tenia del vecchio tipo, che divora i dati del tuo comlog… a ritroso dall’ultima registrazione.
«Non si sa neppure perché la perdita di memoria si verifica durante il sonno. Hanno provato a tenerti sveglia: dopo trenta ore, per un po’ cadi in stato catatonico e il virus fa comunque il suo lavoro. Quindi non vale la pena.
«Sai una cosa? Questo parlare di te come se si trattasse di un’estraneo è una specie di terapia. In realtà, sono qui distesa e aspetto che mi portino all’olocamera, sapendo che mi addormenterò al ritorno… sapendo che dimenticherò di nuovo ogni cosa… e sono spaventata da morire.