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— Ma, zio Lou, io voglio venire con te — protestò George, rauco. — Tutte le persone brave se ne sono andate. Questi tipi nuovi mi fanno paura.

Lou respirò a fondo, poi disse: — Non ti faranno niente. Adesso non puoi venire con me. Tornerò io da te.

— Quando?

Lou sentiva gridare nel cortile.

— Appena posso, George.

— Promesso?

— Promesso. Adesso torna nel recinto e fa’ il bravo. E non avere paura, che non ti faranno niente.

Con uno sguardo preoccupato, il gorilla si allontanò verso gli alberi.

Lou corse verso le macchine parcheggiate. Le auto elettriche del laboratorio erano allineate in prima fila, e Lou sapeva che bastava una breve formula in codice per avviare il motore. S’infilò dietro il volante della prima macchina della fila.

— DNA, RNA — disse, premendo l’acceleratore.

Il motore elettrico si avviò, con un ronzio sordo. Non ce l’ho mai fatta a superare un turbocar con questo arnese, pensò Lou. Un uomo vestito di grigio sbucò di corsa nel parcheggio. Impugnava una pistola. Lou afferrò il volante, mollò il freno e premette a fondo l’acceleratore. La macchina si avviò fiaccamente, poi acquistò velocità. Lou puntò diritto addosso all’uomo. L’altro schizzò via, facendo fuoco. Lou sterzò, poi tornò indietro, dritto verso il sottopassaggio, si tuffò attraverso il cortile e passò davanti a un altro gruppetto di uomini che urlavano e si agitavano, poi infilò il sottopassaggio anteriore, varcando finalmente l’ingresso principale.

Il cancello d’accesso stava chiudendosi proprio in quel momento, ma Lou lo imboccò di stretta misura con la macchina e si lanciò a tutta velocità lungo la grande arteria, con la curiosa accelerazione silenziosa, tipica del motore elettrico. Prese il microfono di bordo e chiamò:

— Ramo, qui parla Christopher Lou. Passo.

— Riconosco il modello della tua voce, Lou. Passo.

— Programma base zero, Ramo. Sospendere tutte le funzioni interne fino a nuovo ordine. Solo manutenzione e riparazioni. Eseguire. Passo.

— Eseguito. Passo.

Lou sorrise mentre filava lungo la strada, con una mano sul volante. — Benissimo, Ramo. Adesso sospendere tutte le comunicazioni fino a ripresa di ordini impartiti dal modello della mia voce. Intesi? Passo.

— Intesi e pronto a eseguire — disse Ramo impassibile. Lou però sentiva che l’elaboratore provava una certa riluttanza a mettersi da solo fuori servizio.

— Eseguire. Passo.

Nessuna risposta. Il calcolatore, ormai, era completamente muto. Da quel momento tutte le porte dell’Istituto sarebbero rimaste bloccate finché non fosse arrivato un addetto alla manutenzione per aprirle a mano. Anche il cancello d’ingresso sarebbe rimasto chiuso, ed era abbastanza robusto da impedire alle macchine della polizia di uscire, anche se avessero tentato di abbatterlo. Luce, aria condizionata, tutto era fuori uso. Buona giornata! pensò Lou, feroce.

Allentò la pressione sull’acceleratore e filò lungo la strada, al massimo della velocità consentita. Era perfettamente inutile farsi bloccare da una pattuglia della stradale. Adesso che aveva più tempo per pensare, si sentiva in preda all’incertezza.

Fino a quando devo continuare a scappare? E dove vado adesso? A casa mia, no. Ramo ha detto che hanno arrestato l’intero gruppo scientifico. Avranno preso anche Bonnie? Ma perché, mio Dio, perché? Cosa sta succedendo?

Scosse la testa. Era un incubo. Sembrava impossibile che fosse vero. La polizia non marcia su un laboratorio, per arrestare tutti. Era una cosa da secoli remoti, da Medioevo. Oggi i cittadini hanno dei diritti, esistono le leggi.

Allora gli venne in mente New York e si rese conto che in certe zone i secoli del buio esistevano ancora.

Mentre guidava verso la città Lou accese la radio, sintonizzandosi sulla frequenza della polizia. Un sacco di chiacchiere, ma niente che si riferisse all’Istituto o a lui. Perché? Perché non chiedono aiuto? Perché non danno l’allarme per farmi arrestare?

Quasi in risposta alle sue domande, Lou vide una macchina della stradale spuntare alle sue spalle, sul controviale esterno. Sapeva perfettamente che un’auto elettrica non era in grado di battere una vettura come quella, perché i mezzi della polizia, dotati di motore a turbina, erano capaci di sollevarsi da terra e di volare letteralmente su un cuscino d’aria per brevi distanze, a una velocità di centinaia di chilometri all’ora. La macchina comunque lo superò a tutta velocità, senza che i due ufficiali dall’elmetto bianco che erano a bordo lo degnassero di uno sguardo.

Può darsi che la polizia non mi stia cercando, si disse Lou.

Un’altra parte del suo cervello rispose: Comunque, qualcuno ti cerca.

Non la polizia, però. Ma allora chi è?

Pochi minuti dopo, passò davanti alla casa di Bonnie. Devo fermarmi in qualche posto. Ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere. Se l’hanno presa, posso usare il suo appartamento. Se invece è libera, saprò finalmente da lei che cosa sta succedendo.

Si diresse in città, parcheggiò la macchina in una autorimessa e prese un tassì per tornare da Bonnie. Diede al tassì nome e numero di credito falsi. Nell’atrio del palazzo, annunciò al calcolatore dell’ingresso: — Sono un amico della signorina Sterne, appartamento 27-T.

— Nome, prego — disse la voce incolore del calcolatore.

— Roy Kendall — mentì Lou, dando il nome di un amico comune, che stava a Denver.

— La signorina Sterne attualmente non è in casa. Sono programmato per non far passare nessuno.

— La signorina Sterne ha lasciato istruzioni speciali per i visitatori nel codice V.

Il calcolatore ronzò tra sé per un secondo. Poi: — Entrate pure, signor Kendall. — La porta si aprì di scatto e Lou entrò, dirigendosi all’ascensore.

Dovette ripetere la stessa storia con il calcolatore della porta dell’appartamento, dove il simbolo in codice era MA, cioè molto amici. Finalmente la porta si aprì e Lou entrò nell’alloggio di Bonnie.

Chiudendo con cura la porta alle sue spalle, Lou diede un’occhiata in giro nell’unica stanza. A quel che sembrava, niente era stato spostato né rimosso. L’armadio vicino al letto ribaltabile era aperto e di fronte, su una sedia, erano buttati alcuni vestiti. Lou andò nel cucinino e scoprì la caffettiera ancora calda. Bonnie stamane era qui. O per lo meno qui c’era qualcuno.

Prese dal frigorifero una bottiglia di latte e ne bevve metà.

Mentre stava riponendo la bottiglia, la porta si aprì. Sulla soglia c’era Bonnie, a bocca aperta per la sorpresa.

— Lou!

La ragazza gli corse incontro e gli si gettò tra le braccia. Era calda, morbida e sicura.

— Cara, è sempre bello vederti — le sussurrò all’orecchio, tenendola stretta a sé.

— Lou, ma che cosa ti è successo? Dove sei stato? Abbiamo sentito… Oh, Lou, la tua faccia! — Allungò la mano e gli sfiorò la mascella contusa. Faceva male, ma Lou in quel momento non ci pensava.

— È una storia lunga — rispose Lou. — A un certo momento, ho creduto di non rivederti mai più.

La baciò e lei lentamente si sciolse dall’abbraccio. Allora, per la prima volta, Lou si accorse che aveva l’aria stanca, tesa.

— Che cosa sta succedendo? — chiese. — Perché l’Istituto è chiuso? Ramo mi ha detto…

— Sei stato all’Istituto? — Sembrava allarmata.

Lou annuì. — Già. E per poco non sono finito in braccio a certi individui che dicevano di essere sceriffi federali.

— Ma erano sceriffi — disse Bonnie.

— Ma che cos’è tutta questa storia?