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Kori si strinse nelle spalle. — Mi ha detto di analizzare i dati. Ma in realtà vuole che gli prepari esplosivi nucleari.

— Esplosivi? Intendi dire bombe?

— No, non ordigni così grandi — rispose Kori, sorridendo. — Cariche da niente, veri e propri giocattoli. Come quelli che usano nell’edilizia. Quando ne viene fatta esplodere una in città, riesce a stento a far saltare un edificio.

L’aereo, adesso, stava girando a bassa quota, tra il rombo assordante dei reattori. Lou lo seguiva con gli occhi mentre le ali si stendevano per prepararsi all’atterraggio e i reattori si portavano in posizione verticale. Lentamente l’apparecchio scese al suolo tra una nube di gas roventi, spianando l’erba sotto di sé. Attraverso le ondate tremolanti di calore, Lou vide le ruote dell’aereo posarsi sul terreno e ricevere il peso del reattore. Finalmente il rombo della turbina si spense, e fu come se in quel preciso momento un demone soprannaturale fosse a un tratto sparito.

Lou si tolse le mani dalle orecchie, che gli fischiavano leggermente.

Lo sportello del reattore si spalancò e una scaletta di tre gradini fu calata a terra. Scese per primo un giovanotto aitante, che si voltò per aiutare il primo passeggero. Era Bonnie. La ragazza indossava pantaloncini corti e una camicetta senza maniche. Aveva i capelli raccolti in alto, come quando lavorava. La faccia era seria, molto seria, forse leggermente spaventata.

Lou sussultò e si lanciò in corsa verso di lei, chiamandola a voce alta.

Lei alzò gli occhi, lo vide e sorrise. Lou le corse incontro, superando il giovanotto che l’aveva aiutata a scendere. La prese tra le braccia, l’alzò di peso, facendole fare mezzo giro per aria.

— Come sono contento di vederti! Sei venuta! Sei proprio venuta!

Lei sembrava sorpresa, felice e preoccupata nello stesso tempo. — Lou… ma tu stai bene. Non ti hanno fatto niente…

— Sto bene, adesso che sei qui.

Senza staccarsi da lei, Lou prese l’unica valigia di Bonnie dalla mano della guardia cinese che stava scaricando il bagaglio e si diresse verso la macchina. Kori era in piedi, vicino alla macchina e Lou li presentò.

Kori disse: — Perché non prendete la macchina per andare subito all’alloggio? Sono sicuro, signorina Sterne, che avrete voglia di disfare il bagaglio e di sistemarvi in camera. Ci vorrà un po’, prima che scarichino la mia roba. Lou, basta che rimandi qui la macchina…

— Bene, bene, farò senz’altro così. — Lou sorrideva, felice, mentre aiutava Bonnie a salire sul sedile posteriore della vettura e si sistemava vicino a lei.

La ragazza, mentre in macchina lasciavano l’aeroporto e la baia, era estremamente silenziosa. Lou le diceva com’era bella l’isola, manifestando la sua felicità. Bonnie si limitava ogni tanto ad annuire. Quando Lou ebbe trasportato la valigia fino alla porta della camera di Bonnie, la gioia di essere con lei era già svanita, e fu costretto ad ammettere che qualcosa non andava.

Le porte dei vari alloggi non avevano serrature, ma solo saliscendi che si bloccavano dall’interno.

Lou aprì la porta della sua camera, facendo segno a Bonnie di entrare.

Bonnie entrò e si guardò attorno.

— Questa è la mia camera?

— Sì. Non è gran che, lo so, ma…

La ragazza andò alla finestra e guardò fuori. Voltandosi verso di lui, gli chiese: — La tua camera è nello stesso edificio?

— Di sotto.

— E quante donne ci sono, in questa casa?

Lou si strinse nelle spalle. — Il secondo piano è riservato alle donne, credo. Sull’isola abitano anche alcune coppie sposate. Hanno la loro casa.

— Già.

— Bonnie, non sarai mica arrabbiata per quello che ho detto quando i federali mi hanno arrestato? Ero stato preso alla sprovvista ed ero spaventato…

La faccia di lei si addolcì. — No, non è quello, Lou.

Andò verso di lei. — Che cosa c’è che non va? Perché sei venuta, se non…

— Perché sono venuta? — Per poco non gli rise in faccia. — Ma non avevo molta scelta. Due uomini mi hanno prelevata dall’ufficio dove ero appena stata assunta e mi hanno portata via. Proprio così. Niente domande, niente spiegazioni. Mi hanno dato appena il tempo di preparare la valigia. Tutto qui.

— Ma non ti hanno detto…

— Niente. In realtà non so ancora di che cosa si tratti.

Lou si lasciò cadere sulla sedia più vicina. — Ma Bernard ha…

Bonnie si inginocchiò accanto e mise le mani tra le sue. — Mi dispiace, Lou. Quando ti ho visto laggiù, vicino all’aereo, ho pensato tutt’a un tratto che fossi stato tu a farmi rapire.

— Ma non sei stata rapita!

— Non sono neanche stata invitata al ballo del principe.

Scoppiò a ridere con lei.

— Lou, ma cosa sta succedendo? Sono tutti impazziti?

Scuotendo la testa, lui tentò di spiegarle la situazione meglio che poté. L’esilio, l’offerta di aiuto da parte del Ministro Bernard, il lavoro che sarebbe stato mandato avanti sull’isola.

Finalmente lei capì. — Vuoi dire che dovremo rimanere qui… per sempre? Finché piace a loro? Che non possiamo andarcene?

Lou guardò quegli occhi grigio perla, e in quel momento non gliene importava niente di politica, di esilio di scienza né di nient’altro. Comunque si sforzò di rispondere. — Resteremo qui finché avremo finito il lavoro che era in corso all’Istituto. Una volta che avremo dimostrato al mondo che l’ingegneria genetica è possibile, non ci sarà più nessun motivo perché Kaufman e gli altri debbano restare in esilio.

— Ma ci vorranno anni — disse Bonnie.

— No, non occorrerà tanto.

Lei guardò verso la finestra, come un prigioniero che si rende improvvisamente conto che il mondo fuori gli è proibito, per sempre.

— Non avrei dovuto chiedere di portarti qui — disse Lou.

Lei non rispose.

— Bonnie, se tu l’avessi saputo… se ti avessero detto che dovevi vivere su quest’isola fino alla realizzazione del progetto… con me… saresti venuta?

Lei tornò a guardarlo, con gli occhi pieni di lacrime. — Non lo so, Lou. Proprio non lo so.

XIII

Ci sono, nel corpo umano, più di trecento mila miliardi di cellule. A un ritmo di dieci cellule al secondo, ci vorrebbero oltre un milione di anni per contarle tutte. In ogni cellula ci sono quarantasei cromosomi; visti al microscopio, appaiono lunghi e filiformi, e spesso sono stati descritti come filamenti di perle. Ogni perla è un gene individuale, e in ogni cellula umana ci sono circa quarantamila geni.

Lo zigote, cioè la cellula dell’uovo fecondato che dà luogo all’embrione e, in nove mesi, al bambino, contiene circa quarantamila geni, come qualsiasi cellula umana. Ciascun genitore fornisce metà dei geni. Ogni singolo gene è una complicata fabbrica molecolare formata di acidi deossiribonucleici (DNA), da acidi ribonucleici (RNA) e da proteine. Le caratteristiche fisiche del nascituro sono tutte determinate dai geni. Il colore degli occhi, la struttura dei denti, il metabolismo basale, l’equilibrio chimico, le dimensioni del cervello, la forma del naso, tutto è controllato dai geni dello zigote.

Il lavoro di Lou era, per lui, chiaro e semplice. Si trattava di insegnare a Ramo a esaminare la struttura particolareggiata di ciascun gene di uno zigote e di paragonarlo alla struttura di un gene sano, privo di tare.

Ramo, essendo un elaboratore, sapeva soltanto quello che i suoi collaboratori umani gli comunicavano. In compenso, aveva due qualità che gli uomini non possedevano. In primo luogo, disponeva di una memoria assolutamente perfetta. Quando la mappa di un gene sano veniva archiviata nei microscopici circuiti magnetici della sua memoria, Ramo non soltanto non la dimenticava più, ma neanche la deformava né la alterava, e nessuno stato emotivo gli impediva di vedere il dato esattamente come gli era stato comunicato. In secondo luogo, Ramo era in grado di lavorare alla velocità della luce, e non con il ritmo esasperatamente lento del sistema nervoso umano. Per controllare decine di geni e individuare le imperfezioni della loro struttura molecolare, Ramo impiegava esattamente lo stesso tempo che ci metteva Lou a contare fino a dieci.