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Nella breve nota, Spedling ipotizzava che quegli esseri umani fossero i superstiti di una nave coloniale dispersa tre secoli prima e descriveva con chiarezza un gruppo afflitto da tutti gli effetti culturali retrogradi dovuti all’estremo isolamento, al continuo incrocio fra consanguinei e al sovradattamento. Citando le parole di Spedling: ”… sono bastati meno di due giorni per capire che i Bikura sono troppo stupidi, letargici e idioti per sprecare del tempo a descriverli”. Alla fine, la foresta di fuoco aveva cominciato a mostrare segni di risveglio e Spedling non aveva sprecato altro tempo a studiare la tribù da lui scoperta. Si era affrettato a raggiungere la costa e, nei tre mesi che gli erano occorsi per mettersi in salvo, aveva perso nella foresta “in quiete” quattro portatori indigeni, tutto l’equipaggiamento, le registrazioni e il braccio sinistro.

«Mio Dio» disse padre Hoyt, disteso sulla branda della Nadia Oleg. «Perché i Bikura?»

«Perché no?» rispose con calma padre Duré. «Si sa ben poco, di loro.»

«Si sa ben poco di quasi tutto Hyperion» replicò il prete più giovane, un poco agitato. «E le Tombe del Tempo, allora? E il leggendario Shrike, a nord della Briglia, sul continente Equus? Tombe e Shrike sono famosi!»

«Precisamente» ribatté padre Duré. «Lenar, quanti studi sono stati scritti sulle Tombe e sullo Shrike? Cento? Mille?» L’anziano prete aveva pressato del tabacco nel fornello e acceso la pipa: impresa non da poco, a gravità zero. Hoyt l’osservò. «Inoltre» riprese padre Duré «anche se lo Shrike è reale, non è umano. E io preferisco gli esseri umani.»

«Sì» disse Hoyt, saccheggiando il proprio arsenale mentale in cerca d’argomentazioni efficaci. «Ma i Bikura sono un mistero piccolissimo! Al massimo troverà alcune decine d’indigeni che vivono in una regione così piena di nubi e di fumo e… così priva d’importanza che perfino i satelliti cartografici della colonia non l’hanno notata. Perché scegliere i Bikura, quando su Hyperion esistono misteri ben più importanti… i labirinti, per esempio!» Hoyt s’illuminò. «Sa, padre, che Hyperion è uno dei nove mondi labirinto?»

«Certo, Lenar» rispose padre Duré. Intorno a lui si allargò una semisfera irregolare di fumo che subito le correnti d’aria dispersero in tentacoli e volute. «Ma i labirinti hanno studiosi e ammiratori in tutta la Rete, e poi da quanto tempo esistono i tunnel lì e negli altri otto mondi? Mezzo milione di anni standard? Secondo me da un’epoca più vicina ai tre quarti di milione d’anni. Il loro segreto durerà, ma quanto durerà la civiltà Bikura, prima che il gruppo sia assorbito dalla società coloniale o, più probabilmente, sia spazzato via dalle circostanze?»

Hoyt scrollò le spalle. «Forse i Bikura sono già scomparsi. Da quando Spedling li ha incontrati è trascorso moltissimo tempo e non ci sono state altre relazioni che confermino la loro esistenza. Se sono ormai estinti, allora tutto il debito temporale, la fatica e la difficoltà per recarsi in quella zona non serviranno a niente.»

«Precisamente» rispose padre Duré, con calma, tirando boccate per mantenere accesa la pipa.

Nell’ultima ora trascorsa in compagnia del gesuita, durante la discesa sul pianeta, padre Hoyt riuscì a intuire, per un attimo e in parte, i pensieri di padre Duré. In alto, da quattro ore il lembo di Hyperion ardeva di luce bianca, verde e celeste, quando all’improvviso l’antiquata navetta penetrò negli strati superiori dell’atmosfera con un breve lampo di fiamma e poi sorvolò silenziosamente, a circa sessanta chilometri di quota, le masse scure di nubi e i mari illuminati dalle stelle, mentre l’accecante terminatore del sole sorgente di Hyperion si precipitava verso di loro come una spettrale e luminosa onda di marea.

«Meraviglioso» aveva mormorato Paul Duré, più a se stesso che al giovane compagno. «Meraviglioso. Proprio in occasioni come questa mi rendo conto, per quel poco che mi è possibile, di quale grande sacrificio sia stato per il Figlio di Dio accettare di divenire il Figlio dell’Uomo.»

Hoyt avrebbe voluto parlare ancora, ma padre Duré aveva continuato a guardare dall’oblò, perso nei suoi pensieri. Dieci minuti dopo erano atterrati nello spazioporto interstellare di Keats e, subito dopo, padre Duré era stato travolto dal turbine delle formalità doganali; dopo altri venti minuti un Lenar Hoyt totalmente deluso si alzava verso lo spazio e raggiungeva di nuovo la Nadia Oleg.

— Cinque settimane dopo, tempo personale, tornai su Pacem — disse padre Hoyt. — Avevo perduto otto anni, ma per qualche ragione il senso di perdita era più intenso di quanto fosse giustificabile. Subito dopo il ritorno, il vescovo m’informò che non si erano avute notizie di padre Duré, nel corso dei suoi quattro anni di permanenza su Hyperion. Il Nuovo Vaticano aveva speso una fortuna in indagini a mezzo astrotel, ma né le autorità coloniali, né il consolato a Keats erano riusciti a localizzare il prete scomparso.

Hoyt s’interruppe per bere un sorso d’acqua.

— Ricordo quell’indagine — disse il Console. — Non ho mai incontrato Duré, naturalmente, ma abbiamo fatto del nostro meglio per rintracciarlo. Theo, il mio segretario, ha speso un mucchio d’energie nel corso degli anni per risolvere il caso del prelato scomparso. A parte alcuni rapporti contraddittori sulla sua presenza a Port Romance, non c’era traccia di lui. E questi rapporti risalivano alle prime settimane successive al suo arrivo. Sul pianeta c’erano centinaia di piantagioni sprovviste di radio e di mezzi di comunicazione, soprattutto perché, oltre alla fibroplastica, producevano droghe distillate illegalmente. Ma forse non c’è accaduto di parlare alla gente della piantagione giusta. So soltanto che, quando me ne andai, la pratica di padre Duré era ancora aperta.

Padre Hoyt annuì. — Atterrai a Keats un mese dopo che il nuovo console le diede il cambio. Il vescovo rimase sorpreso quando mi offrii di tornare a Hyperion. Sua Santità in persona mi concesse udienza. Rimasi su Hyperion per meno di sette mesi locali e quando lo lasciai per fare ritorno alla Rete avevo scoperto la sorte di padre Duré. — Diede un colpetto ai due libriccini rilegati in pelle e macchiati, sul tavolo. — Se voglio completare la storia — aggiunse, con voce greve — devo leggerne alcuni brani.

La nave-albero Yggdrasill si era girata; la massa del tronco oscurava il sole, tanto che la piattaforma da pranzo e il baldacchino di foglie erano sprofondati nella notte. Però il cielo non era punteggiato di migliaia di stelle come quello di un pianeta, ma di milioni di soli, sopra, accanto e sotto il gruppetto seduto al tavolo. Hyperion era adesso una sfera chiarissima che si precipitava diritta verso di loro come un missile micidiale.

— Legga pure — disse Martin Sileno.

DAL DIARIO DI PADRE PAUL DURE

Giorno 1

Comincia così il mio esilio.

Non so esattamente come datare i miei appunti. Secondo il calendario monastico di Pacem, oggi è il 17 del Mese di Thomas, Anno del Signore 2732. Secondo il calendario standard dell’Egemonia, è il 12 ottobre del 589 p.C. Secondo il conteggio di Hyperion, a quanto m’ha detto il piccolo e rugoso portiere del vecchio albergo in cui alloggio, oggi è il 23 di Lycius (l’ultimo dei loro sette mesi di quaranta giorni) dell’anno 426 dal Disastro della Navetta, oppure dell’anno 128 del regno di Billy il Triste, che non è più re da almeno uno dei loro secoli.