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«Bene, regola il diskey a breve termine: un discorsetto già pronto ti aggiornerà sull’accaduto a partire dall’incidente. Oh… mamma e papà sono qui e sanno di Melio. Ma io non so quel che prima sapevo. Quando abbiamo fatto l’amore con lui la prima volta, mmm? Il secondo mese su Hyperion? Allora, Rachel, ci restano solo alcune settimane: poi tu e Melio sarete solo amici. Goditi i ricordi finché puoi, ragazza.

«Firmato, la Rachel di ieri.»

Sol rientrò; la figlia, seduta sul letto, stringeva fra le mani il comlog, pallida e spaventata. «Papà…»

Sol si sedette accanto a lei e lasciò che piangesse… per la ventesima notte di fila.

Otto settimane standard dopo l’arrivo di Rachel su Rinascimento, Sol e Sarai salutarono la figlia e Melio al multiporto teleporter di Da Vinci e tornarono a casa, sul Mondo di Barnard.

«Secondo me, non doveva lasciare l’ospedale» brontolò Sarai, mentre prendevano lo shuttle della sera per Crawford. Sotto di loro, il continente era un mosaico di riquadri pronti per il raccolto.

«Madre» disse Sol toccandole il ginocchio «i medici l’avrebbero tenuta lì per sempre, ma solo per soddisfare la loro curiosità. Hanno fatto tutto quel che potevano per aiutarla… cioè niente. Ha una vita da vivere.»

«Ma perché andare via con… con lui?» protestò Sarai. «Lo conosce appena.»

Sol sospirò e si appoggiò allo schienale imbottito. «Ancora due settimane e non lo ricorderà per niente» disse. «Almeno, non quello che condividono ora. Guarda la cosa dal suo punto di vista, Madre. Lottare ogni giorno per riorientarsi in un mondo impazzito. Ha venticinque anni ed è innamorata. Lascia che sia felice.»

Sarai si girò verso il finestrino. Insieme, in silenzio, guardarono il sole rosso, sospeso come un pallone frenato sull’orlo della sera.

Sol era in pieno secondo semestre, quando Rachel lo chiamò. Era un messaggio unidirezionale via cavo teleporter da Freeholm: l’immagine della ragazza rimase sospesa, come un fantasma familiare, al centro della vecchia piazzuola di trasmissione.

«Ciao, mamma. Ciao, papà. Susate se nelle ultime settimane non ho scritto né chiamato. Saprete già che ho lasciato l’università. E Melio. Era stupido seguire corsi per neolaureati. Avrei solo dimenticato il martedì quello discusso il lunedì. Anche con i dischetti e i suggerimenti del comlog, era una battaglia persa in partenza. Posso iscrivermi di nuovo ai corsi universitari… di quelli ricordo tutto! Scherzavo.

«Era troppo dura, anche con Melio. Almeno così dicono le mie note. Non per colpa sua, di questo sono sicura. È stato gentile, paziente, amorevole, fino alla fine. Solo che… be’, non si può ricominciare una relazione ogni giorno. Il nostro appartamento era pieno di nostre fotografie, di appunti su di noi scritti da me stessa, di ologrammi di noi su Hyperion, ma… lo sapete. Ogni mattina Melio tornava a essere un perfetto sconosciuto. Il pomeriggio cominciavo a credere a quel che c’era stato fra noi, anche se non lo ricordavo. La sera piangevo fra le sue braccia: prima o poi dovevo andare a dormire. Meglio così.»

Rachel esitò, si girò come se stesse per interrompere il contatto, poi l’immagine tornò a stabilizzarsi. Sorrise. «Comunque, ho lasciato la scuola per un po’. Il centro medico di Freeholm mi vuole a tempo pieno, ma dovrebbero allinearsi… ho ricevuto un’offerta dall’Istituto di ricerca di Tau Ceti ed è difficile rinunciarci. Mi offrono un… credo lo chiamino “onorario di ricerca”… superiore a quanto pagammo per quattro anni a Nightenhelser e per tutto il tempo a Reichs messi insieme.

«Ho rifiutato. Ci vado ancora come paziente esterna; ma i trapianti di RNA mi lasciano piena di lividi e depressa. Certo, forse la depressione deriva solo dal non ricordare la mattina da dove provengono i lividi… ah, ah.

«Comunque, starò per un poco con Tanya, poi, forse… pensavo di tornare a casa. Nel mese Secondo compio gli anni… ne avrò di nuovo ventidue. Buffo, vero? A ogni modo, è molto più facile avere attorno gente che conosco… e ho conosciuto Tanya proprio appena mi sono trasferita qui, a ventidue anni. Sono sicura che capite.

«Perciò… la mia vecchia camera è ancora lì, mamma? O l’avete cambiata in un salottino per giocare a mah-jong, come minacciavate sempre? Scrivetemi o chiamatemi. La prossima volta metterò da parte i soldi per una comunicazione bidirezionale, così potremo parlarci. Solo… pensavo…»

Rachel agitò la mano. «Devo andare. Ciao ciao, maramao. Vi voglio bene.»

La settimana precedente il compleanno di Rachel, Sol volò a Bussard e aspettò la figlia nell’unico terminex teleporter pubblico del pianeta. La vide per primo, ferma accanto alle valigie, vicino all’orologio floreale. Sembrava giovane, ma non più di quando li aveva salutati su Vettore Rinascimento. No, si disse Sol, c’era qualcosa di meno fiducioso, nel suo atteggiamento. Scosse la testa per scacciare quei pensieri, la chiamò e corse ad abbracciarla.

La sorpresa sul viso di lei, quando si staccarono, era così intensa che Sol non poté ignorarla. «Che ti prende, tesoro? Che ti succede?»

Era una delle pochissime volte in cui aveva visto sua figlia restare completamente senza parole.

«Ah… tu… dimenticavo» balbettò Rachel. Scosse la testa nel suo solito modo e riuscì a piangere e a ridere insieme. «Sembri… diverso, papà, tutto qui. Ricordo… alla lettera… come t’ho lasciato qui, ieri. Quando ho visto… i tuoi capelli…» Rachel si coprì la bocca.

Sol si passò la mano sulla testa. «Ah, sì» disse, provando anche lui l’impulso di ridere e di piangere insieme. «Fra scuola e viaggi, per te sono passati più di undici anni. Sono invecchiato. E calvo.» Spalancò di nuovo le braccia. «Bentornata, piccola mia.»

Rachel si rifugiò nella protezione del suo abbraccio.

Per diversi mesi tutto andò bene. Rachel si sentiva più sicura, fra le cose familiari, e in Sarai il dolore per la malattia della figlia fu per il momento compensato dalla gioia di riaverla a casa.

Rachel si alzava di buon’ora ogni mattina e passava in esame il suo privato “spettacolo orientativo” che, come Sol sapeva, conteneva immagini di lui e di Sarai di dodici anni più anziani di quanto Rachel ricordasse. Sol cercò di immaginare quale effetto facesse tutto questo a Racheclass="underline" una ragazza si svegliava nel suo letto, fresca di ricordi, ventiduenne, a casa in vacanza prima d’andare all’estero a laurearsi… e trovava i genitori invecchiati all’improvviso, centinaia di piccoli cambiamenti nella casa e nella cittadina, notizie differenti… anni di storia che l’avevano solo sfiorata.

Sol non riuscì a immaginarlo.

Il primo errore fu quello di accontentare Rachel invitando i suoi vecchi amici alla festa per il suo ventiduesimo compleanno: lo stesso gruppo che l’aveva già festeggiato una volta… l’esuberante Niki, Don Stewart e il suo amico Howard, Kathi Obeg e Marta Tyn, la sua migliore amica Linna McKyler; tutti appena usciti dall’università, studenti che si scuotevano di dosso il bozzolo dell’adolescenza in attesa di una vita nuova.

Rachel li aveva incontrati, dopo il ritorno. Ma aveva dormito… e dimenticato. E questa volta Sol e Sarai non ricordarono che lei aveva dimenticato.

Niki aveva trentaquattro anni standard e due figli; era ancora energica, esuberante, ma vecchia, per lo standard di Rachel. Don e Howard parlavano dei loro investimenti, dei meriti sportivi dei propri figli, delle prossime ferie. Kathi era confusa, aveva rivolto la parola a Rachel solo due volte e come se parlasse a un’impostora. Marta era apertamente gelosa della giovinezza di Rachel. Linna, che nel frattempo era diventata un’ardente gnostica Zen, si era messa a piangere e se n’era andata presto.