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Lou si considerava volentieri un maestro. Aveva il compito di insegnare a un allievo estremamente abile come Ramo a svolgere un lavoro molto complesso. Un lavoro che nessun uomo era in grado di fare, perché richiedeva troppo tempo e perché la memoria umana non era sufficiente. Poco prima della chiusura dell’istituto, Lou aveva insegnato a Ramo tutti i modelli delle strutture di un gene perfettamente sano. Ramo ormai sapeva che aspetto avevano, a livello molecolare, i geni sani. Adesso era venuto il momento di insegnargli a mettere a confronto una serie di geni reali con le strutture sane già note, a individuare all’interno dei geni reali le eventuali anomalie e a riprodurre sullo schermo tali imperfezioni. Una volta finita questa parte, Lou avrebbe insegnato a Ramo i sistemi biochimici per sterilizzare i geni difettosi.

E a questo punto, il compito immane era finito. Sarebbe stato possibile, allora, cominciare il lavoro d’ingegneria genetica.

Lou, comunque, mentre se ne stava seduto dietro al quadro di controllo dell’elaboratore, si sentiva tutt’altro che soddisfatto. Il quadro di controllo era costituito da una serie innumerevole di schermi e di quadranti che formavano un semicerchio attorno alla sua poltrona. Aveva a portata di mano i vari pulsanti che si collegavano coi diversi selettori dell’immenso cervello elettronico di Ramo.

Lou si lasciò cadere nella poltrona, scuro in faccia. Dal suo posto, vedeva la sua immagine riflessa in uno dei quadri spenti, e l’aspetto rivelava esattamente l’umore. Secondo l’orologio, era metà mattina, ma era difficile rendersene conto, stando chiusi nel locale dell’elaboratore. Non c’erano finestre. L’edificio aveva l’aria condizionata ed era isolato acusticamente. Il tempo, del resto, aveva ben poco significato per l’elaboratore.

Erano passate due settimane da quando Lou era arrivato sull’isola. Due settimane, e Bonnie era sempre fredda e distante come il primo giorno. Lavorava per Lou e faceva bene il suo lavoro. Quasi tutti i giorni pranzava con lui e qualche volta andava anche a cena nel piccolo locale superaffollato che Marcus aveva aperto vicino al laboratorio. Gli aveva persino aggiustato uno strappo nella tasca dei pantaloni. Però si comportava più come un’impiegata solerte, che come un’amica.

Non avrei mai dovuto farla venire qui; si diceva Lou quel mattino per la milionesima volta. Non me lo perdonerà mai.

Il telefono ronzò. Premette un pulsante e sul video comparve la faccia rosea e melliflua di Marcus.

— Desiderate parlarmi? — chiese.

Lou annuì. — I biochimici mi hanno chiesto di aiutarli a programmare Ramo per il loro lavoro. Non mi importa di collaborare, ma ci vorrà del tempo e, se non sbaglio, mi avevate detto di mandare avanti la mappa genetica il più in fretta possibile.

— I biochimici? — Marcus aggrottò la fronte, preoccupato. — Ma perché hanno bisogno di una programmazione speciale?

— Stanno lavorando a un prodotto che modifica la composizione chimica dei cromosomi o qualcosa del genere…

Marcus sembrò imbarazzato, ma ritrovò subito l’autocontrollo. — No, avete ragione voi. Non dovete lasciarvi distrarre dal vostro lavoro. Se ne occuperà qualche altro programmatore.

— Va bene — disse Lou. — Comunque, sarei contento di aiutarli, se ne avessero bisogno.

— No — scattò Marcus. — Cioè, volevo dire che non devono interferire nel vostro lavoro, assolutamente. Me ne occuperò io. Se tornano a cercarvi, dite che si rivolgano a me.

— Va bene. Grazie.

Marcus annuì e tolse il contatto. Il quadro si oscurò e Lou rivide riflessa la propria immagine accigliata.

Lavorò per il resto della mattinata al quadro comandi, poi, verso mezzogiorno, telefonò a Bonnie. La ragazza lavorava insieme a tre tecniche cinesi nell’altra ala dell’edificio.

— Temo di non poter venire a pranzo con te, Lou — disse lei, senza sorridere. — Le ragazze e io prendiamo qualcosa qui in ufficio. Abbiamo montagne di lavoro da sbrigare.

Lou spense lo schermo, e stavolta non si guardò nel riquadro nero.

Erano le sei passate quando il telefono tornò a ronzare. La chiamata strappò Lou alla concentrazione totale richiesta dal lavoro di insegnare la genetica a Ramo. Si rese conto bruscamente di essere stanco morto: aveva la schiena indolenzita, gli occhi che gli bruciavano e un forte mal di testa. Però sul grande schermo dell’elaboratore, Ramo stava riproducendo una mappa particolareggiata della struttura molecolare di un singolo gene. Una parte della mappa, e cioè l’area del gene che presentava anomalie, era indicata in rosso.

Lou compose il messaggio BUON LAVORO, RAMO. PERFETTO. Mormorò le parole tra sé, mentre il telefono continuava a suonare.

GRAZIE, rispose Ramo sul quadro.

Lou premette il pulsante del telefono; le parole di Ramo sparirono dallo schermo e al loro posto si delineò la faccia magra e angolosa di Kori. Lo scienziato sorrideva, mettendo in mostra i grandi denti bianchi e radi che a Lou fecero venire in mente un cimitero.

— Verresti a cena con me? — chiese Kori. — Ho un sacco di cose da dirti e da farti vedere.

— Veramente, non lo so — disse Lou. — Sono molto stanco…

— Ah. — Il sorriso, per un istante, sparì dalla faccia di Kori. — Forse Bonnie potrebbe… se a te non spiace. Devo fare vedere queste cose a qualcuno!

— Bonnie! — Lou trasalì. — Senti, Anton, do un colpo di telefono a Bonnie e ci vediamo tutti e due da te. Ti va?

Kori mosse la testa avanti e indietro. — Magnifico. Venite nel mio laboratorio. Vicino all’officina riparazioni. Bonnie sa dov’è.

Non ho il diritto di prendermela con lei, si disse Lou mentre faceva rabbiosamente il numero di Bonnie. La ragazza non era in camera sua. Guardando l’orologio, Lou chiamò in ufficio.

La faccia di lei riempì il quadro, e la collera di Lou sbollì.

— Oh, ciao, Lou. Stavo andandomene a cena.

Con voce perfettamente calma, lui disse: — Ha chiamato Kori in questo momento. È tutto eccitato per non so bene che cosa, e vuole che andiamo a cena con lui. Puoi venire?

— Certo — rispose la ragazza senza la minima esitazione. Lou le chiese: — Saresti stata altrettanto libera, se ti avessi chiesto di venire a cena con me? Da sola?

Per un istante negli occhi verdi comparve uno sguardo smarrito. — Che cosa intendi dire, Lou?

— Hai visto spesso Kori, è così?

— Lou, sono una cittadina che paga le tasse… o per lo meno lo ero fino a quando mi hanno sequestrata.

— Dunque ti dispiace che io ti abbia fatto venire qui!

— Certo che mi dispiace! — scattò lei, in risposta. — Non ti dispiaceva quando ti hanno portato via? Sei contento di essere in esilio? Ti sembra che quest’isola sia migliore del satellite, o dove diavolo hanno spedito gli altri membri dell’Istituto?

Lou mormorò: — Non hai voglia di stare con me, vero?

— Non dire sciocchezze — disse lei, sorridendo per la prima volta. — Lou… qualsiasi cosa ci sia stata tra noi prima, all’Istituto, qui non può essere lo stesso. Semplicemente non è possibile.

— La metti così, allora?

Adesso lei sembrava triste e sola. — Sì, la metto così, Lou.

— Già. — Tirò un sospiro profondo. — Be’, che ne dici della cena? Ho detto a Kori che ci saremmo trovati entrambi…

— Molto bene — disse lei piano. — Purché si vada d’accordo, tra noi.