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Kori annuì.

— Va bene — continuò Lou. — Allora, hai bisogno di un’auto e di un’azione diversiva. Troveremo pure una soluzione. Non dovrebbe essere troppo difficile. Il grosso problema però è questo: che cosa facciamo per proteggere Bonnie.

— Deve sparire — disse Kori.

— Magnifico. E come?

Silenzio.

Camminarono lentamente nella luce purpurea del tramonto. L’acqua della risacca si arricciava attorno alle loro caviglie, in una frangia di spuma, poi rifluiva in mare. Un gabbiano solitario scivolò basso sopra le onde, con un grido triste, quasi chiamasse gli amici perduti.

Alla fine Bonnie disse: — Il Grande George! Potrei nascondermi per un giorno o due nel suo recinto. Gli alberi e i cespugli folti costituiscono un ottimo nascondiglio, e poi le guardie non vanno mai all’interno del recinto.

— Con il gorilla? — Era troppo buio ormai per vedere la faccia di Kori, però la voce era piena di sgomento.

— Siamo amici — disse Bonnie. — Ci conosciamo da quando George è nato.

— Non le farà niente di male — disse Lou. — Come non fa del male a nessuno, del resto. Il guaio è che vorrà giocare con te. Non riuscirai a rimanere nascosta. Ti farà sicuramente scoprire.

— No, se glielo spiego.

Kori scosse la testa. — Lo so che siete affezionati a quell’animale e che è dotato di notevole intelligenza. Io, però, non starei dentro il recinto nemmeno dieci minuti. Figuriamoci per dodici ore o forse più.

— Hai visto troppi film brutti — disse Bonnie. — George non farebbe del male a una mosca.

Continuarono a parlare, a discutere e a fare progetti finché fu completamente buio. Le stelle riempivano la notte e il nastro scintillante della Via Lattea, luminosa e ammiccante, attraversava la volta celeste.

— Guardate lassù! — disse Kori.

Nel buio, s’intravvedeva la sua ombra che additava qualcosa in cielo. Alzando gli occhi, Lou vide una stella che si muoveva silenziosamente, attraverso il cielo, come se avesse abbandonato la sua posizione normale per portare a termine qualche missione.

— È uno dei satelliti? — La voce di Bonnie risuonò nell’oscurità, intonandosi al sottofondo della risacca.

Kori guardò l’orologio fosforescente. — Sì. E in perfetto orario.

— Dio sia ringraziato — disse Lou.

Lou non dormì molto quella notte, e il giorno dopo in laboratorio non fece quasi attenzione al suo lavoro. Faceva meccanicamente i gesti necessari, ma la sua mente era altrove, intenta a pensare a tutto quello che andava fatto quella sera. Procurare la macchina a Kori, nascondere Bonnie, creare un’azione diversiva che tenesse occupate le guardie per il tempo sufficiente a permettere a Kori di svolgere il suo lavoro indisturbato.

Verso la fine del pomeriggio, Lou non ce la fece più a rimanere chiuso nella sala di controllo. Uscì all’aperto per prendere una lunga boccata d’aria calda, che sapeva di salsedine.

E in quel momento, il pomeriggio tranquillo fu attraversato dal grido di un animale. Un urlo di rabbia, di dolore e di paura.

— George!

XVII

Lou corse verso il gorilla. Arrivò in tempo per vedere due biochimici che ne trasportavano un terzo fuori del cancello. Il Grande George era invisibile. Una mezza dozzina di guardie s’era già radunata attorno al cancello e altre arrivavano di corsa, con le armi in pugno.

— Che cosa è successo? — chiese Lou.

Nessuno gli badò. Un paio di guardie raccolse il biochimico svenuto. L’uomo aveva la faccia insanguinata e un braccio che penzolava in modo strano.

Lou afferrò uno dei biochimici per un braccio. — Che cosa succede? Che cosa avete fatto?

Il piccolo orientale guardò Lou con occhi pieni di paura e di collera. In un inglese nasale, con un forte accento cinese disse: — La scimmia si è spaventata per le iniezioni. L’anestetico non era sufficiente. Le funi non abbastanza strette. La scimmia si è sciolta, ha colpito il dottor Kusawa ed è fuggita tra gli alberi.

— Iniezioni, avete detto? — chiese Lou. — I soppressori?

Il biochimico accennò di sì, liberò il braccio dalla stretta di Lou e si allontanò dietro le guardie che stavano trasportando il suo capo.

Lou corse al cancello.

Una delle guardie scosse la testa, facendo segno a Lou di allontanarsi. — No. Pericolo. Via di qui.

— Fatemi entrare. Non mi farà niente. Si è spaventato e sta male.

Le guardie erano radunate attorno al cancello, ormai chiuso a chiave, la maggior parte era intenta a scrutare in mezzo all’intrico di alberi e arbusti. Il Grande George era sempre invisibile. Le altre guardie tenevano d’occhio Lou.

— Pericolo — disse la prima guardia a Lou. — Via di qui.

Lentamente, di malavoglia, Lou si allontanò.

Quella sera, a cena, Kori scosse la testa. — Questo cambia tutto. Bonnie non può rimanere con lui.

— Certo che posso — disse Bonnie. — George a quest’ora si sarà ripreso e le guardie non si sogneranno mai di andare a frugare nel recinto. È il nascondiglio ideale in questo momento.

— No — disse Lou. — Non sappiamo che effetto abbiano avuto le iniezioni su George. È troppo rischioso.

Erano seduti al tavolino della tavola calda, protesi in avanti, indifferenti alla cena che diventava fredda e al locale affollato e rumoroso. Molti occhi li stavano sorvegliando.

Bonnie insisteva nel dire che George stava bene. — Andiamo al recinto a parlargli. Almeno ne saremo sicuri — propose.

Lou annuì. Kori sembrava preoccupato.

Si diressero verso il recinto del gorilla, tenendosi lontani dal cancello, dove c’erano le guardie. Risalirono la collina finché arrivarono all’altezza di una macchia di alberi, all’interno del recinto.

— Georgy — chiamò piano Lou. — Georgy, sono io, zio Lou.

Si sentì sbuffare, e un paio di occhi carichi d’angoscia brillarono nel buio. Lou, suo malgrado, rabbrividì. Erano gli occhi di una belva selvaggia.

Si sforzò di parlare con calma. — Georgy, va tutto bene. Sono io, zio Lou. E c’è anche Bonnie. E un altro amico.

Un brontolio.

Lou si voltò verso Kori. — Forse è meglio che tu ti allontani, Anton. George in questo momento ha molta paura di tutti quelli che non conosce.

— Ma non sembra spaventato.

— Invece lo è.

Kori disse, con ostinazione: — Voglio vedere personalmente la reazione del gorilla. Non voglio errori da parte vostra.

— E piantala! — sbottò Lou, parlando sottovoce per non spaventare il Grande George. — Credi di essere l’unico ad avere cervello? Sta’ tranquillo, non permetterò a Bonnie di correre rischi.

— Smettetela di litigare — disse Bonnie. Poi si rivolse a Kori. — Finché tu rimani qui, non uscirà.

Kori se ne andò, borbottando. Dopo dieci minuti di soffi e brontolii il Grande George si calò dall’albero avvicinandosi al recinto.

— Georgy — disse Lou, aggrappandosi alla rete della recinzione. — Come va?

— La testa… mi fa male la testa.

— Va tutto bene, Georgy — disse Bonnie. — Tra poco non ti farà più male.

— Fa male… uomini cattivi… fa male…

È una mia impressione o ha realmente una voce strana? E come fa fatica a trovare le parole! Lou si accorse che aveva gli occhi pieni di lacrime. — Georgy, non avere paura. Andrà tutto bene. Gli uomini cattivi se ne sono andati. Non torneranno più.

Il gorilla si limitò ad ammiccare.

Bonnie disse, piano: — Georgy, tra poco verrò a stare con te. Ti porterò molta roba da mangiare, e medicine per farti passare il male.