— Male… uomini cattivi…
— Resterò con te — ripeté Bonnie. — E la medicina ti farà passare il male. Non avere paura.
— E io farò in modo che gli uomini cattivi non tornino — disse Lou. — Mai più.
— Zio Lou… — cominciò il Grande George, ma non finì il pensiero.
Lou disse, con estrema gentilezza: — Va tutto bene, George. Non verranno più a farti del male.
Mentre si allontanavano dal recinto, Bonnie posò una mano sul braccio di Lou. — Ma tu tremi — disse.
Lou annuì. — Vedi… l’altra notte non ho chiuso occhio. Ero spaventato. E lo sono ancora, lo ammetto. Stanotte c’è il rischio che ci ammazzino tutti. Però quello che veramente mi spaventava era l’idea che forse avrei ucciso qualcuno. O per lo meno, avrei cercato di ucciderlo. Ma adesso che vedo cosa hanno fatto a Georgy… a un animale innocente come lui… non tremo più di paura. Tremo di rabbia.
— Sta’ tranquillo — disse Bonnie. — Andrà tutto bene.
— Sei sicura che non ti capiterà niente, con George?
— Sì, senz’altro. Gli porterò dei dolci e dei sedativi. Dormirà come un bambino.
Lou annuì.
— Vedrai — disse Bonnie. — Filerà tutto come un congegno a orologeria.
— Sì. — Lou guardò l’orologio. Ora X meno quattro ore e qualche minuto.
Alle undici in punto si ritrovarono, tutt’e tre, all’ingresso degli alloggiamenti. Avevano impiegato quelle ore a mettere a punto gli ultimi particolari, poi si erano ritirati nelle rispettive camere, dicendo che andavano a dormire. S’incontrarono nell’oscurità e si diressero senza perdere tempo verso i laboratori. Avevano scovato, in mezzo ai capi di vestiario, tre maglioni e tre paia di pantaloni neri, identici. Identici pensava Lou, però quelli di Bonnie stanno meglio dei nostri.
Sull’isola c’erano due turbocar. Uno dei due veniva parcheggiato, di notte, davanti al laboratorio. L’altro si trovava in casa di Marcus.
— Credi che ci sorveglino? — chiese Bonnie in un sussurro, mentre procedevano camminando ai margini della strada verso il laboratorio, tenendosi al riparo sotto gli alberi e la vegetazione fitta.
Kori sussurrò la risposta: — Hanno messo le guardie al laboratorio, al recinto del gorilla, alle grotte delle bombe e alla casa di Marcus. Perché dovrebbero tenerci d’occhio? Non possiamo fare niente di male, se non ci avviciniamo a uno di quei posti.
— Comunque, se siamo sorvegliati non tarderemo a scoprirlo — disse Lou, indicando più avanti lungo la strada il riflesso delle luci del laboratorio.
Con un lungo giro sotto gli alberi evitarono la zona illuminata, poi ripiegarono fino all’estremità del recinto del Grande George. Mentre Kori si fermava a distanza ragionevole, Lou e Bonnie si avvicinarono alla rete, chiamando il gorilla sottovoce.
Il Grande George trotterellò fino alla recinzione. — Ciao, Georgy — disse Lou. — Come ti senti?
— La testa… mi fa male…
— Ti ho portato una medicina perché tu stia meglio — disse Bonnie. — E anche dei dolci.
Chiacchierarono per qualche minuto con il gorilla, poi Lou issò Bonnie in cima alla rete. George si allungò e la prese per la vita, circondandola completamente con le mani enormi. La posò a terra, all’interno del recinto, con la leggerezza con cui un ballerino regge la sua compagna.
Lou li stette a guardare, con il cuore che gli batteva forte, pensando alla facilità con cui il Grande George avrebbe potuto uccidere Bonnie. La ragazza si alzò in punta di piedi e batté amichevolmente sulla grossa testa del gorilla. Mentre si allontanava verso gli alberi, Bonnie cercava i dolci nella borsetta che aveva alla cintura.
Lou, nonostante i suoi timori, sorrise vedendo la sottile ragazza bionda e il gorilla enorme.
Guardò l’orologio. Già le undici e mezzo. Ritornando da Kori, Lou ripassò mentalmente, per la milionesima volta, il piano. Punto primo: procurare una macchina a Kori.
Trovò Kori e lo tranquillizzò dicendogli che Bonnie era al sicuro. Ritornarono verso il complesso dei laboratori. Da dietro il laboratorio di Kori, al margine della zona illuminata, videro l’unica guardia che andava lentamente avanti e indietro, da un fabbricato all’altro. L’uomo aveva l’aria annoiata e assonnata. Però dal suo fianco penzolava una grossa pistola.
Kori guardò Lou con un cenno d’intesa. Poi uscì dall’ombra e andò dritto verso la guardia.
— Sentite — chiamò forte, — mi potete dare una mano? Dovrei entrare nel laboratorio. Ho del lavoro da finire.
La guardia si mise all’erta all’istante. — I fabbricati sono tutti chiusi. Non si può entrare fino a domattina.
— Sì, lo so, ma… — Lou non stette a sentire altro. Fece il giro dell’edificio e sbucò dall’altra parte, alle spalle del sorvegliante. Kori era sempre infervorato a discutere con la guardia, che teneva la destra sul calcio della pistola. I due si trovavano a una decina di metri dall’angolo dell’edificio dietro il quale era in agguato Lou, alle spalle della guardia. Nello spazio illuminato tra le due costruzioni, era ferma la macchina di cui avevano bisogno.
Dieci metri. Lou, rapido e silenzioso, si sfilò i sandali e si lanciò di corsa, in punta di piedi. Lo scalpiccio dei piedi nudi sulla ghiaia era addirittura assordante. La guardia si voltò.
Lou superò gli ultimi metri con un salto e afferrò l’uomo per le braccia, mentre Kori lo colpiva alla trachea. La guardia, con un rantolo soffocato, crollò a terra dibattendosi, con Lou addosso. Kori, con tutta calma, si allungò, scostò la faccia di Lou e picchiò duro sulla nuca della guardia. L’uomo si afflosciò inerte. Lou si rialzò ansimando, tutto sudato. — È morto?
— Non credo — rispose Kori. Andò alla porta del laboratorio e premette i bottoni della combinazione. La porta si aprì e le luci si accesero automaticamente.
— Hai visto? — disse Kori, sorridendo. — Niente allarme. L’ho staccato oggi pomeriggio, quando ho cambiato la combinazione della serratura. Dopo tutto, c’è un certo vantaggio a fare il fisico.
Lou trascinò il guardiano all’interno e lo ficcò in uno stanzino, chiudendo la porta a chiave. Nel frattempo, Kori riempiva il contenitore con il materiale che gli serviva.
Senza una parola, uscirono dal laboratorio, chiudendo la porta. Poi si diressero verso la macchina.
— Sei sicuro di farcela da solo? — chiese Lou, mentre Kori caricava il contenitore sul sedile posteriore dell’auto.
— Sì, purché tu li tenga impegnati dall’altra parte dell’isola — rispose Kori. Si sfilò dalla cintura la pistola della guardia. — Tieni. Io prenderò quella della guardia della grotta. Sai adoperarla?
— Credo di sì.
— È facile. Basta alzare la sicura… ecco, ed è pronta a sparare. Poi, premi il grilletto. È caricata con almeno venticinque impulsi laser, che sono micidiali quanto un proiettile esplosivo… un po’ come battere su qualcosa con un martello a ultrasuoni.
Lou annuì, prendendo l’arma. La pistola gli pesava in mano.
— Molto bene — disse Kori. — Aspetterò qui, finché sentirò del baccano, giù al porto.
— D’accordo. — Lou infilò la pistola nella cintola, poi strinse la mano che Kori gli tendeva. — Buona fortuna.
Kori sorrise. — A domani.
— Sì. — Se saremo ancora vivi, domani.
Lou corse verso il porto, alla luce delle stelle. La strada passava davanti alla casa di Marcus, dov’era ferma l’unica altra auto dell’isola. Lou si guardò attorno ma non vide nessuno: si mise al volante e allentò il freno. L’auto si avviò lungo il leggero pendio, e poi per la strada sconnessa.
A un tratto, Lou sentì alle spalle uno scalpiccio. Un uomo gridò: — Wei! Li tsai tso sheng mo?