Lou annuì e assunse un’espressione amara. — Capisco.
Uscì dall’ufficio e fece il giro della palazzina dell’elaboratore per andare a prendere Bonnie. Attraversarono il complesso del laboratorio in silenzio. Tra gli alberi filtrava un tramonto incredibile, rosa zafferano e viola pallido. Attraverso le macchie verdi, ai limiti del mare color rosso, il sole era enorme mentre toccava la linea dell’orizzonte.
Se Bonnie e Lou non avevano molte cose da dirsi, Kori, in compenso, ne aveva moltissime. Appena i due oltrepassarono la soglia del suo laboratorio, attaccò a parlare.
— È fantastico, non ci crederete mai, è come al cinema.
Si agitò su e giù per il grande locale, trascinando una tavola carica di complicate apparecchiature elettroniche vicino alla porta.
— Lou, ti spiace accendere il laser?
Kori indicò la parete al di sopra del banco di lavoro. — No, non quello, l’altro a sinistra. Ecco, sì.
Lou girò la manopola. Nella stanza non comparve niente di simile a un laser, però da un dato punto arrivò un ronzio di corrente elettrica.
— Aspettate di vedere… Bonnie, per favore, le luci. Dietro di te.
Con un leggero sorriso divertito, Bonnie spense le luci. Nella sala oscurata, la faccia ossuta di Kori era vagamente illuminata dal riflesso degli apparecchi sul suo tavolo.
— Adesso aspettate un momento che usi questa vecchia diapositiva per mettere a fuoco — mormorò.
Lou trovò una sedia e la spinse verso Bonnie. Lei si sedette e lui rimase in piedi vicino a lei, di fronte al quadro appena luminescente in fondo alla stanza. Sullo schermo apparve un’immagine, una specie di grafico, con innumerevoli curve colorate che danzavano sul quadro.
— Metto a fuoco — borbottò Kori. Il grafico divenne improvvisamente tridimensionale. Le curve adesso sembravano danzare in mezzo alla stanza. Lou aveva l’impressione di potervi girare attorno per guardarle dall’altra parte.
— Bene — disse Kori, talmente eccitato che il suo inglese prendeva un accento decisamente slavo. — Adesso vedremo quello che nessun altro ha ancora mai visto, tranne me.
La stanza, per un secondo, piombò nell’oscurità, poi si riempì di stelle. Lou sentì l’ansito di Bonnie. Sembrava di trovarsi nello spazio, tra uno sciame di astri a perdita d’occhio: bianchi, gialli, arancioni, rossi, azzurri: immobili punti di fuoco nelle nere profondità dello spazio. In lontananza, il velo nebuloso della Via Lattea brillava fiocamente.
— Ripresa grandangolare, da tergo — spiegò Kori, molto tecnico. — La stella gialla luminosa al centro è il Sole.
— Sono le riprese dello Starfarer? — chiese Lou, e immediatamente si sentì uno sciocco, tanto la domanda era ovvia.
Si accorse che Kori annuiva, nel buio. — La nave ha impiegato più di trent’anni per arrivare in prossimità di Alpha Centauri. E ci sono voluti oltre quattro anni perché il raggio laser riportasse l’informazione sulla Terra.
Un’altra pausa di buio, seguita da un’altra visione di stelle.
— Grandangolare, di fronte — disse Kori.
Al centro del campo c’era anche stavolta una stella luminosa, gialla. Kori fece passare alcuni fotogrammi. La stella gialla si faceva sempre più luminosa, più vicina. In breve, Lou si accorse che si trattava di due stelle.
— Alpha Centauri — disse Kori, con un sussurro reverente come se a parlare più forte corresse il rischio di rovinare gli ologrammi. — Rispetto ai due fratelli maggiori, Proxima è talmente lontana e fioca che non sono ancora riuscito a localizzarla. È una delle stelle dello sfondo. Ma qui ci vorrebbe un astronomo!
Lou provava lo stesso timore reverenziale di Kori. — Alpha Centauri — ripeté.
— Avevi ragione, Anton — disse Bonnie. — È veramente fantastico… è magnifico.
— Aspettate — disse Kori. — Non avete ancora visto il meglio.
Fece passare un’altra decina di ologrammi. La stella doppia s’ingrandì. Lou notò che una delle stelle era più piccola e più rossa del grosso sole giallo. — Che cosa sono le due macchie vicino alla stella gialla? — chiese.
Kori ridacchiò, tutto eccitato. — Macchie? Macchie dici? Ma quelli sono pianeti. Due pianeti che girano attorno ad Alpha Centauri!
Lou non trovava parole. Si limitava a guardare lo schermo, dove Kori faceva passare altri ologrammi dei due mondi sempre più ravvicinati. Nell’ultimo si vedeva soltanto il secondo pianeta. Aveva l’aspetto di una grossa palla rotonda, di un verde giallastro, striato di nuvole bianche.
— Non ho avuto la possibilità di analizzare i dati spettroscopici — disse Kori, — ma quelle nuvole, a mio parere, sono di vapore acqueo. È un pianeta più grosso della Terra e probabilmente con una gravita maggiore. Però, se c’è l’acqua, forse c’è anche la vita!
Era molto tardi quando Bonnie e Lou tornarono, insieme a Kori, nei loro alloggi. Non avevano mangiato niente. Nel loro entusiasmo davanti alle immagini delle stelle, se ne erano totalmente dimenticati.
Kori si fermò in mezzo alla strada, in un punto libero dagli alberi, e rovesciò la testa all’indietro.
— Guardate! — gridò. — Milioni e miliardi di stelle. E milioni e miliardi di pianeti. Alcuni forse sono identici alla Terra, e aspettano solo che li raggiungiamo. E adesso noi siamo in grado di farlo! Siamo in condizioni di arrivare fin lassù e lo faremo! — Scoppiò a ridere forte e poi, alzando le lunghe braccia verso il cielo, emise un lungo fischio.
— Piano, calma… si direbbe che sei ubriaco — disse Lou.
— Ma sono ubriaco — rispose Kori, felice. — Sono ubriaco di felicità, di conoscenza, di potere. Siamo in grado di raggiungere altri mondi. È un’idea sufficiente per dare alla testa a chiunque.
Lou scosse la testa nell’oscurità. — Forse abbiamo davvero bisogno di altri mondi. Questo, l’abbiamo già abbastanza insozzato.
Kori rise. Non era disposto a fare discorsi seri, quel giorno.
— Aspetta che la gente veda queste immagini. Aspetta che si renda conto del loro significato — disse.
— Credevo che il governo non intendesse lasciare trapelare queste notizie — disse Bonnie.
Lou rispose: — Marcus e il ministro Bernard mostreranno in un modo o nell’altro queste immagini ai giornalisti.
La voce di lei era tranquilla ma ferma. — Tu credi? Pensi davvero che intendano mettere il mondo al corrente di questa scoperta? O dell’ingegneria genetica, quando sapremo farla funzionare?
Lou si fermò e la guardò. Nel buio, era impossibile vedere l’espressione della faccia di lei.
— Ma che cosa stai dicendo? — chiese.
Bonnie, per un momento, non rispose. Poi: — Non ne sono sicura… potrei sbagliarmi. Non c’è niente di definito, però ho avuto… sì, l’impressione, di una specie di…
— Va’ avanti.
— Ecco… perché vogliono che Anton si occupi di esplosivi nucleari? Che garanzie abbiamo che il nostro lavoro sarà reso pubblico? Perché i biochimici lavorano ai soppressori corticali?
— Soppressori?
— Proprio così. L’ho scoperto oggi pomeriggio — disse Bonnie. — Ed è per questo che hanno bisogno dell’elaboratore: per selezionare il soppressore chimico migliore per degradare l’attività corticale, in via permanente.
— Ma in questo modo si distrugge l’intelligenza di una persona — disse Lou.
— Lo so — rispose Bonnie. — E secondo me, pensano di usare il Grande George come cavia.
Lou si sentì rimescolare tutto. — No, non lo faranno. Se quello che dici è vero, allora…
— Allora siamo stati indotti con l’inganno a collaborare con un gruppo di persone che si propone di rovesciare il governo e di trasformare metà della popolazione in altrettanti idioti irresponsabili — disse Bonnie.
Seguì un silenzio lunghissimo, interrotto solo dal brusio degli insetti notturni tra gli alberi e i cespugli e dal sospiro lontano del mare. Alla fine, nel buio risuonò la voce triste di Kori: — Ecco, adesso, non mi sento più ubriaco.