— Molto bene, Nessus. Noi quattro costituiamo l’ambasciata kzinti sulla Terra. Questo è Harch, questo è Ftanss e quello con le strisce gialle è Hroth. Io sono solo un apprendista, e vengo da famiglia modesta, quindi non ho un nome. Sono designato col mio titolo professionale: Speaker-agli-Animali.
Louis se ne risentì.
— Il problema è che la nostra presenza qui è necessaria. Trattative delicate… ma che non vi riguardano. Si è deciso che soltanto io posso essere sostituito. Se la vostra nuova nave ha un reale valore, mi unirò a voi. In caso contrario dovrò dar prova del mio coraggio in qualche maniera.
— È soddisfacente — disse il burattinaio e si alzò. Louis rimase seduto e chiese: — Qual è la traduzione della tua qualifica in lingua kzinti?
— Nella Lingua dell’Eroe… — lo kzin pronunciò alcune parole arrotando la erre in modo acuto.
— Allora perché non l’hai detto nella tua lingua? Era un insulto deliberato?
— Sì — rispose. — Ero furioso.
Conoscendo le loro abitudini, Louis si era aspettato che lo kzin mentisse. Louis avrebbe fatto finta di credergli e lo kzin, in futuro, si sarebbe mostrato più cortese… adesso era troppo tardi per fare marcia indietro. Louis ebbe un attimo di esitazione prima di dire: — E quale sarebbe l’usanza?
— Dobbiamo batterci a mani nude… dopo che tu mi avrai lanciato la sfida. Oppure uno di noi due deve porgere le sue scuse.
Louis si alzò. Era un suicidio, ma conosceva le usanze maledettamente bene. — Ti sfido a duello — disse. — Dente per dente, unghia per unghia, visto che non siamo capaci di dividerci un universo in pace.
Senza alzare la testa, lo kzin chiamato Hroth disse ad alta voce: — Faccio io le scuse per il mio compagno Speaker-agli-Animali.
— Che? — esclamò Louis.
— È il mio compito — spiegò lo kzin con le strisce gialle. — Data la sua indole, è naturale per uno kzin trovarsi nella condizione di battersi o di chiedere scusa. Sappiamo che cosa accade quando ci battiamo. Al giorno d’oggi la popolazione kzinti è un ottavo di meno di quanto non fosse quando abbiamo conosciuto gli uomini. I nostri mondi coloniali sono passati a voi, ogni specie da noi asservita è stata emancipata e ha imparato l’etica e la tecnologia umana. Quando uno di noi deve scegliere tra il combattimento e le scuse, io ho l’incarico di porgere le scuse per lui.
Louis si risedette. Non era ancora giunta la sua ora. — Non mi piacerebbe per niente avere un incarico come il tuo — osservò.
— Lo credo bene, visto che volevi batterti disarmato con uno kzin. Ma il Patriarca mi considera inabile a qualsiasi altro lavoro. Non sono molto intelligente e la mia salute è malferma; la mia capacità organizzativa è terribile. In che altro modo potrei conservarmi un nome?
Louis inghiottì un sorso di tequila sperando che qualcuno cambiasse argomento. Si sentiva imbarazzato di fronte all’umiltà dello kzin.
— Mangiamo — propose Speaker. — A meno che la nostra missione non sia urgente, Nessus.
— Niente affatto. Il nostro equipaggio non è ancora al completo. I miei colleghi mi chiameranno non appena avranno individuato un quarto membro qualificato. Ma certo! Mangiamo.
Speaker-agli-Animali aggiunse qualcosa prima di rigirarsi verso il suo tavolo. — Louis Wu, la tua sfida era prolissa. Per sfidare uno kzin basta un urlo di rabbia. Urla e scatta.
— Urla e scatta — fece Louis. — Magnifico.
E IL SUO EQUIPAGGIO ETEROGENEO
Louis Wu conosceva diverse persone che, quando si servivano delle cabine-transfert, chiudevano gli occhi. Il salto improvviso nella scena della vita procurava loro un senso di vertigine. Secondo Louis erano tutte sciocchezze; aveva qualche amico ancora più strano.
Tenne gli occhi ben aperti e compose il numero. Gli alien che lo stavano osservando scomparvero. Qualcuno gridò: — Ehi! È ritornato!
La folla si accalcò alla porta. Louis dovette spingere con forza per aprirla. — Maledetti pazzi, tutti quanti! Nessuno se n’è andato a casa? — Allargò le braccia, e li spinse con forza per farsi strada, come uno spazzaneve. — Sgomberate, cafoni! Stanno arrivando altri ospiti!
— Magnifico! — gli strepitò una voce negli orecchi. Mani anomime cercarono di afferrare la sua infilandogli tra le dita un bicchiere a bulbo. Louis abbracciò sette o otto invitati sorridendo al loro benvenuto.
Louis Wu. Visto da lontano aveva l’aspetto di un orientale dalla pelle gialla e i capelli bianchi. Il ricco mantello blu era drappeggiato con una tale noncuranza che sembrava ostacolargli i movimenti.
Ma da vicino era tutto un trucco. La pelle non era bruno giallastra, ma aveva un caldo colore giallo cromo, il colore di un fumetto Fu Manchu. Il codino era troppo grosso, non canuto per l’età, ma di un bianco purissimo con un tocco sublimale di blu, il colore di una stella nana. Come usavano tutti i cittadini di quel mondo uniforme, anche Louis Wu si truccava con i colori cosmetici.
Uno della massa. Lo si vedeva a prima vista. I suoi lineamenti non erano né caucasici né negroidi e neppure mongoloidi, pur conservando le tracce di tutte e tre le razze: una semplice mescolanza di quelle caratteristiche acquisita col passare dei secoli. Afferrò il bicchiere a bulbo sorridendo ai suoi ospiti. Il suo sguardo incontrò un paio di occhi d’argento a pochi centimetri dai suoi.
Una certa Teela Brown gli era finita, non si sa come, naso contro naso, petto contro petto. La sua pelle azzurra era ricoperta da una reticella di fili argentei; l’ondeggiante acconciatura lanciava fiamme come un falò. Le sue pupille erano specchi convessi. Aveva vent’anni. Louis aveva già chiacchierato con lei; era una conservatrice superficiale, piena di clichés e facile agli entusiasmi. Però, molto carina.
— Volevo chiederti — gli disse, — come sei riuscito a fare venire qui un Trinoc.
— Non dirmi che è ancora qui.
— No. È stato costretto a ritornare a casa perché gli si stava esaurendo l’aria.
— Una bugiola innocente — l’informò Louis. — I generatori d’aria dei Trinocs durano per settimane. Be’, se vuoi saperlo, una volta questo Trinoc è stato mio ospite e mio prigioniero per un paio di settimane. La sua nave, insieme a tutto l’equipaggio, era andata distrutta al limite dello spazio conosciuto, e io sono stato costretto a portarlo a Margravia e a installare per lui un abitacolo alle sue condizioni ambientali.
Gli occhi della ragazza esprimevano una stupita ammirazione. Louis fu piacevolmente sorpreso nel notare che si trovavano alla stessa altezza dei suoi: la fragile bellezza di Teela Brown la faceva apparire più piccola di quanto non fosse. Gli occhi di lei scivolarono dietro le spalle di Louis e si sgranarono ancora di più. Louis si voltò e sogghignò.
Nessus, il burattinaio, stava trotterellando fuori della cabina-transfert.
Louis ci aveva pensato nello stesso momento in cui avevano lasciato il Krushenko. Aveva tentato di persuadere Nessus a dire qualcosa sulla destinazione. Ma il burattinaio temeva l’interferenza di eventuali spie.
— Allora vieni a casa mia — aveva suggerito Louis.
— E i tuoi ospiti?
— Non sono certo nel mio ufficio. E il mio ufficio è assolutamente a prova di micro-spie. E poi, pensa alla sensazione che farai al party.
L’effetto fu proprio come Louis aveva desiderato. Di colpo, nel salone, non si sentì alcun rumore al di fuori del tuc-tuc-tuc degli zoccoli del burattinaio. Dietro di lui balzò nella realtà Speaker-agli-Animali. Lo kzin si mise ad osservare la marea di visi umani che circondavano la cabina. Poi, lentamente, sfoderò i denti.