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— Zio Lou — sussurrò.

— Come stai, Georgy?

— Buono. Sono stato molto buono.

Lou avrebbe voluto battergli affettuosamente sulla spalla, ma la rete era troppo fitta perché la mano vi potesse passare.

— Lo so che sei stato buono, Georgy. Ti piace questo posto? Sono stati gentili con te?

— Ho molto spazio e mi danno da mangiare bene. Però non viene mai nessuno a giocare con me. Sono sempre solo.

— Mi dispiace… non sono mai venuto a trovarti — disse Lou, con un certo rimorso.

— Ma il dottore ha detto che verrà a giocare con me — mormorò, eccitato, Georgy.

— Il dottore? Quale dottore?

— Il dottore — rispose George. — È stato qui oggi… o era ieri? Il giorno prima di stasera è oggi?

— Non importa — disse Lou, impaziente. — Che dottore? Chi era?

— Un nuovo amico. Ha detto che quando tornerà, verrà a giocare con me. E io non mi sono mosso e non ho gridato e non ho fatto niente, anche quando faceva male.

— Che cosa ti ha fatto?

Il gorilla si toccò la nuca con la mano enorme. — Ha fatto un rumore buffo, proprio qui dietro, e mi faceva un po’ male. Ma solo un po’. Adesso va meglio.

Esplorazione spinale, pensò Lou, con una stretta al cuore.

— Ho promesso che non mi sarei mosso, anche se faceva male — disse George.

— Georgy, ascoltami. Il dottore ha detto che sarebbe tornato. Quando? Quando tornerà?

— Domani.

Domani o più probabilmente stamane. — Va bene, Georgy, adesso torna a dormire. Verrò a trovarti domani mattina.

— D’accordo, zio Lou. Buona notte.

— Buona notte.

Mentre il gorilla caracollava verso il giaciglio, Lou cominciò a capire che cos’era la vera responsabilità. Il Grande George si fida di me. Ha bisogno di me, perché impedisca agli altri di fargli del male.

E allora Lou si rese conto che l’unico modo per salvare il Grande George era di sacrificare Ramo. Per poco non scoppiò a ridere, lì in piedi, accanto alla rete, sotto la luce della luna.

Mi sono fatto una famiglia, pensò amaramente. Un gorilla e un elaboratore. Uno dei due deve morire. E tocca a me scegliere la vittima.

Esitò soltanto un secondo. Poi si voltò e si diresse verso la palazzina dell’elaboratore.

XV

La porta dell’edificio che conteneva Ramo era chiusa. E non aveva una serratura a codice fonico, ma una di vecchio tipo meccanico, di quelle fornite di una serie di pulsanti da premersi secondo la combinazione giusta.

Lou non conosceva la combinazione. E scommetto che Marcus ha installato un sistema d’allarme nella palazzina. Prima ancora che riesca a sedermi, al quadro, avrò addosso una banda di guardie.

Rimase lì davanti, senza sapere che cosa fare. È inutile farti sparare addosso, se poi non riesci a fare il lavoro che ti proponevi, si disse. Poi sorrise. D’altra parte, con un po’ di astuzia e di rapidità, c’è il modo per fare il lavoro, senza ammazzare nessuno.

Sorridendo alla nuova idea, Lou tornò nel suo alloggio, si svestì in fretta e andò a letto. Mise la sveglia sulle sei e chiuse gli occhi. Nel giro di cinque minuti era profondamente addormentato.

Dormì in tutto nemmeno tre ore, ma quando si ritrovò al recinto di George, si sentiva sveglio e in piena forma.

— Ti ho portato un po’ di frutta della colazione — disse al gorilla. — Prendila!

Gettò al di là della rete una banana e due arance. George arretrò con gesto goffo arrivando in tempo ad afferrare la banana con la mano enorme. Le arance caddero a terra.

Si chinò per raccoglierle, poi si cacciò in bocca i tre frutti in una volta sola.

— Grazie, zio Lou — disse, con la bocca piena di succo. Lou rise. — Ciao, Georgy.

Con la coda dell’occhio, vide una guardia che andava da un edificio all’altro, fermandosi a ogni porta per formare la combinazione della serratura. Chiacchierò ancora per un minuto o due con il gorilla, poi, quando fu sicuro che la guardia era fuori tiro, si diresse a passo svelto verso l’elaboratore.

I tecnici a quell’ora stavano ancora alzandosi, pensò, dando un’occhiata all’orologio del quadro di controllo. Infilandosi nella sedia, cominciò senza perdere un minuto a trasmettere le istruzioni a Ramo.

Soltanto a metà mattina ebbe la conferma che il suo sistema aveva funzionato. Nonostante l’aria condizionata quasi polare che regnava nel locale dell’elaboratore, Lou era tutto sudato quando si sedette al quadro di controllo. Si sforzava di fare il suo lavoro ma procedeva con estrema lentezza. Era chiaro che aveva la testa altrove.

Il telefono ronzò. Lou si aspettava la chiamata, ma trasalì ugualmente. Premette il tasto RISPOSTA. La tonda faccia orientale del capo dei biochimici comparve sullo schermo. Sembrava a disagio.

— Stamane, siamo nei guai — disse, senza altri preamboli.

— Davvero? — disse Lou, con aria innocente.

Accigliato, il biochimico disse: — Sì, stavamo controllando, come di consueto, il lavoro di ieri, e abbiamo scoperto che dalla memoria del calcolatore mancano i dati registrati ieri.

— Mancano? — Lou scosse la testa. — È impossibile. Probabilmente cercavate nel punto sbagliato.

Discussero per quasi mezz’ora. I risultati dell’esplorazione spinale del gorilla, la mappa corticale e anche certe formule chimiche che erano state immesse nell’elaboratore settimane prima, erano scomparsi completamente dalla memoria di Ramo.

Lou si sforzò di apparire molto preoccupato. — Farò una revisione completa per ritrovare i dati mancanti — disse, — ma ho l’impressione che uno dei vostri tecnici abbia commesso qualche errore. Vedete, manovrare l’elaboratore non è semplice come battere a macchina. Se aveste affidato a me i dati da registrare… O per lo meno dovreste disporre di un programmatore esperto o di un tecnico capace di svolgere questo lavoro.

— Ma sono tutti tecnici diplomati! — scattò il biochimico.

Lou si strinse nelle spalle. — Evidentemente hanno una preparazione insufficiente. Va bene, cercherò io i vostri dati. Però sono pronto a scommettere che non sono stati immessi a dovere e, di conseguenza, non si trovano nella memoria dell’elaboratore.

Il biochimico era furibondo. — Due mesi di lavoro buttati via! — esclamò in cinese.

Ci volle una settimana per capire che cosa stava succedendo. Lou, di giorno si dedicava al proprio lavoro; poi, alla fine della giornata, rivedeva con Ramo il lavoro dei biochimici. Nel giro di pochi minuti cancellava una parte del loro materiale dalla memoria di Ramo. Lou non eliminava mai troppo materiale alla volta, si limitava al minimo sufficiente per far andare a rilento il lavoro.

I biochimici adesso erano disperati. Il loro capo si aggirava gridando, rosso come un gambero. I tecnici dell’elaboratore che lavoravano per lui avevano un’aria sgomenta. Ogni fine settimana, Lou passava buona parte del tempo coi tecnici, cercando di scoprire perché non riuscivano a svolgere bene il loro lavoro.

Lou non disse a nessuno che cosa stava facendo. Ma Bonnie e Kori capirono lo stesso. Un sabato mentre cenavano tutt’e tre insieme nella tavola calda gremita, Lou disse a Kori:

— Devi trovare un sistema per lasciare l’isola. È una questione di tempo; prima o poi i biochimici scopriranno che cosa non va nei programmi dell’elaboratore, e allora…

— Lo so — disse Kori, chinandosi sulla tavola e parlando pianissimo. — Ho cercato di fare il punto, per stabilire per lo meno dove ci troviamo esattamente. Però, come ufficiale di rotta valgo poco. E il sestante che ho costruito non è molto preciso.