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— Di tre ordini!

— A questo punto, o procedo con la matrice esistente, o resto in attesa di un’ulteriore programmazione. — La voce di Ramo non era né preoccupata né perplessa. E neanche soddisfatta o irritata. Era assolutamente neutra, perfettamente adatta alla constatazione dei fatti.

Lou gettò la penna sul tavolo e posò i piedi sul pavimento. La tavoletta finì a terra.

— Ancora tre ordini di grandezza. — Lou scosse la testa, poi guardò l’orologio.

Erano già le nove.

— Resto in attesa di istruzioni — disse Ramo, tranquillamente.

— Tu e le tue istruzioni, andate a… — Lou si ricompose, rendendosi conto che non era assolutamente colpa del calcolatore. Nel codice genetico umano esistevano milioni e milioni di diramazioni. E per riuscire a programmarle tutte in modo corretto, occorreva semplicemente più tempo.

Scrollando le spalle, disse: — E va bene, Ramo, vuol dire che avremo una giornata alquanto piena.

Ramo non disse niente, però Lou, in qualche modo, sentì che il calcolatore approvava.

Si alzò, uscì dall’ufficio, passò davanti al quadro comando dell’elaboratore, col suo ronzio e le sue luci intermittenti, e andò nell’atrio. Dal frigo prese un bicchiere d’acqua, la bevve e intanto, dalla vetrata del corridoio, osservava Nuova Messico, di primo mattino. Quando Lou era arrivato all’Istituto, era appena l’alba. Adesso era giorno pieno, luminoso, senza una nuvola.

Metà degli alianti è già partita, ormai pensò Lou accigliato. È meglio che chiami Bonnie. Non ce la farò a partecipare alla gara.

Buttò il bicchiere di plastica nell’apparecchio per il riciclaggio e tornò in ufficio; si lasciò cadere sulla sedia e premette il pulsante del telefono sul tavolo.

— Voglio Bonnie Sterne — disse. — Non è in casa in questo momento, chiamatela sul cercapersone.

Dopo pochi secondi, la faccia di Bonnie comparve sullo schermo. Alle spalle di lei, Lou vedeva la gente che andava e veniva in una sala affollata. È al Centro Controllo, probabilmente, pensò Lou. Gli sembrava quasi di sentire il rombo smorzato dei razzi di decollo dei grandi alianti.

— Lou! Che cosa aspetti a venire? Ho chiesto ai giudici di posporre l’ora del tuo decollo, però…

Lou alzò le mani. — Sarà meglio che tu dica ai giudici di cancellarmi dall’elenco. Non ce la faccio, per oggi. E probabilmente neanche per domani.

— Oh, no. — Bonnie sembrava sinceramente contrariata. Era una ragazza bionda, con occhi grigio chiari; la struttura della faccia, però, faceva pensare subito ai lineamenti degli indiani. Forse erano gli zigomi alti e il taglio degli occhi. Chissà che non avesse nelle vene un po’ di sangue Apache. Lou aveva sempre avuto voglia di chiederglielo, ma poi non l’aveva mai fatto.

— Ma non riesci a liberarti in qualche modo? — chiese Bonnie. — Non potrebbero occuparsene altri programmatori?

Lou scosse la testa. — Lo sai che non è possibile. Spiace a me quanto a te. È tutto l’anno che penso a questa gara. Ma Kaufman ha bisogno dei dati per lunedì. L’intero Istituto dipende da questo lavoro.

— Lo so — disse Bonnie, mordendosi il labbro inferiore. Lou sapeva che lei stava cercando un modo per…

— Senti! — esclamò la ragazza, illuminandosi tutta. — Vuoi che venga a darti una mano? Forse riusciremmo a impostare la programmazione in tempo, e così decolliamo domani.

— Ti ringrazio, ma puoi fare ben poco. Mi toccherà lavorare tutta la notte, come minimo. E domani non potrò essere molto in forma per volare.

Bonnie tornò a rabbuiarsi. — Ma non è giusto che tu lavori per tutto il week-end… e questa è la gara più importante dell’anno.

— Lo so. Però la genetica viene prima delle gare — disse Lou. — Goditi il week-end. Ci vediamo lunedì.

— Va bene. Non è proprio giusto, però.

— Lo so. Arrivederci.

— Ci… Ah, un momento! C’era un tipo qui, che ti cercava. Uno sceriffo federale, ha detto.

Lou la guardò. — Un che cosa?

— Uno sceriffo federale. Aveva bisogno di parlarti.

— Per che cosa?

Bonnie scosse la testa. — Credevo che gli sceriffi esistessero solo nei racconti western.

Con un sorriso, Lou disse: — Qui siamo nel West, non dimenticartene.

— Ma ha detto che veniva da New York.

Lou si strinse nelle spalle. — Comunque, se mi cerca, sono qui tutto il giorno.

— Se torna, glielo dico.

— D’accordo. — Con una curiosità improvvisa, Lou chiese: — Ma ha detto cosa voleva? Perché cerca proprio me?

— Non lo so — rispose Bonnie.

Quando Bonnie sparì dal visore, Lou s’immerse nel lavoro, risolvendo, con l’aiuto di Ramo, intricati problemi di matematica e, successivamente, programmandone i risultati nella memoria del calcolatore. Quando tornò a guardare l’orologio, era mezzogiorno passato. Scese al bar e prese al distributore automatico un panino e una tazza di caffè bollente. Il bar praticamente era deserto: ai tavolini c’erano i pochi addetti alle squadre di polizia del week-end.

Gli scienziati sono fuori, a godersi il ponte brontolò Lou, tra sé. Comunque finché non avrò finito di programmare Ramo non potrebbero fare gran che.

Portò in ufficio il caffè e il panino ancora chiuso nella sua confezione di plastica. Entrando, vide Greg Belsen fermo davanti al quadro comandi del calcolatore, intento a osservare lo schermo su cui sfilava, a velocità accecante, una serie di disegni e di grafici colorati.

— Che cosa fai qui dentro, oggi? — chiese Lou.

Greg si voltò, con un sorriso. — Ho pensato che ti saresti sentito solo. Come va?

Lou puntò il dito verso lo schermo. — Lo vedi anche tu. Stiamo ancora sotto di tre ordini di grandezza.

Greg fece un leggero fischio. — Così vicini?

— Vicini? Secondo me, siamo ancora a una distanza astronomica.

Greg scoppiò a ridere. Aveva una risata contagiosa, quasi infantile: tutti lo conoscevano all’Istituto. — Sei giù di corda, perché c’è ancora del lavoro da fare. Però, se pensi per un momento a che punto eravamo sei mesi fa, quando hai avviato questo programma!

— Sì, può darsi — ammise Lou. — Però abbiamo ancora molta strada da fare.

Rientrarono nell’ufficio di Lou. Greg Belsen era uno dei biochimici più giovani, dinamici e brillanti dell’Istituto. Arrivava agli uno e ottanta di altezza ed era un po’ più robusto di Lou. Era sottile e senza pancia, in quanto assiduo frequentatore di campi di tennis e pallavolo, due degli sport considerati di maggiore utilità sociale. Come Lou, Greg aveva i capelli scuri e dritti. Però aveva la faccia rotonda, e gli occhi bruni. I lineamenti di Lou erano più angolosi e gli occhi erano azzurri.

— Posso darti una mano? — chiese Greg, prendendo l’altra seggiola dell’ufficio di Lou. — So che oggi avevi piacere di partecipare alle gare di volo.

Lou si lasciò cadere sulla sedia. — No, nessuno è in grado di programmare Ramo in fretta come me. E Kaufman ne ha bisogno per lunedì mattina.

Greg annuì, poi disse: — Lo so.

— È davvero così importante? — chiese Lou.

Greg gli sorrise. — Non sono un genetista, come Kaufman. Però so una cosa: il modello zigote, a cui state lavorando attualmente, è un punto chiave. Fino a quando non l’avremo realizzato, non c’è nessuna speranza di attuare una forma qualsiasi di ingegneria genetica, in senso pratico. Ma quando avremo sottoposto a Ramo tutti i dati del codice genetico umano, la strada sarà sgombra. Nel giro di un anno, saremo in grado di fabbricare i superuomini.

Lou si appoggiò allo schienale della sedia. — Sì, così ha detto Kaufman.