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Speaker era a dieci metri di distanza, in mezzo al Mare dei Sargassi di metallo. Quattro dita nere e un ciuffo di pelo arancione spuntavano tra i palloni di tela verde. Non c’era modo di avvicinarsi. Lo kzin poteva essere già morto.

In basso, fra le ossa biancheggianti, ci doveva essere almeno una dozzina di teschi. Ossa, secoli, metallo arrugginito e silenzio.

Era nel domiveglia quando poco dopo qualcosa cambiò. Cominciava a perdere l’equilibrio…

La sua vita era appesa a un filo e il disorientamento momentaneo lo riempì di panico. Si guardò disperatamente intorno, cercando di muovere solo gli occhi.

I veicoli intorno a lui erano immobili, eppure c’era qualcosa…

Una vecchia macchina urtò con gran fragore di metallo schiantato e cominciò a sollevarsi.

Cosa diavolo… ma no, non si sollevava; aveva urtato contro l’anello più alto delle celle. Era il Sargasso che stava sprofondando lentamente.

Una dopo l’altra le macchine e gli zaini-jet toccarono terra facendo un chiasso d’inferno. Il volociclo di Louis andò a sbattere contro qualcosa di duro dopo essere stato sballottato nello sconvolgimento delle forze elettromagnetiche, e si rovesciò. Louis lasciò andare la presa e se ne liberò con una capriola.

La prima cosa che fece fu quella di alzarsi. Ma non riuscì a stare diritto sui piedi. Aveva le mani inservibili, rattrappite nello sforzo. Si gettò su un fianco, ansimando, e pensò che era troppo tardi.

Il veicolo dello kzin era rovesciato su un fianco. C’era anche Speaker, ma non sotto il volociclo: i palloni lo avevano protetto. Louis lo raggiunse strisciando sul pavimento.

Era ancora vivo, e respirava, ma fuori conoscenza. Il peso del volociclo non gli aveva rotto il collo, forse perché lui un collo vero e proprio non l’aveva. Louis afferrò il laser dalla cintura dello kzin, e liberò Speaker dai palloni colpendoli col sottile raggio verde.

Louis si ricordò di colpo di avere una sete furibonda. Non gli girava più la testa e cercò di alzarsi in piedi con le gambe che gli tremavano.

Il volociclo di Nessus stava nella fila sotto a Speaker.

Louis scese per avvicinarvisi. A ogni scalino gli tremavano le caviglie. I muscoli erano ancora troppo tesi per poter assorbire gli urti.

Vide il cruscotto. Le leve e i pulsanti di guida erano talmente misteriosi che nessuno avrebbe potuto rubare il veicolo del burattinaio. Riuscì a individuare il beccuccio dell’acqua. Era calda, eppure deliziosa.

Riempì una scarpa, l’unico recipiente che gli era venuto in mente, per portare acqua a Speaker. La fece gocciolare nella bocca dello kzin che la inghiottì, sempre incosciente, e sorrise. Louis andò a prenderne dell’altra ma gli mancarono le forze prima di raggiungere il veicolo del burattinaio.

Allora si accucciò sulla plastica liscia del pavimento e chiuse gli occhi.

— Non è giusto — disse sottovoce. Si sentiva responsabile del benessere degli altri. Ormai la sua vita dipendeva solo dal modo in cui Nessus la dava a bere a quella pazza mezzo pelata che li teneva prigionieri.

Eppure…

Eccolo là, il suo volociclo, con i palloni sgonfiati che penzolavano, vicino a quello di Nessus. C’era anche il veicolo di Speaker e quell’altro col sellino da umani, senza palloni. Quattro in tutto.

Il volociclo di Teela! Doveva essere rimasto nascosto dietro a uno dei veicoli più ingombranti. Teela era certamente precipitata quando il volociclo si era rivoltato, oppure era stata sbalzata via quando il campo sonico si era interrotto di colpo?

Nessus l’aveva detto. Non ci si può fidare della sua fortuna. E anche Speaker. Se le manca la fortuna ancora una volta sola, muore.

Doveva essere morta, per forza.

Sono venuta con te perché ti amo.

— Che razza di scalogna avermi incontrato — disse Louis Wu.

Si rannicchiò sul duro pavimento. Si risvegliò dopo qualche ora. I muscoli gli dolevano ancora e si sentiva la vescica gonfia. Aveva un tanfo, addosso, che lo nauseava. La fossa gli servì per risolvere in maniera pratica uno dei problemi, e l’acqua del volociclo del burattinaio gli ripulì la porcheria dalle maniche. Poi scese zoppicando una rampa di scale per cercare la cassetta di pronto soccorso del suo volociclo.

Non era una semplice scatola di medicinali; preparava le dosi su ordinazione e faceva la diagnosi. Era un’apparecchiatura completa. Ma era bruciata.

La luce stava diminuendo lentamente.

Intorno alla botola di ogni cella c’erano dei pannelli trasparenti, e Louis si distese a terra per guardarvi dentro. Vide un letto, e una toeletta di foggia particolare. La luce del giorno s’infiltrava nella stanzetta attraverso una finestra.

— Speaker — chiamò Louis.

Irruppero dentro usando il disintegratore. La finestra era larga e rettangolare, un lusso singolare per una cella carceraria. Il vetro non esisteva più, a parte qualche frammento aguzzo che spuntava dall’intelaiatura. Era fatta apposta per schernire il prigioniero, per fargli sospirare la libertà?

Cominciava a imbrunire e l’ombra avanzava come una cortina nera. Dirimpetto c’era il porto con i magazzini e i moli in sfacelo. Nel bacino di carenaggio, un’enorme nave sembrava uno scheletro.

A sinistra e a destra, una spiaggia sinuosa si allungava per miglia e miglia e, al di là della distesa sabbiosa, altri moli e ancora spiaggia.

Più in là, una distesa interminabile che si perdeva in lontananza sull’orizzonte-infinito. Era come guardare sull’Atlantico.

Sopraggiunse da destra una nuvola di polvere densa. Le ultimi luci del Centro Civico brillavano in contrasto con l’oscurità in cui erano già immersi la città, i moli e l’oceano.

Speaker, intanto, si era impadronito del letto della cella.

Louis sorrise. Come sembrava pacifico lo kzin guerriero. Voleva dimenticare le sue ferite nel sonno? Le bruciature lo avevano indebolito. Magari cercava di dormire per scordarsi la fame.

Nel buio della prigione ritrovò il veicolo di Nessus. Riuscì a buttare giù uno dei panini destinati all’esofago del burattinaio, senza curarsi dello strano sapore. Accese i fanali di Nessus. Se ne andò alla ricerca degli altri volocicli, e accese anche quelli. Adesso la prigione era abbastanza illuminata.

Come mai Nessus ci metteva tanto?

In fin dei conti, Nessus non era un semplice alien. Era un burattinaio di Pierson con un curriculum lungo tre chilometri di manipolazioni degli esseri umani, sempre per scopi personali. Se avesse solo trovato un punto di contatto con un Ingegnere del Mondo ad Anello, era capace di piantare Louis Wu e Speaker senza neanche pensarci un momento. Di scrupoli doveva averne pochini.

Loro due sapevano troppo. Con la morte di Teela, solo Speaker e Louis erano a conoscenza degli esperimenti dei burattinai sull’evoluzione prestabilita delle loro razze. L’esca per i semi delle stelle, le Leggi sulla Fertilità… se Nessus aveva ordine di divulgare informazioni così importanti allo scopo di controllare le reazioni del suo equipaggio, altrettanto facilmente aveva l’incarico di abbandonarli a un certo punto del viaggio.

Louis aveva sospettato un comportamento del genere da quando Nessus aveva ammesso che erano stati i burattinai a guidare con un’esca per i semi stellari una nave Outsider verso Procione.

Per occupare il tempo entrò in un’altra cella spaccandone le serrature col laser. La botola si sollevò. Uscì un tanfo insopportabile. Louis infilò la testa, trattenendo il fiato. Lì dentro era morto qualcuno, dopo che l’areazione era cessata. Un cadavere piegato su se stesso, contro la finestra, teneva ancora in mano una brocca. La brocca era spezzata, ma la finestra era rimasta intatta.

La cella vicina era vuota. Louis ne prese possesso.

Aveva girato attorno alla fossa per trovare una cella con la veduta verso Starboard; davanti a lui si vedeva l’uragano di vortici che, anche alla distanza di duemilacinquecento miglia, aveva dimensioni impressionanti. Un enorme occhio azzurro e meditabondo.