XVIII
Il dolore lo svegliò. Sarebbe stato bello rimanere addormentato, incosciente, ignaro di tutto. Ma aveva male dappertutto, come se gli frugassero sotto la pelle con migliaia di coltelli. Le palpebre, quando tentò di aprirle, erano appiccicaticce. E le cose intorno apparivano fluttuanti, come sfocate. Al di sopra della sua testa, c’era un tratto grigio di soffitto. E alcune facce. Tentò di alzare la testa, ma una mano lo ricacciò indietro sul cuscino.
Voltandosi appena, riuscì a vedere, sulla destra, una finestra. Era così luminosa che fu obbligato a chiudere gli occhi. Che ora è? pensò. Volle parlare, ma gli venne fuori soltanto un suono rauco, intermittente.
— Ha ripreso conoscenza — disse una voce.
La faccia di Marcus entrò nel campo visivo. Sempre calma. Ma la sua fronte era imperlata di sudore.
— È stata una grande sciocchezza, la vostra — disse Marcus. — Cosa ne avete fatto della ragazza? E il dottor Kori, dov’è?
Lou trovò la forza di scuotere la testa.
— L’isola è piccola, Christopher. Prima o poi li troveremo.
— Ma non prima… — articolò Lou.
— Prima di che cosa? — chiese Marcus.
— Niente.
Marcus si chinò su di lui. — Lo scopriremo. Non potete tenerci nascosto niente.
— Torturatemi pure… non…
— Non dite sciocchezze — interruppe Marcus. — Esistono farmaci che fanno dire tutto.
— No…
Una porta invisibile si aprì e uno scalpiccio si avvicinò al letto. Una voce sussurrò qualcosa, troppo piano, perché Lou potesse sentire.
— Come? — scattò Marcus. — Perché non me l’avete detto prima? Quando…
La faccia di Marcus ricomparve. Adesso era rossa. Di collera. O di paura? Lou sorrise.
— Dov’è il dottor Kori? A che cosa gli serve la bomba?
— Ve la servirà a colazione.
Lou vide la mano di Marcus calargli addosso, e non poté fare niente per scansarla. Sentì in bocca il sapore del sangue.
— Fatelo parlare. Presto! — ordinò Marcus.
Qualcuno afferrò Lou per il braccio, facendogli un male tremendo. In quel momento, Lou si accorse di avere il braccio rosso e gonfio per le migliaia di schegge della cassa che era volata in pezzi davanti a lui. Un medico cinese, impassibile, gli girò il braccio cercando nella parte interna un punto relativamente indenne, e poi praticò l’iniezione. Riadagiò con cura il braccio di Lou sul letto, poi guardò l’orologio.
— Si avrà la reazione fra pochi minuti — disse.
Marcus passeggiava nervosamente per la stanza. Il medico rimase in piedi accanto al letto, osservando pazientemente Lou.
Che ora sarà? si chiedeva Lou. Quanto tempo impiegherà Kori?
Adesso qualcuno rìdeva. Lou si rese conto con sorpresa che era lui.
Il medico si rivolse a Marcus. — Ci siamo…
Marcus si avvicinò al letto, chinandosi sulla faccia di Lou. — Molto bene, Christopher… Dov’è il dottor Kori e che cosa sta facendo con la bomba che ha perso al deposito?
— Gioca nella sabbia — disse Lou, ridendo. Era buffo, era tutto così buffo. La faccia di Marcus, l’immagine di Kori intento a costruire castelli di sabbia, con un ordigno nucleare sotto il braccio. C’era da morire dal ridere, per tutta la faccenda.
— Ascoltami! — gridò Marcus, con la faccia rossa e sudata. — Presto, prima che…
Il lampo di luce fu abbastanza forte da lasciare il segno sulla pelle. Per un istante, ogni cosa fu immobile, rilevata nella spietata luce bianca. Non un rumore, né una voce, né un movimento. Poi il letto si sollevò, la finestra si spalancò tra un rovinio di vetri, una donna urlò e il rombo di diecimila demoni sovrastò ogni altra sensazione.
Un uomo piombò sul letto di Lou. Il rombo si spense in lontananza. Intorno, la gente riprese a muoversi, tra una nuvola di calcinacci, calpestando schegge di vetro, Marcus si rialzò barcollando dal letto.
Uno dei presenti disse, con voce tremante: — Guardate… la nube a forma di fungo, proprio come nei libri di storia.
Allora Lou sentì la propria risata. Dal letto non poteva vedere Marcus, ma sapeva che era ancora lì.
— Hai perduto, Marcus. Devi ammetterlo. Tra poco ci sarà un reparto del governo, seguito dalle truppe, se vuoi la battaglia. Tutto è finito, ormai.
— Ma posso ancora ucciderti! E uccidere anche la ragazza!
Lou ormai rideva sfrenatamente. La droga, diceva una parte della sua mente, ma gli era assolutamente impossibile trattenersi. — Ammazzami pure. Ammazza tutti. Vedrai quanto ti servirà. Enormemente.
Continuò a ridere. Finché perse di nuovo i sensi.
Era piacevole essere privo di conoscenza. O forse sono morto? Comunque, non aveva paura. Fluttuava nel buio, senza sofferenza, senza ansia; si limitava a fluttuare nelle tenebre morbide e calde. Poi dopo molto, molto tempo, le tenebre si venarono di grigio. A poco a poco si rischiararono, come la notte che cede con riluttanza il posto all’alba.
Nel grigiore, apparve la faccia di Bonnie. La ragazza aveva gli occhi pieni di lacrime.
— Oh, Lou…
Lui avrebbe voluto dire qualcosa, toccarla, impedirle di piangere. Invece, non riusciva a muoversi. Come se non avesse il corpo. E allora, la faccia di lei sparì e tornarono le tenebre.
Sentì nel grigio, altre voci, e vide facce sconosciute che lo guardavano. Cercava di parlare, di fare un gesto, ma ogni volta il buio si richiudeva intorno a lui.
Poi, a un tratto, riaprì gli occhi e tutto gli apparve nitido. Giaceva in un letto d’ospedale. Le pareti della stanza erano celesti, il soffitto bianco. Nel soffitto c’erano schermi e telecamere. Lou scoprì che era in grado di voltare la testa. Gli faceva male, però riusciva a girarla. A sinistra, c’era una finestra. Da dov’era non riusciva a vedere fuori, però il sole irrompeva all’interno della vetrata. Vicino al letto, un tavolino da notte, con un carrello carico di flaconi di compresse, di siringhe e di altri apparecchi medici. Una porta, chiusa. Vicino, una sedia allungabile di plastica.
Tentò di mettersi a sedere, e immediatamente il letto si rialzò, accompagnando il suo movimento con il ronzio appena percettibile di un motorino. Mentre si appoggiava all’indietro in posizione semi eretta, Lou si sentì come ubriaco.
Per lo meno non sono morto, pensò.
Aveva il corpo ancora rigido. Abbassando lo sguardo, vide che mani e braccia erano avvolte in bende. Come pure il torace, coperto dalla trachea all’ombelico da un candido bendaggio a spruzzo. La pelle del viso era tirata, come se si fosse fatto la barba con i vecchi rasoi di un tempo.
La porta si aprì di scatto e nel riquadro si affacciò un’infermiera. — Buongiorno — disse, con cordialità professionale.
— B… buongiorno! — Lou aveva la voce rauca e la gola che gli bruciava.
Avrà una quarantina d’anni, pensò. Però è ancora molto bella.
— Come vi sentite? — chiese l’infermiera.
Lou rifletté per un momento sulla domanda. — Ho fame.
Lei sorrise. — Bene! È una condizione che i monitor automatici non sono ancora in grado di segnalare.
La ragazza scomparve prima che Lou riuscisse a dire qualcosa o a fare domande.
Pochi minuti dopo, un vassoio carico di vivande si staccò dalla parete e ruotò al di sopra del letto. Fu un’impresa, mangiare con le mani bendate. Lou aveva appena finito quando qualcuno bussò e la porta si socchiuse quanto bastava perché Kori potesse infilarci dentro la testa.