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Louis taceva. Sembrava pensare ad altro.

— Louis, dove andiamo?

— Verso Starboard.

— D’accordo.

— Dobbiamo passare vicino all’Occhio. Poi vira di quaranta gradi verso Antispinward.

— Vuoi ritornare al Paradiso?

— Sì. Ce la fai a ritrovarlo?

— Non credo che ci siano difficoltà. Siamo arrivati qui in tre ore. A tempo di volo, lo raggiungeremo in trenta ore. E dopo?

— Dipende.

L’idea era frutto di pura deduzione e di un’immaginazione fertile, forse… ma chiarissima. Louis aveva una spiccata tendenza a sognare a occhi aperti, e a colori.

Una immagine chiara, ma era reale?

La sua fiducia nel grattacielo volante era andata a farsi benedire. Tuttavia volava.

— Il mangia-erba sembra soddisfatto di stare ai tuoi ordini — fece Speaker.

Il volociclo ronzava tranquillo a qualche metro da loro. I contorni del paesaggio scorrevano oltre la finestra. L’Occhio fissava su di loro il suo sguardo grigio.

— Il mangia-erba è completamente pazzo — disse Louis. — Secondo me, tu hai molto più buon senso.

— Niente affatto. Se hai qualcosa per la testa, sono con te. Ma se c’è da lottare, ne voglio sapere qualcosa di più.

— Già.

— Parla chiaro. Devo decidere se lasciarmi coinvolgere o no.

— Ben detto.

Speaker aspettava.

— Stiamo correndo dietro al filo delle zone d’ombra. Ti ricordi quel cavo che abbiamo urtato quando le difese meteoriche ci hanno abbattuto? Pioveva sulla città, dopo, e non finiva mai. Doveva essercene migliaia di milometri, più di quanto ce ne serve, per quello che ho in mente.

— Cioè?

— Prendercelo. I nativi sono pericolosi, ma ce lo daranno a condizione che Prill parli con loro e che Nessus usi il tasp.

— E cosa ce ne faremo?

— Scopriremo a che grado di pazzia sono arrivato.

Il pezzo di grattacielo filava diritto a Starboard. Le navi spaziali non erano tanto ampie, e quanto alle navi normali non ce n’era una paragonabile a quella. Sei ponti da scalare! Che lusso!

Mancava qualcosa. La scorta dei viveri consisteva in carne surgelata, frutta facilmente deteriorabile, e la cucina del volociclo di Nessus che forniva cibo con uno scarso potenziale nutrivo per gli umani. Perciò la colazione e il pranzo di Louis erano a base di carne arrostita al raggio del laser a flash, e di rossi frutti bitorzoluti.

Niente acqua, e quanto al caffè neanche parlarne.

Prill pescò qualche bottiglia di bevande analcoliche e organizzarono una cerimonia di battesimo, un po’ in ritardo, nella sala del ponte di comando. Speaker si era messo gentilmente al muro. Prill gironzolava con aria circospetta vicino alla porta. Nessuno aveva apprezzato il suggerimento di Louis di battezzare la torre Improbable, e di battesimi ne fecero quattro, uno dopo l’altro, e in lingue diverse.

Il battesimo si trasformò in una lezione di lingue. Louis imparò i primi rudimenti della Lingua degli Ingegneri. Si accorse che Speaker imparava molto più velocemente di lui. Tutti e due gli alien si erano già esercitati nelle lingue umane, imparandone i diversi modi di pensare e le limitazioni che comportavano. Per loro si trattava solo di ripetere quel processo.

Fecero una pausa per pranzare e Nessus mangiò servendosi dalla cucina del suo volociclo. Louis e Prill mangiarono carne arrostita. Speaker quella cruda, in disparte.

Ripresero la lezione di lingue. Louis era annoiato. Gli altri due erano tanto più progrediti di lui da farlo sentire come un deficiente.

— Ma dobbiamo imparare! Siamo costretti a rifornirci di cibo. Avremo a che fare con i nativi.

— Lo so, ma le lingue non mi sono mai andate a genio.

Cominciò a imbrunire. Anche a quella distanza dall’Occhio, la coltre di nubi era fitta, e la notte buia come le fauci di un drago. Louis propose di interrompere la lezione; era stufo e irritabile, incerto di se stesso. Gli altri lo lasciarono in pace.

Tra dieci ore avrebbero attraversato l’Occhio dell’uragano.

Si agitava nel dormiveglia. Avvertì un passo leggero. Prill ritornava. Le mani della ragazza lo toccarono. Louis si tese verso di lei. Prill, inginocchiata sul letto, si ritrasse. E parlò nella sua lingua nativa, semplificandola affinché Louis potesse capire.

— Tu essere Capo?

Louis, vagamente intontito, meditò a lungo sulle parole in lingua anellare. — Sì — rispose. Quella lingua gli poneva gravi problemi mentali. Inoltre, la situazione era troppo complicata per poterla spiegare in modo convincente.

— Allora — disse Prill, — tu dare a me macchina da quello con due teste.

— Cosa? — farfugliò Louis. — La sua cosa?

— Macchina che fa me felice. Io voglio. Tu la prendi.

Louis si mise a ridere. La ragazza si infuriò: — Tu vuoi me? Allora dare a me macchina.

Nessus non era un umano. Prill non poteva convincerlo con le sue arti erotiche. Louis era l’unico uomo della zona. Il potere sessuale aveva sempre funzionato. Non era forse una dea?

Probabilmente, Prill si era lasciata ingannare dai capelli di Louis. L’aveva scambiato per un capellone del ceto medio, magari un piccolo Ingegnere dalla faccia sbarbata. E poi, secondo Prill, doveva essere nato dopo la Caduta delle Città: di conseguenza, non conosceva l’esistenza della droga della giovinezza.

— A tuo modo, hai ragione — disse Louis parlando in anglo-terrestre. Prill lo guardava, nella penombra, senza capire. — Hai pensato che fossi molto giovane! Un uomo di trent’anni sarebbe un pezzo di creta, nelle tue mani. Ma io sono un po’ più vecchio.

Prill strinse i pugni per la collera: — Macchina! Dove lui avere macchina?

Louis smise di ridere. La ragazza lo stava graffiando. Si sollevò sul gomito: — La tiene appiccicata a uno dei colli. Sotto la pelle, attaccata all’osso. In una testa sola, però.

Prill ebbe un’esclamazione di rabbia. Aveva capito: il congegno era inserito chirurgicamente. Si voltò, e uscì.

Louis ebbe la tentazione di seguirla. La desiderava più di quanto volesse ammettere. Ma lei lo avrebbe dominato, se l’avesse lasciata fare. E i suoi motivi non coincidevano con quelli di Louis.

Il sibilo del vento aumentava a poco a poco. Il sonno di Louis diventò un sogno erotico. Spalancò gli occhi. Prill stava a cavalcioni su di lui. Le dita gli sfiorarono il petto e il ventre. I fianchi della ragazza si agitavano ritmicamente. Si serviva di lui come di uno strumento musicale.

— Quando avrò finito, sarai mio — diceva in tono sommesso e cantilenante. La voce rivelava il piacere: non di essere posseduta, ma di conquistare un potere incontrastato sull’uomo.

Il contatto gli dava una gioia incontrollabile. Prill conosceva l’antico segreto: ogni donna nasce con un tasp dal potere illimitato, se impara a sfruttarlo. E lei se ne sarebbe servita finché Louis non l’avesse implorata di diventare il suo servo.

Poi qualcosa cambiò, in lei. Non la poteva vedere in viso, ma la sentiva gemere di piacere quando raggiunsero l’orgasmo. Qualcosa scattò dentro di loro!

Rimase nel letto tutta la notte. Ogni tanto si svegliavano e facevano l’amore per poi riaddormentarsi. Se Prill si sentì delusa non lo diede a vedere, né Louis se ne accorse. Louis sapeva soltanto che Prill non si serviva più di lui come di uno strumento.

Sorse l’alba grigia e burrascosa. Il vento ululava intorno al vecchio edificio. La pioggia sferzava la finestra infuriando attraverso quelle dei piani di sopra che erano rotte. L’Improbable era molto vicino all’Occhio.

Louis si vestì e lasciò il ponte.

Vide Nessus nel corridoio. — Proprio tu — gridò.

Il burattinaio fece uno scarto. — Che cosa c’è?