XIV
Ci volle quasi una settimana perché Lou si convincesse che Bonnie aveva ragione.
Come fonte d’informazione e come maestro, si servì di Ramo. Lou non era al corrente delle ricerche dei biochimici. Di conseguenza ne seguì i progressi controllando sera per sera, una volta finito il lavoro, i programmi e la memoria di Ramo. Nella sua memoria vastissima, Ramo racchiudeva la maggior parte delle nozioni di biochimica del mondo. L’elaboratore perciò divenne il maestro di Lou e gli spiegò, pazientemente e con la cocciutaggine tipica di una macchina, che cosa esattamente stavano facendo i biochimici di Marcus.
Per la fine della settimana, Lou sapeva quanto bastava.
Quel giorno era seduto sulla sabbia calda tra Bonnie e Kori. Circa una ventina di persone, in gran parte uomini e donne del gruppo tecnico, si trovavano sulla spiaggia o nuotavano nelle onde leggere che dalla barriera corallina venivano a frangersi sulla sabbia. In lontananza, sull’orizzonte, enormi cumuli bianchi si rincorrevano attraverso il cielo come ragazzi felici.
Loro tre erano seduti un po’ in disparte dagli altri bagnanti. Bonnie era ancora umida per una nuotata recente. Le gocce d’acqua brillavano sul suo corpo, e aveva la pelle d’oca per il freddo. O era la paura che la faceva rabbrividire, in quel pomeriggio così caldo? Lou, tra sé, notava con soddisfazione che il costumino di lei la esponeva generosamente all’ammirazione.
Comunque rimase serio, e parlò sottovoce in modo da farsi sentire soltanto dagli altri due, al disopra del vocio e delle risate che riempivano la spiaggia.
— Avevi perfettamente ragione, Bonnie — disse Lou. — I biochimici si occupano realmente di soppressori. Hanno già prodotto alcuni campioni di prova di una sostanza che poi hanno iniettato ai topi. Ramo mi ha mostrato i risultati. Sei topi sono morti di fame in un labirinto perché non sono riusciti a trovare il cibo, posto in fondo al labirinto stesso. Prima di essere stati trattati, gli stessi topi erano arrivati al cibo in meno di un minuto.
— Dio mio! — disse Kori. Bonnie rabbrividì.
— Oggi — continuò Lou, accigliato, — hanno chiesto a Ramo di fornire il tracciato corticale completo del Grande George. Non ci sono più dubbi ormai. Vogliono sperimentare la sostanza su di lui.
— E poi su un essere umano — disse Bonnie.
Lui la guardò. Poi annuì. — Sì, hai ragione. Sarà il prossimo passo.
— Che cosa dobbiamo fare? — chiese Kori, alzando la voce.
Lou si strinse nelle spalle. — Non vedo che due soluzioni. Prima: sospendiamo le ricerche e ci rifiutiamo di continuare. In questo modo riusciremo a rallentare la corsa all’ingegneria genetica e alle bombe nucleari.
— Però non bloccheremmo la faccenda dei soppressori — fece Bonnie.
— E ormai hanno già un numero sufficiente di bombe per distruggere Messina — disse Kori.
Lou annuì, disegnando col dito un quadrato sulla sabbia.
— Sì… allora l’unica cosa da fare è mettere fuori uso Ramo.
— Far saltare l’elaboratore? — chiese Kori.
— No. È sufficiente che cancelli interamente tutti i suoi programmi e la memoria. Ci impiegherò un certo tempo e dovrò darmi da fare un poco, ma ce la farò.
— Altro che un certo tempo — disse Bonnie. — La memoria di Ramo…
— Conosco alcuni trucchi che non ti ho ancora insegnato — disse Lou, sorridendo. — Sono in grado di cancellare tutto in una notte.
— Dici sul serio? Ma allora si bloccherà tutto — disse Kori.
— Hanno sempre le bombe — osservò Lou.
Kori, scuotendo la testa, disse: — Sì, ma senza le armi biologiche che tentavano di mettere a punto, le bombe da sole non sono sufficienti.
— Dimenticate che hanno qualcos’altro nelle loro mani — disse Bonnie.
— E cioè?
— Noi… o meglio te, Lou. Se Ramo è riportato a zero, non credi che Marcus immaginerà chi è stato?
— Va bene — disse Lou, tranquillamente. — Venga pure a sapere che sono stato io. E con ciò? Ramo rimane fuori servizio e Marcus è bloccato per sempre.
— E anche tu lo sarai — disse Bonnie. — Ti ucciderà.
— Ma non gli servirebbe a niente.
— Però non servirebbe neanche a te — disse Kori.
— Ma non capisci? — disse Bonnie. — Se ti ammazza, non ne ricava niente, lo ammetto. Però, con la minaccia di farti fuori, può impedirti di neutralizzare Ramo. Lou annuì. — E la faccenda perde ogni aspetto divertente.
— Un momento — disse Kori, — abbiamo trascurato qualcosa nell’equazione. Partiamo tutti dal presupposto che si debba restare tutti e tre sull’isola.
— Tu conosci il modo per andartene? — chiese Lou.
— Ogni tanto ci sono dei battelli…
— E sai prendere il largo? Siamo in grado, noi tre, di impadronirci di una delle barche? E tu sai navigare? Anzi, chi di noi sa dire con esattezza dove si trovi questa isola?
Silenzio.
Poi Kori tornò a illuminarsi. — Se non riusciamo a salpare, forse saremo in grado di avvertire qualcuno che mandi qui le truppe governative a liberarci!
Lou, suo malgrado, scoppiò a ridere forte. — Che magnifica idea! E come mandiamo il segnale? E a chi?
Corrugando la fronte per la perplessità, Kori mormorò: — Be’… giù al porto c’è una stazione radio.
— Sì, sorvegliata giorno e notte da tre guardie armate. E anche ammettendo che si riesca a far funzionare la radio e a entrare in contatto con qualcuno, prima che le truppe governative arrivino sull’isola, ci avranno fatto fuori tutti.
Kori intrecciò le mani dietro la testa e si allungò sulla sabbia. — Lou, amico mio, io sono un fisico e ho avuto una grande idea di base. Riconosco che ci sono ancora diversi piccoli particolari da definire. Questo però è un lavoro da tecnici, e non da fisici. — Chiuse gli occhi, fingendo di dormire.
Senza una parola, Bonnie prese una manciata di sabbia e la fece scorrere sulla faccia di Kori. Sputando, il fisico si alzò a sedere. Tutti e tre scoppiarono a ridere.
Bonnie si alzò. — Venite, andiamo a fare un tuffo, prima di pranzo. Non è il caso che risolviamo il problema proprio adesso.
Lou si alzò. — Forse no. Ma è opportuno risolverlo al più presto. Non ci rimane molto tempo.
Lou, quella notte, non riuscì a prendere sonno. Rimase disteso sul letto con gli occhi spalancati nel buio, ascoltando i rumori della notte che entravano dall’unica finestra, insieme alla brezza del mare. Mille pensieri gli si affacciavano alla mente. Era inutile che girasse e rigirasse il cuscino o tenesse gli occhi chiusi e tentasse di rilassarsi; si trovava allungato nel letto, sconvolto, tutto sudato, con gli occhi spalancati e le mascelle doloranti a forza di tenerle serrate per la tensione.
Alla fine si arrese, si alzò e si vestì. Uscì all’aperto, nel buio, dirigendosi verso gli edifici del laboratorio. E verso l’elaboratore.
Svoltò all’angolo del primo fabbricato a andò verso il recinto del Grande George. Passando, vide un sorvegliante seduto accanto al cancello, mezzo addormentato. La luna entrava e usciva dietro banchi argentei di nuvole, ma all’interno del recinto le macchie degli alberi proiettavano un’ombra impenetrabile. Aguzzando gli occhi Lou ebbe l’impressione di intravvedere la grossa sagoma del gorilla addormentato su un giaciglio fatto di legno, paglia e rami di palma. Lo sentì sbuffare, mentre la grande forma scura si muoveva pigramente.
— Va tutto bene — disse piano Lou. — Sono io, George.
Il gorilla si alzò a sedere e Lou vide nei suoi occhi un riflesso lunare. Il Grande George scese dal giaciglio e trotterellò verso la rete.