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«Sì.»

Annuii. Le registrazioni del teleporter risolverebbero qualsiasi crimine interplanetario, se i portali fossero dei veri e propri macchinari di teletrasporto; il registro dati di transito avrebbe ricreato il soggetto in tutti i particolari, fino all’ultimo grammo e all’ultimo follicolo. Invece il teleporter è solo un rozzo foro praticato nello spaziotempo da un’anomalia in fase. Se un criminale non usa la sua carta di credito, gli unici dati ottenibili sono il luogo di partenza e di destinazione.

«Dove avete preso il teleporter?» domandai.

«Su Tau Ceti Centro.»

«Ha il codice del portale?»

«Certo.»

«Andiamo a terminare là la nostra conversazione» dissi. «Qui c’è una puzza da morire.»

TC2, il vecchissimo soprannome di Tau Ceti Centro, è senza dubbio il mondo più affollato dell’intera Rete. In aggiunta ai cinque miliardi di persone che s’arrabbattano per trovare spazio in un’area pari alla metà della Vecchia Terra, ha un anello ecologico orbitale abitato da un altro mezzo miliardo di anime. Oltre a essere la capitale dell’Egemonia e la sede del Senato, TC2 è il nesso degli affari commerciali della Rete. Ovviamente, il numero trovato da Johnny ci portò a un terminex di seicento portali, in una delle guglie più vaste di Nuova Londra, una delle sezioni più antiche e più vaste della città.

«Diavolo» dissi. «Andiamo a bere un goccio.»

Nelle vicinanze del terminex c’era un’ampia scelta di bar: entrammo in un locale relativamente tranquillo, che simulava una taverna marinara, buia, fresca, piena di finto legno e finto ottone. Ordinai una birra. Non bevo mai roba forte, e non uso Flashback, quando lavoro a un caso. A volte penso che la necessità di autodisciplina sia quel che mi tiene in affari.

Anche Johnny ordinò una birra: scura, tedesca, imbottigliata su Vettore Rinascimento. Chissà quali erano i vizi di un cìbrido, mi chiesi.

Dissi: «Ha trovato altro, prima di venire da me?»

Il giovanotto allargò le mani. «Niente.»

«Merda» esclamai, in tono reverenziale. «È uno scherzo. Con tutti i poteri dell’IA a sua disposizione, non riesce a ricostruire l’ambiente e le azioni del suo cìbrido nei giorni precedenti… l’incidente?»

«No.» Johnny sorseggiò la birra. «Anzi, potrei; ma ho dei motivi per non volere che i miei colleghi IA scoprano che indago.»

«Sospetta di uno di loro?»

Invece di rispondere, Johnny mi diede il rendiconto degli acquisti fatti con la sua carta universale. «L’interruzione causata dal mio omicidio ha lasciato scoperti cinque giorni standard. Ecco le spese del periodo.»

«Non aveva detto che la sconnessione era durata solo un minuto?»

Johnny si grattò la guancia con un dito. «Sono stato fortunato a perdere solo cinque giorni di dati» rispose.

Chiamai con un gesto il cameriere umano e ordinai un’altra birra. «Senta» dissi «Johnny… chiunque lei sia, non riuscirò mai a farmi un’idea di questo caso senza avere altri dati su di lei e sulla sua situazione. Perché qualcuno avrebbe voluto ucciderla, pur sapendo che sarebbe stato ricostituito o come diavolo si dice?»

«A mio parere, i motivi possibili sono due» rispose Johnny, da sopra il bicchiere di birra.

Annuii. «Uno sarebbe quello di creare proprio la perdita di ricordi che hanno già realizzato. Possiamo presumere che, qualsiasi cosa abbiano voluto farle dimenticare, si sia verificata o sia arrivata alla sua attenzione nell’ultima settimana, più o meno. Qual è il secondo motivo?»

«Inviarmi un messaggio» rispose Johnny. «Ma non so quale sia. O da chi provenga.»

«Non sa chi vorrebbe la sua morte?»

«No.»

«Nessun sospetto?»

«Nessuno.»

«Molti omicidi sono la conseguenza d’improvvisi e irrazionali scoppi d’ira da parte di persone che la vittima conosce bene. Familiari. Amici. Amanti. La maggior parte degli omicidi premeditati è compiuta da persone vicine alla vittima.»

Johnny non disse niente. Nel suo viso c’era qualcosa che trovavo oltremodo attraente… una sorta di forza mascolina combinata con un senso femminile di consapevolezza. Forse erano gli occhi.

«Le IA hanno famiglia?» domandai. «Litigi? Battibecchi? Bisticci d’innamorati?»

«No.» Accennò a un sorriso. «Esistono accomodamenti quasi familiari, ma non hanno nessuna pretesa di emozioni e di responsabilità come avviene nelle famiglie umane. Le “famiglie” IA sono in primo luogo convenienti gruppi di codice per mostrare dove hanno avuto origine certi processi tendenziali.»

«Allora non pensa che ad assalirlo sia stata un’altra IA?»

«Può darsi.» Johnny rigirò fra le dita il bicchiere. «Solo, non capisco perché mi avrebbe assalito attraverso il mio cìbrido.»

«Accesso più facile?»

«Forse. Ma complica le cose, per l’aggressore. Un attacco al piano dati sarebbe stato infinitamente più micidiale. Inoltre, non vedo nessun movente, per un’IA. Non ha senso. Non rappresento una minaccia per nessuno.»

«Perché ha un cìbrido, Johnny? Forse se riesco a capire il suo ruolo nella faccenda, riuscirò a immaginare un movente.»

Lui prese una ciambellina croccante salata e ci giocherellò. «Ho un cìbrido… in un certo senso, sono un cìbrido, perché la mia… funzione… è quella di osservare gli esseri umani e reagire alla loro presenza. In un certo senso, io stesso un tempo ero umano.»

Scossi la testa, accigliata. Finora niente di quel che aveva detto aveva senso.

«Ha mai sentito parlare del progetto di recupero di personalità?» mi chiese.

«No.»

«Un anno standard fa i simulatori della FORCE ricrearono la personalità di Horace Glennon-Height per scoprire che cosa lo rendeva un generale così brillante. Era in tutti i notiziari.»

«Già.»

«Bene, sono, o ero, un progètto di recupero, più antico e più complesso. Il nucleo della mia personalità si basava su un poeta della Vecchia Terra pre-Egira. Nato nel tardo Diciottesimo secolo dell’Antico Calendario.»

«Come diavolo fanno, a ricostruire una personalità così perduta nel tempo?»

«Scritti. Le sue lettere. Diari. Biografie critiche. Testimonianze d’amici. Il sim ricrea l’ambiente, inserisce i fattori noti e funziona a ritroso a partire dai prodotti creativi. Et voilà… un nucleo di personalità. Grezzo, all’inizio; ma relativamente raffinato quando cominciai a esistere io. Il nostro primo tentativo fu un poeta del Ventesimo secolo, un certo Ezra Pound. La nostra personalità era caparbia al limite dell’assurdità e funzionalmente insana. Fu necessario un anno di rabberciamenti, prima di scoprire che la personalità era esatta: quell’uomo era pazzo. Un genio, ma pazzo.»

«E poi? Le costruiscono una personalità sulla base di un antico poeta. E dopo?»

«Diventa lo stampo nel quale l’IA si sviluppa» disse Johnny. «Il cìbrido mi consente di continuare il mio ruolo nella comunità del piano dati.»

«Come poeta?»

Johnny sorrise di nuovo. «Come poema, piuttosto» rispose.

«Come poema?»

«Un’opera d’arte in evoluzione… ma non nel senso umano. Un rompicapo, forse. Un enigma variabile che di tanto in tanto offre intuizioni insolite in linee d’analisi più serie.»

«Non capisco.»

«Probabilmente non ha importanza. Non sono affatto sicuro che il mio… scopo… sia stato la causa dell’aggressione.»

«Quale ritiene sia stata la causa?»

«Non ne ho la minima idea.»

Mi sembrava un giro vizioso. «E va bene. Cercherò di scoprire che cosa faceva e con chi era durante quei cinque giorni perduti. C’è altro, oltre al rendiconto delle spese, che ritiene possa essermi utile?»

Johnny scosse la testa. «Capisce, vero, perché è importante per me conoscere l’identità di chi mi ha assalito e il suo movente?»