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— Tu sei l’uomo chiave — disse Greg. — Dipende tutto da te e dal tuo collaboratore elettronico.

Non c’è male, per uno che ha fatto le mie scuole, pensò Lou.

— Va bene — disse Greg, alzandosi. — Se non altro, posso togliermi dai piedi e lasciarti lavorare in pace. Vado un po’ a vedere che cosa sta combinando il Grande George.

Lou annuì e si mise a cercare tra le carte della scrivania. Con un sorriso, Greg aggiunse: — Potrei portare Bonnie a pranzo, visto che l’hai piantata da sola.

— Giù le mani, eh?

Greg rise. — Calma, amico. Calma. Non vado a caccia: ho anch’io le mie ragazze, e le tengo nascoste sotto le rocce, sparse qua e là.

— Bravo.

— Però, se riesci a liberarti per un’ora o due da Ramo, forse è una buona idea portare fuori Bonnie. La ragazza ha lavorato duro, almeno quanto te, per mettere a punto l’allarme. È una vergogna lasciarla sola per tutto il week-end.

— Sì — ammise Lou. — Se ce la faccio, la porto fuori. Ma, appena Greg se ne fu andato, Lou si immerse nel lavoro. Non pensava più a Bonnie, e neanche alla gara di volo, o ad altro; era tutto assorto nel compito di formare le miriadi di combinazioni possibili del codice genetico umano e di immagazzinare i dati nella memoria di Ramo. Era pomeriggio avanzato quando un colpo violento alla porta del suo ufficio lo strappò alla sua concentrazione. Lou, alzando gli occhi dalla scrivania coperta di carte, vide aprirsi la porta, e un uomo di mezza età, massiccio, dall’aria dura, entrare con passo pesante.

— Louis Christopher, ho un mandato federale di arresto per voi.

III

Lou, con rabbia crescente, fece una grande quantità di domande allo sceriffo, mentre lasciavano l’Istituto e salivano su un turbocar privo di targa. Lo sceriffo non rispose a nessuna domanda, limitandosi a dire: — Ho l’ordine di portarvi con me. Tra poco scoprirete voi stesso di cosa si tratta.

Si diressero verso un piccolo aeroporto privato, mentre il sole rosso, enorme, calava verso l’orizzonte deserto. Un jet sottile, a due reattori, era in attesa.

— Un momento! — gridò Lou, mentre la macchina si fermava accanto all’aereo. — Conosco i miei diritti. Non potete…

Lo sceriffo non gli badò. Scese dall’auto e, con un gesto d’impazienza, indicò l’aviogetto. Lou scese a sua volta e si guardò attorno. Nelle ombre lunghe del tardo pomeriggio, l’aeroporto sembrava deserto. Ci sarà pure qualcuno, nella torre di controllo. Ma non vide nessuno, né nei capannoni, né intorno ai piccoli aerei allineati in perfetto ordine al limite della pista.

— Ma è insensato! — disse.

Lo sceriffo tornò a indicare col pollice il reattore. Lou, con una scrollata di spalle, si diresse verso il portello aperto e salì. A bordo non c’era nessuno. I quattro comodi sedili del compartimento erano vuoti. La cabina di pilotaggio era chiusa. Appena lo sceriffo ebbe chiuso il portello e si furono legati ai loro posti, i motori del jet si avviarono e l’apparecchio decollò.

Volarono altissimi, lasciandosi alle spalle il sole, nel cielo pomeridiano. Lou vide le ali del jet ritrarsi al momento di entrare nella fase di volo supersonico; dopo di che l’apparecchio sfrecciò in direzione est, mentre il sole al tramonto proiettava lunghe ombre sulla terra, lontanissima. Lo sceriffo pareva essersi assopito, e a Lou non restava che guardare il paesaggio che sfilava sotto di loro. Sorvolavano le Montagne Rocciose, talmente lontane che sembravano piccole increspature del terreno. Il Mississippi aveva l’aspetto di un serpente grigio, tormentato, che si snodava da un orizzonte all’altro. L’apparecchio continuava nella sua corsa, in gara con le ombre del tramonto.

Il sole era ancora leggermente al di sopra dell’orizzonte quando il reattore prese terra all’aeroporto JFK. Lou, che c’era già stato una volta, lo riconobbe dall’alto. Il loro jet, comunque, atterrò all’estremità della pista, e si fermò di fronte a un elicottero in attesa.

Lo sceriffo, nel frattempo, si era svegliato e aveva ripreso a dare ordini. Lou lo guardò furibondo, però seguì le istruzioni che l’altro gli dava. Scesero dal reattore, attraversarono pochi metri di cemento invasi dall’erba e dalle crepe, e finalmente salirono nella sfera di plastica dell’elicottero. Lou prese posto nel sedile posteriore, alle spalle del seggiolino del pilota, vuoto. Lo sceriffo si arrampicò pesantemente a bordo e si sedette accanto a lui, ansando leggermente.

Superando il ronzio dei rotori in movimento e il rombo nasale del motore elettronico, Lou gridò:

— Ma dove mi portate? Di che si tratta? Che cos’è tutta questa faccenda?

Lo sceriffo scosse la testa, abbassò il portello e si protese tra i due seggiolini anteriori per raggiungere il pulsante del quadro di comando. Il ronzio del motore aumentò e l’elicottero si alzò da terra.

Lou, quando l’elicottero sorvolò il cielo di Manhattan, era furibondo.

— Ma perché non volete dirmi niente? — gridò allo sceriffo, seduto accanto a lui, sul sedile posteriore. L’uomo era appoggiato all’indietro, con le grosse braccia incrociate sul petto e gli occhi socchiusi.

— Sentite, amico, mi hanno svegliato al telefono, stamani alle quattro. Ho dovuto precipitarmi all’aeroporto e partire per Albuquerque. Ho passato mezza giornata a casa vostra, e non vi siete fatto vedere. Finalmente sono passato al laboratorio. Sapete che cosa stanno facendo in questo momento mia moglie e i miei figli? Sono a casa, e si chiedono se sono vivo o morto, e perché non siamo partiti per il picnic che avevamo in progetto. Quanti picnic credete che ci si possa permettere, con uno stipendio da sceriffo? È da un anno che avevamo stabilito di andarci, da mesi avevamo prenotato un posto nel parco del Nord. E adesso va tutto all’aria, mentre io sono qui a scaldarmi le suole dietro di voi, attraverso tutto il paese. Perciò, niente domande, intesi?

Poi aggiunse: — Tra l’altro, non so assolutamente di che cosa si tratti. Ho avuto l’ordine di venire a prelevarvi, tutto qui.

Lou, con voce più calma, disse: — Mi dispiace per il vostro picnic. Non lo sapevo. Non mi era mai capitato, finora, di avere alle calcagna uno sceriffo federale. Ma perché non posso avvertire nessuno? I miei amici saranno preoccupati. E la mia ragazza…

— Ve l’ho detto, niente domande. — Lo sceriffo richiuse gli occhi.

Lou si accigliò. Stava per chiedere dove erano diretti, ma poi cambiò idea. L’elicottero in quel momento girava al di sopra dell’East River, nei pressi dell’antico palazzo delle Nazioni Unite, e iniziava la discesa verso uno spiazzo d’atterraggio vicino a una delle torri altissime ed eleganti, in marmo e cristallo. Lou, nell’ultimo riflesso sanguigno del sole, ebbe modo di vedere che gli edifici erano incrostati da un sudiciume vecchio di un secolo. Le vetrate erano coperte di polvere, il marmo, un tempo lucido e bello, adesso era screpolato e macchiato.

Due uomini erano in attesa sullo spiazzo, spostati su un lato, lontani dal risucchio dei rotori. Appena le ruote dell’elicottero toccarono l’asfalto nero, il portello della cabina si spalancò.

— Scendete! — disse lo sceriffo.

Lou saltò a terra agilmente. Lo sceriffo si allungò e, prima che Lou avesse il tempo di voltarsi, sbatté lo sportello. Il motore dell’elicottero ronzò, sollevando tutt’attorno schizzi di polvere e di ghiaia. Lou chinò la testa, tenendo gli occhi chiusi. Quando li riaprì l’elicottero accelerava, scendendo il corso del fiume.

Il sole ormai è tramontato, pensò Lou. Non ce la farà ad arrivare in tempo per il suo picnic.

I due uomini si diressero a passi rapidi verso Lou, con un fruscio di suole sul manto nero della pista. Uno dei due era piccolo e magro, di aspetto latino. Un portoricano, con ogni probabilità. La brezza che saliva dal fiume gli scompigliava i capelli neri. L’altro sembrava uno straniero. Non era vestito in modo stravagante, ma aveva qualcosa di insolito. Era grasso, biondo, dall’aspetto nordico.