Выбрать главу

Bonnie si diresse verso il sofà, accanto alle finestre, dall’altra parte della stanza. Lou la seguì.

Una volta seduta, lei disse: — La prima volta che ne ho sentito parlare è stato ieri, alla gara degli alianti. C’era uno sceriffo federale che ti cercava. Poi, quando sono tornata a casa, ho trovato un altro sceriffo, che stavolta aspettava me. Ho dovuto seguirlo alla Corte federale. E là c’erano praticamente tutti i componenti dell’Istituto!

Lou si abbandonò sul sofà. Adesso capiva perché Bonnie sembrava tanto stanca.

— Dopo qualche ora hanno rilasciato alcuni di noi — continuò la ragazza con un leggero tremito nella voce. — Comunque, siamo stati avvertiti di non tornare all’Istituto. È stato chiuso, definitivamente.

— Chiuso?

Bonnie annuì. — Per sempre, hanno detto. Stamane mi è toccato passare dall’ufficio di collocamento. Ci sono stata tutto il giorno. Lou… che intenzioni hanno? — Aveva alzato la voce, stringendo i piccoli pugni. — Perché hanno chiuso l’Istituto? Che cosa succede? Che cosa?

Lui la prese per le spalle. — Un momento… calmati — disse piano. — Prendila con calma. Nessuno vuol farti del male.

— Ma hanno portato là il dottor Kaufman, e Greg Belsen e quasi tutti gli scienziati. Tutti i tecnici, le segretarie e gli impiegati… tutti, insomma!

— Ma perché? Hanno dato una spiegazione?

Lei scosse la testa. — Niente. A quanto pare, non sapevano niente. Si limitavano a eseguire gli ordini. — Allungò la mano, tornò a sfiorargli la guancia. — Ma che cosa ti è capitato?

— Sono scappato. — Lou le raccontò della notte a New York e della visita fatta al mattino all’Istituto deserto.

— E adesso che cosa intendi fare? — chiese Bonnie.

— Non lo so — fu costretto ad ammettere Lou. — Sto per crollare. Ho dormito in tutto un paio d’ore sull’aereo.

Bonnie si alzò. Scostando una ciocca bionda dagli occhi, disse: — Ti preparo qualcosa, poi dormi fin che vuoi.

Andò nel cucinino e si mise a premere diversi pulsanti sul quadro di comando. Lou, già mezzo addormentato, si sdraiò sul sofà.

— Lou… è un po’ come se il mondo fosse crollato.

Lou la guardò. — Comunque sia, è una faccenda che sicuramente non interessa soltanto l’Istituto. Nel palazzo dell’ONU, avevano portato Kirby, dalla Columbia, e stavano per trasferirci a Messina.

— La capitale del mondo?

Lou annuì. — Sembra che dietro tutto questo ci sia il governo mondiale. E per l’operazione si sono serviti di agenti federali. Ma perché? Di che cosa si tratta?

Bonnie tolse dal forno un paio di vassoi fumanti e li posò sul tavolino basso, accanto al sofà. Poi si sedette per terra ai piedi di Lou.

— Lou… se il governo mondiale ti sta cercando, allora non hai più un posto per nasconderti!

— Forse — borbottò lui, chinandosi sui vassoi e prendendo una forchetta.

Bonnie disse, pianissimo: — Forse non ti resta altro da fare che darti in mano a loro. Dopo tutto, se si tratta del governo mondiale, è una faccenda tremendamente importante, qualunque cosa sia.

— Ma che cosa vogliono? — chiese Lou. — Perché ci arrestano come se fossimo delinquenti? Perché non ci hanno detto di che cosa si trattava? Non hanno neppure scomodato la polizia locale. Sicuramente non ci permetteranno di far valere i nostri diritti costituzionali.

Bonnie non rispose.

Mangiarono in silenzio, poi Lou si allungò sul sofà e si addormentò. Sognò che gli davano la caccia per le vie di New York, che aveva alle calcagna bande di ragazzi e di poliziotti in divisa. Le vie si trasformarono in Messina, ma lui aveva sempre le bande alle spalle. Dall’alto di un balcone, Felix si sporgeva massiccio, enorme e nero, da una ringhiera malsicura, ridendo, divertito dallo spettacolo dell’inseguimento.

Lou si svegliò gridando. Aveva accanto Bonnie che lo accarezzava, calmandolo. Si alzò a sedere.

— Quelli… Io…

— Va tutto bene — disse lei, con dolcezza. — Va tutto bene. Stavi sognando. Guarda, sei tutto sudato.

Lui si passò una mano sugli occhi. — Bonnie…

Lei distolse lo sguardo, e disse: — Lou, mentre stavi dormendo ho riflettuto a lungo sulla faccenda. Non puoi continuare a scappare. L’altra notte ti è andata bene, non ti hanno fatto la pelle. Ma prima o poi ti prenderanno, o finirai ferito, o ammazzato.

— Sì, lo immagino. Ma che altro…

Bonnie stringeva forte i pugni, al punto che le nocche erano diventate bianche. Era estremamente pallida.

— Lou — disse, — non voglio che ti facciano del male. Mentre dormivi, ho… ho chiamato la Corte federale. Di sotto ci sono quattro sceriffi. Sono venuti a prenderti.

— Che cosa? — Lou saltò giù dal sofà.

— Non c’era altra via — disse lei. Era in piedi accanto a lui, con gli occhi pieni di lacrime. — Ti prego, Lou… va’ con loro. Hanno promesso che non ti faranno del male. Te ne prego…

Lou la guardò. — Gli sceriffi, il governo mondiale, l’Istituto chiuso!… E adesso anche tu, Bonnie. Non c’è nessuno al mondo che sia con me! Nessuno! In tutto il mondo!

— Lou, ti prego… — Adesso Bonnie piangeva.

La porta si aprì e i quattro sceriffi entrarono. Spalle massicce, bocca serrata. Portavano pantaloni corti e giubba nera, da fatica. Armati, lo si sapeva perfettamente, di pistole ad ago, e forse di altro.

— Louis Christopher. Ho un mandato di arresto federale per voi.

— Nessuno, in tutto questo stupido mondo! — mormorò Lou, in modo che solo Bonnie potesse sentirlo.

VIII

Lou, da un certo punto di vista, era contento che la caccia fosse finita. Era come quando aveva l’appendice infiammata e non lo sapeva. Per settimane si era covato quel dolore sordo all’addome, e aveva continuato a pensarci, ma non l’aveva detto a nessuno fino al giorno in cui aveva avuto un mezzo collasso all’Istituto e i suoi colleghi, dei tecnici addetti all’elaboratore come lui, l’avevano trasportato in clinica. Da quel momento, non aveva più avuto decisioni da prendere. E aveva scoperto di non essere nemmeno più preoccupato. Toccava ai medici decidere per lui e occuparsi di lui. Lou era seduto sul sedile posteriore di una macchina, circondato dai federali. Non aveva più la possibilità di prendere decisioni. E, quasi senza rendersene conto, smise di preoccuparsi. Era tutt’altro che felice, ma, per il momento, non aveva niente di cui darsi pensiero.

Arrivarono all’aeroporto, superarono il terminal e si diressero verso un bireattore bianco, snello, fermo in attesa lontano dai capannoni e dagli apparecchi normali di linea. La coda era azzurra come la bandiera del governo mondiale.

In piedi, accanto all’aereo, a poca distanza dallo sportello aperto, c’era lo scandinavo a cui Lou era sfuggito di mano nel palazzo dell’ONU.

Mentre i federali scortavano Lou fino all’apparecchio, l’altro non lo perse mai di vista.

— Vedo che siete riuscito a fare la traversata di New York — disse l’uomo del nord. — Congratulazioni. Abbiamo temuto che vi avessero fatto fuori.

Lou non disse niente.

— Vi prego, signor Christopher, ho l’incarico di trasportarvi sano e salvo a Messina. Niente colpi di testa, intesi? Ci costringereste a tornare qui e a catturarvi di nuovo.

Additò lo sportello aperto. Lou, stringendosi nelle spalle, salì a bordo. Lo scandinavo lo seguì, richiuse lo sportello, poi passò a prua, nella cabina di comando. L’aviogetto era dotato di eleganti sedili girevoli, comodi e profondi, sistemati accanto ai quattro finestrini anteriori. Dietro i sedili, c’era da un lato un divano e dall’altra un tavolo, fornito di videofoni.

Lo scandinavo riemerse dalla cabina di comando. — Accomodatevi dove volete. Questo volo è tutto per voi.