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— Dio mio — disse piano Brawne Lamia. Aprì la bocca per continuare, poi si limitò a scuotere la testa.

Martin Sileno chiuse gli occhi e disse:

Considerato che, rimosso tutto l’odio, l’anima riacquista radicale innocenza e impara infine che è per essa delizioso, appagante, allarmante, e che il suo dolce volere è volere del Cielo; lei può, anche se ogni viso s’acciglia e ulula il vento da ogni quadrante o soffia ogni mantice, essere ancora felice.

— William Butler Yeats? — domandò Sol Weintraub.

Sileno annuì. — “Preghiera per mia figlia”.

— Vado sul ponte a prendere una boccata d’aria, prima di mettermi a letto — disse il Console. — Qualcuno ha voglia di farmi compagnia?

Tutti annuirono. La brezza provocata dal movimento del carro era rinfrescante, mentre dal casseretto guardavano passare fra i brontolii il rabbuiato mare d’Erba. Il cielo era un’enorme coppa schizzata di stelle e graffiata dalla scia delle meteoriti. Le vele e il sartiame scricchiolavano con un rumore antico quanto il viaggio umano.

— Credo che sia meglio mettere delle sentinelle, stanotte — disse il colonnello Kassad. — Uno di guardia, mentre gli altri dormono. Turni di due ore.

— Sono d’accordo — disse il Console. — Faccio io il primo.

— Domattina… — cominciò Kassad.

— Guardate! — esclamò padre Hoyt.

Seguirono l’indicazione del suo braccio. Fra lo splendore delle costellazioni, brillarono globi di fuoco colorato… verde, viola, arancione, verde ancora… che illuminarono la vasta piana d’erba come fulmini da calore. Le stelle e le scie meteoriche impallidirono, insignificanti di fronte all’improvviso spettacolo.

— Esplosioni? — azzardò il prete.

— Battaglia spaziale — disse Kassad. — Cislunare. Armi a fusione. — Scese rapidamente di sotto.

— L’Albero — disse Het Masteen, indicando un puntino luminoso che si muoveva fra le esplosioni come una favilla in uno spettacolo pirotecnico.

Kassad tornò portando il binocolo elettronico e lo passò in giro.

— Ouster? — domandò Lamia. — L’invasione?

— Ouster, quasi certamente — rispose Kassad. — Ma solo una squadra esplorativa, direi. Vede quei grappoli? Sono missili dell’Egemonia intercettati dagli antimissili Ouster.

Il binocolo toccò al Console. Ora i lampi erano chiarissimi, cumuli di fuoco in espansione. Il Console distingueva il puntino e la lunga scia azzurra di almeno due vedette che sfuggivano agli inseguitori dell’Egemonia.

— Non credo… — iniziò Kassad; s’interruppe, mentre carro, vele e mare d’Erba brillavano d’un vivido arancione, nel riflesso.

— Sant’Iddio — mormorò padre Hoyt. — Hanno colpito la nave-albero.

Il Console spostò di scatto a sinistra il binocolo. Il crescente nimbo di fuoco si vedeva a occhio nudo, ma col binocolo il tronco lungo dieci chilometri e lo spiegamento di rami dell’Yggdrasill fu visibile per un istante, mentre ardeva e avvampava, con lunghi filamenti di fuoco che s’inarcavano nello spazio mentre i campi di contenimento cedevano e l’ossigeno bruciava. La nube arancione pulsò, impallidì, ricadde su se stessa; il tronco tornò visibile per un ultimo istante, poi avvampò e si spezzò come l’ultimo lungo tizzone d’un fuoco morente. Nulla poteva essere sopravvissuto. La nave-albero Yggdrasill, con il suo equipaggio, il complemento di cloni e di semisenzienti erg motori, era morta.

Il Console si rivolse a Het Masteen e con gesto tardivo gli tese il binocolo. — Mi… mi spiace davvero — mormorò.

L’alto Templare non prese il binocolo. Lentamente distolse lo sguardo dal cielo, si tirò sugli occhi il cappuccio e senza una parola scese di sotto.

La morte della nave-albero fu l’esplosione conclusiva. Passarono dieci minuti senza che altri lampi turbassero la notte. — Credete che li abbiano presi? — disse Brawne Lamia.

— Gli Ouster? — disse Kassad. — Probabilmente no. Le vedette sono costruite per la velocità e l’autodifesa. Ormai saranno a minuti-luce di distanza.

— Hanno assalito di proposito la nave-albero? — chiese Sileno. Il poeta sembrava del tutto sobrio.

— Non penso — rispose Kassad. — Un semplice bersaglio casuale.

— Bersaglio casuale — ripeté Sol Weintraub. Scosse la testa. — Vado a dormire qualche ora, prima dell’alba.

A uno a uno, anche gli altri scesero. Quando sul ponte rimase solo Kassad, il Console disse: — Dove dovrei montare la guardia?

— Faccia il giro — disse il colonnello. — Dal corridoio principale in fondo alla scaletta si vedono la porta di ogni cabina e l’ingresso della mensa e della cambusa. Salga a controllare passerella e ponti. Tenga accese le lanterne. È armato?

Il Console scosse la testa.

Kassad gli diede la neuroverga. — È regolata sul raggio compatto, circa mezzo metro fino a dieci metri di portata. Non l’adoperi se non è sicuro della presenza di intrusi. La piastrina ruvida che scorre in avanti è la sicura. Al momento è inserita.

Il Console annuì, badando bene a tenere il dito a distanza dal pulsante di sparo.

— Salgo a darle il cambio fra due ore — disse Kassad. Controllò il comlog. — Prima che il mio turno finisca, sarà l’alba. — Guardò il cielo, come se si aspettasse che l’Yggdrasill ricomparisse a riprendere il suo cammino luminoso. Solo le stelle splendevano. Lungo l’orizzonte di nordest, una massa mobile nera prometteva tempesta.

Kassad scosse il capo. — Che spreco — disse. E scese sottocoperta.

Per un po’ il Console rimase ad ascoltare il vento contro le vele, i rumori del sartiame, il brontolio della ruota. Poi andò al parapetto e fissò le tenebre, pensieroso.

5

L’alba sopra il mare d’Erba era uno spettacolo bellissimo. Il Console lo ammirò dal punto più alto del ponte di poppa. Dopo il suo turno di guardia aveva cercato di dormire, ci aveva rinunciato ed era tornato in coperta a guardare la notte impallidire nel giorno. Il fronte di tempesta aveva coperto di basse nubi il cielo; il sole nascente accendeva il mondo d’oro vivido, riflesso dall’alto e dal basso. Le vele e le funi del carro a vela e le assi logore brillarono nella breve benedizione di luce, nei pochi momenti prima che il sole venisse oscurato dal soffitto di nuvole e ancora una volta i colori sparissero dal mondo. Il vento che seguì il chiudersi di quel sipario era gelido, quasi soffiasse dai picchi innevati della Briglia, appena visibili come una scura massa confusa contro l’orizzonte di nordest.

Brawne Lamia e Martin Sileno si unirono al Console sul ponte di poppa, reggendo ciascuno una tazza di caffè. Il vento agitò e tirò le sartie. La folta massa di ricci svolazzò intorno al viso di Brawne Lamia, come un nimbo scuro.

— ’Giorno — brontolò Sileno, guardando a occhi socchiusi, sopra la tazza di caffè, il mare d’Erba increspato dal vento.

— Buon giorno — rispose il Console, stupito di sentirsi così attento e rinvigorito dopo la totale mancanza di sonno della notte precedente. — Abbiamo vento contrario, ma sembra che il carro proceda lo stesso a una buona velocità. Arriveremo senz’altro alle montagne, prima di sera.

— Grrnn — commentò Sileno e tuffò il naso nella sua tazza di caffè.

— Stanotte non ho chiuso occhio — disse Brawne Lamia. — Pensavo alla storia di Weintraub.

— Non credo… — cominciò il poeta, ma s’interruppe: Weintraub era comparso sul ponte, con la piccina che guardava fuori dall’orlo del porta-neonati appeso al collo del padre.