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Quando anche gli altri se ne furono andati, Rachel rimase seduta nel soggiorno in disordine e fissò i resti della torta. Non pianse. Prima di salire di sopra, abbracciò la madre e mormorò al padre: «Papà, per favore, non farmelo più fare».

Poi andò a dormire.

Quella primavera Sol fece ancora il sogno. Era sperso in un luogo ampio e buio illuminato solo da due occhi rossi. Non ci fu niente di assurdo, quando la voce piatta disse:

“Sol! Prendi tua figlia, la tua unica figlia Rachel da te amata, vai sul mondo chiamato Hyperion e offrila come olocausto in un luogo che ti dirò”.

Sol urlò nel buio: “Ce l’hai già, figlio di puttana! Cosa devo fare, per portarla indietro? Dimmelo! Dimmelo, maledetto!”

E Sol Weintraub si svegliò, madido, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore pieno di rabbia. Nell’altra stanza sentiva sua figlia dormire, mentre il grande verme la divorava.

Nei mesi seguenti, Sol cercò con ossessione dati e notizie su Hyperion, le Tombe del Tempo e lo Shrike. Come ricercatore professionista, si stupì che esistessero così pochi documenti su un argomento tanto stimolante. C’era ovviamente la Chiesa Shrike (sul Mondo di Barnard non esistevano templi di questa chiesa, ma ce n’erano su diversi mondi della Rete) però scoprì presto che cercare dati oggettivi sul culto Shrike era come tentare di tracciare la mappa di Sarnath visitando un monastero buddista. Il tempo era menzionato nei dogmi della Chiesa Shrike, ma solo nel senso che lo Shrike era considerato “l’Angelo del Castigo al di là del Tempo” e che per la razza umana il tempo vero e proprio era terminato nel momento in cui la Vecchia Terra era morta e i quattro secoli seguenti erano stati “tempo falso”. Sol trovò che le caratteristiche di questi dogmi erano la solita mistura, comune a molte religioni, di frasi ambigue e aria fritta. Tuttavia decise di visitare un tempio della Chiesa Shrike, dopo avere esplorato vie di ricerca più serie.

Melio Arundez organizzò un’altra spedizione su Hyperion, anche questa finanziata dall’università Reichs, con lo scopo dichiarato di isolare e capire il fenomeno della marea del tempo che aveva inflitto a Rachel il morbo di Merlino. Un risultato importante fu la decisione del Protettorato egemonico di fornire alla spedizione un teleporter da installare a Keats, nel Consolato dell’Egemonia, ma anche così sarebbero trascorsi più di tre anni, tempo della Rete, prima che la spedizione raggiungesse Hyperion. Il primo impulso di Sol fu quello di partire con Arundez e la sua squadra (in qualsiasi olofilm drammatico i personaggi principali sarebbero tornati sulla scena dell’azione) ma nel giro di qualche minuto superò quell’impulso istintivo. Sol era uno storico e un filosofo, e un suo eventuale contributo al successo della spedizione sarebbe stato d’importanza irrilevante anche nel migliore dei casi. Rachel possedeva ancora l’interesse e le doti di un archeologo prossimo alla laurea, ma diminuivano di giorno in giorno e Sol non vedeva quale beneficio potesse venirle dal ritorno sul luogo dell’incidente. Ogni giorno per lei sarebbe stato una nuova sorpresa, con il risveglio in un mondo estraneo, in una missione che richiedeva capacità a lei ignote. E poi Sarai non l’avrebbe permesso.

Sol accantonò il libro a cui lavorava (un’analisi delle teorie di Kierkegaard sull’etica come moralità di compromesso in quanto applicata al meccanismo legale dell’Egemonia) e si concentrò nella raccolta di dati arcani sul tempo, su Hyperion e sulla storia di Abramo.

Mesi e mesi impiegati a portare avanti il normale lavoro e a raccogliere informazioni riuscirono a soddisfare ben poco il suo bisogno d’azione. Di tanto in tanto Sol sfogava la sua frustrazione sugli specialisti medici e scientifici che venivano a esaminare Rachel come sciami di pellegrini a un tempio sacro.

«Come diavolo può succedere una cosa del genere?» gridò a un piccolo specialista che aveva fatto l’errore di rivolgersi con un tono affettato e condiscendente al padre della ragazza. Il medico era così calvo che il suo viso sembrava dipinto su una palla da biliardo. «Comincia a diventare più piccola!» gridò ancora Sol, assalendo letteralmente l’esperto che cercava di scantonare. «Ancora non si vede, ma la massa ossea diminuisce! Come può ridiventare bambina? Come diavolo lo spiega, la legge di conservazione della massa?»

L’esperto aprì la bocca, ma era troppo confuso per parlare. Il suo collega barbuto rispose per lui: «Signor Weintraub, deve capire che al momento sua figlia ospita… ah… diciamo una zona localizzata di entropia invertita».

Sol si girò di scatto a fronteggiarlo. «Mi sta dicendo che è semplicemente racchiusa in una bolla d’inversione temporale?»

«Be’… no» rispose l’esperto, strofinandosi nervosamente il mento. «Forse un’analogia migliore è che… biologicamente, almeno… il metabolismo vitale è stato invertito… ah…»

«Stupidaggini!» replicò Sol, brusco. «Non defeca per nutrirsi né rigurgita il cibo. E l’attività neurologica? Inverta gli impulsi elettrochimici e otterrà solo un assurdo. Il cervello funziona, signori… sono i ricordi, a svanire. Perché, signori? Perché?»

Lo specialista alla fine ritrovò la voce. «Non sappiamo il perché, signor Weintraub. Matematicamente, il corpo di sua figlia sembra un’equazione rovesciata… o piuttosto un oggetto che è passato attraverso un buco nero in rapidissima rotazione. Non sappiamo come sia accaduto, signor Weintraub; e non sappiamo perché in questo caso si stia verificando un fatto fisicamente impossibile. Non ne sappiamo abbastanza, tutto qui.»

Sol strinse la mano ai due. «Magnifico. Era quel che volevo sapere, signori. Fate un buon viaggio di ritorno.»

Il giorno del suo ventunesimo compleanno, Rachel si presentò alla porta di Sol, un’ora dopo che si erano ritirati. «Papà?»

«Cosa c’è, bambina?» Sol indossò la vestaglia e la raggiunse sulla soglia. «Non riesci a dormire?»

«Non dormo da due giorni» mormorò lei. «Ho preso degli stimolanti per consultare tutta la roba nel file “Ti interessa?”.»

Sol annuì.

«Papà, hai voglia di scendere a bere un goccio con me? Vorrei parlarti di certe cose.»

Sol prese dal comodino gli occhiali e scese con lei al piano di sotto.

Fu la prima e unica volta che Sol si ubriacò insieme alla figlia. Non fu una sbronza chiassosa… per un po’ chiacchierarono, poi si misero a raccontare barzellette e a fare giochi di parole, finché tutt’e due risero troppo per continuare. Rachel iniziò a raccontare un’altra storiella, bevve un sorso proprio nel momento più comico e quasi schizzò whisky dalle narici, tanto rideva. Pensarono che fosse la cosa più buffa accaduta fino a quel momento.

«Vado a prendere un’altra bottiglia» disse Sol appena smise di lacrimare. «Il decano Moore mi ha regalato un po’ di scotch, lo scorso Natale… credo.»

Quando tornò, camminando con prudenza, Rachel si era seduta sul divano e si stava tirando indietro i capelli. Sol le versò un dito di liquore e per un po’ bevvero in silenzio.

«Papà?»

«Sì?»

«Ho riflettuto. Mi sono guardata, mi sono ascoltata, ho visto gli ologrammi di Linna e degli altri, tutti ormai di mezz’età…»

«Non direi. Linna ne avrà trentacinque il mese che viene…»

«Be’, vecchi, sai cosa intendo. Comunque, ho letto i bollettini medici, ho visto le foto prese su Hyperion, e sai una cosa?»

«Cosa?»

«Non ci credo, papà.»

Sol posò il bicchiere e fissò la figlia. Aveva un viso più pieno, meno sofisticato. E anche più bello.

«Cioè, in realtà ci credo» proseguì lei con una risatina spaventata. «Tu e mamma non mi fareste mai uno scherzo così crudele. E poi c’è la tua… la tua età… e le notizie e tutto il resto. So che è reale, ma non ci credo. Capisci cosa voglio dire, papà?»