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Sol si strofinò la guancia. Era il terzo giorno dall’incidente. Il giorno del funerale. Gliel’aveva detto ciascuno dei giorni precedenti, perché non riusciva nemmeno a immaginare di mentirle: gli sembrava il tradimento finale… di Sarai e di Rachel. Ma non aveva cuore di dirlo ancora. «È accaduto un incidente, Rachel» disse, con voce rauca e affannosa. «Mamma è morta. Oggi andiamo a dirle addio.» S’interruppe. Ormai sapeva che occorreva un minuto, prima che la morte della mamma per Rachel diventasse un fatto reale. Il primo giorno non sapeva se una bambina di quattro anni potesse capire davvero il concetto di morte. Rachel lo capiva e lui ora lo sapeva.

Più tardi, mentre stringeva a sé la bambina in lacrime, Sol cercò di capire l’incidente che le aveva descritto a brevi cenni. I VEM erano di gran lunga i più sicuri mezzi di trasporto personali che l’umanità avesse mai progettato. I loro sollevatori potevano guastarsi, ma anche in questo caso la carica residua nei generatori EM permetteva al veicolo aereo di scendere a terra senza pericolo, da qualsiasi altezza. Il progetto basilare dello strumento di sicurezza per evitare collisioni tra VEM non era cambiato nel corso di alcuni secoli. Ma la certezza non esiste mai. In questo caso, era stata una coppia di ragazzi che scorrazzava per divertimento su un VEM rubato, al di fuori delle corsie di traffico, a velocità di 1,5 mach, a luci spente e con i radarfari disinseriti, per non farsi scoprire, a sfidare tutte le leggi delle probabilità andando a urtare contro il vecchio Vikken di zia Tetha in fase di discesa sul campo d’atterraggio del teatro municipale di Bussard. Oltre a Tetha, Sarai e i due ragazzi, altre tre persone erano morte nello scpntro, quando pezzi dei veicoli erano precipitati nell’affollato atrio del teatro stesso.

Sarai.

«Mamma non la rivedremo più?» disse Rachel, fra le lacrime. L’aveva detto ogni volta.

«Non so, tesoro mio» rispose Sol, sincero.

Il funerale si tenne nel cimitero di famiglia della contea di Kates, sul Mondo di Barnard. La stampa non invase il cimitero vero e proprio, ma alcuni robocron si librarono fra gli alberi e si ammassarono contro la scura cancellata di ferro, simili a un’irata marea tempestosa.

Richard voleva che Sol e Rachel si fermassero per qualche giorno, ma Sol sapeva quale sofferenza sarebbe toccata a un tranquillo contadino, se la stampa avesse continuato l’assalto. Allora abbracciò Richard, parlò brevemente ai cronisti che rumoreggiavano al di là della recinzione e tornò su Hebron tirandosi dietro una Rachel sbigottita e silenziosa.

I robocron li seguirono a Nuova Gerusalemme e tentarono di seguirli anche a Dan, ma la polizia militare bloccò i VEM presi a nolo, sbatté in galera una decina di persone che servissero da esempio, e revocò al resto il visto teleporter.

La sera Sol camminò lungo le creste sopra il villaggio, mentre Judy badava alla bambina addormentata. Scoprì che adesso il suo dialogo con Dio era intelligibile e tenne a freno l’impulso di agitare il pugno al cielo, di gridare bestemmie, di tirare sassi. Invece gli rivolse delle domande che terminavano sempre con: Perché?

Non ci fu risposta. Il sole di Hebron tramontò dietro creste lontane e le rocce brillarono nel cedere il calore. Sol si sedette sopra un grosso sasso e si strofinò le tempie.

Sarai.

Avevano vissuto una vita piena, anche quando incombeva su di loro la tragedia della malattia di Rachel. Era davvero ironico che Sarai, alla prima ora di pace con sua sorella… Sol gemette a voce alta.

La trappola, naturalmente, era stata la totale dedizione alla malattia di Rachel. Nessuno dei due aveva saputo affrontare il futuro al di là della… morte? scomparsa?… di Rachel. Il mondo era dipeso da ogni giorno in cui la loro figlia era viva e non avevano rivolto alcun pensiero alla possibilità d’un incidente, perversa antilogica di uno spietato universo. Sol era sicuro che Sarai, come lui stesso, avesse pensato al suicidio, ma nessuno dei due avrebbe mai abbandonato l’altro. O Rachel. Lui non aveva mai riflettuto sulla possibilità di essere da solo con Rachel, quando…

Sarai!

In quel momento Sol capì che il dialogo, spesso rabbioso, che per tanti millenni il suo popolo aveva avuto con Dio non era terminato con la morte della Vecchia Terra… e neppure con la Nuova Diaspora… ma continuava ancora. Lui, Rachel e Sarai ne avevano fatto parte, ne facevano parte ora. Sol lasciò che il dolore arrivasse. Lo travolse, con la spietata sofferenza della fermezza.

Si fermò su una cresta e pianse, mentre l’oscurità calava.

Al mattino, era accanto al letto di Rachel. La luce del sole riempiva la cameretta.

«Buon giorno, papà.»

«Buon giorno, tesoro.»

«Papà, dove siamo?»

«Abbiamo fatto un viaggio. È un posto grazioso.»

«Mamma dov’è?»

«Oggi è da zia Tetha.»

«Domani la vedremo?»

«Sì» disse Sol. «Ora metti il vestito, mentre preparo la colazione.»

Quanto Rachel tornò ad avere tre anni, Sol iniziò a presentare petizioni alla Chiesa Shrike. I viaggi su Hyperion erano ormai molto limitati e l’accesso alle Tombe del Tempo era in pratica impossibile. Solo un occasionale Pellegrinaggio allo Shrike inviava gente in quella regione.

Rachel si rattristò perché era lontana dalla mamma, il giorno del terzo compleanno; ma la visita di parecchi bambini del kibbutz la distrasse un poco. Il regalo principale fu un libro di fiabe illustrato che Sarai aveva comprato per lei a Nuova Gerusalemme qualche mese prima.

Sol lesse a Rachel alcune di quelle favole per farla addormentare. Da sette mesi la bambina non sapeva più leggere una parola. Ma le piacquero le favole, in particolare “La bella addormentata”, e volle che suo padre gliela rileggesse.

«La mostrerò a mamma quando torniamo a casa» disse fra gli sbadigli, mentre Sol spegneva la luce in alto.

«Buona notte, piccolina» disse lui piano, soffermandosi sulla soglia.

«Papà?»

«Sì?»

«Ciao ciao, maramao.»

«A fra poco, bel topo.»

Rachel ridacchiò contro il cuscino.

Non era molto diverso, pensò Sol negli ultimi due anni, dal veder invecchiare la persona amata. Ma era peggio. Mille volte peggio.

A Rachel erano caduti i denti definitivi, a intervalli, nel periodo fra l’ottavo e il secondo compleanno. Erano stati sostituiti dai denti di latte, ma a diciotto mesi la metà si era ritirata nelle gengive.

I capelli di Rachel, che erano sempre stati la sua unica vanità, divennero più corti e più radi. Il viso perse la forma ben nota, mentre il grasso infantile copriva gli zigomi e il mento volitivo. Per gradi Rachel perdette la coordinazione nei movimenti, visibile all’inizio nella goffaggine a reggere la forchetta o la matita. Il giorno in cui disimparò a camminare, Sol la depose di buonora nella culla e poi si ritirò nello studio a sbronzarsi in silenzio.

La perdita della parola fu per Sol la più difficile da sopportare. Il vocabolario di Rachel si ridusse con la velocità dell’incendio d’un ponte fra loro e recise l’ultimo filo di speranza. Qualche tempo dopo il secondo compleanno di Rachel, Sol rimboccò la coperta alla piccina, si fermò sulla soglia e le disse. «Ciao ciao, maramao».

«Eh?»

«Ciao ciao, maramao.»

Rachel ridacchiò.

«E tu rispondi: A fra poco, bel topo» disse Sol. Le spiegò il significato di maramao e di topo.

«A fla poco be’ topo» ridacchiò Rachel.

Il mattino dopo aveva dimenticato.

Sol portò con sé Rachel, nei suoi viaggi per la Rete (ormai dei robocron se ne fregava) a presentare petizioni alla Chiesa Shrike per ottenere il diritto di pellegrinaggio, a sollecitare il Senato per un visto e un permesso d’accesso alle zone proibite di Hyperion, a visitare ogni istituto di ricerca e ogni clinica che potessero offrire una cura. Sprecò vari mesi, mentre altri medici si dichiaravano sconfitti. Quando tornò su Hebron, Rachel aveva quindici mesi standard; nelle antiche unità di misura adoperate su Hebron, pesava venticinque libbre ed era alta trenta pollici. Non si vestiva più da sola. Il suo vocabolario comprendeva venticinque parole: le più usate erano “mamma” e “papà”.