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— Ehi, mi hanno detto che ti sei svegliato, finalmente. Lou parlava già con minore difficoltà. — Entra. Come stai? Dove siamo? Che cosa è successo? E Bonnie?

Kori sorrise e avvicinò la sedia al letto. Si sedette, poi rispose. — Bonnie sta bene. È qui all’ospedale, anche lei, per una cura antiradiazioni. Vedi, c’è stato un aumento considerevole di radioattività per colpa del mio aggeggio. Sono rimasto dentro una grotta, fino all’arrivo delle truppe governative, però sono stato contaminato anch’io.

— E Marcus e gli altri?

— Si sono arresi, quasi senza combattere — disse Kori. — Una pattuglia di ricognizione è sbarcata sull’isola da un elicottero, esattamente quattro ore e undici minuti dopo l’esplosione. Nel giro di altre due ore un piccolo esercito di truppe governative aveva occupato ogni centimetro quadrato dell’isola.

— E a me, che cosa è successo? — chiese Lou. — Mi ricordo che ho tentato di tenerli impegnati giù al molo. Poi mi hanno sparato addosso e sono finito in acqua. Dopo di che…

Kori si sforzava di non ridere, ma senza troppo successo.

— Che cosa c’è di tanto divertente?

— Scusami, ma eri proprio buffo. Sai come ti hanno trovato?

Lou scosse la testa.

— Eri lungo e disteso in una delle stanze da letto di Marcus. Nudo come un verme. Con sessanta milioni di schegge in faccia e in tutto il corpo. E ridevi!

— Tutto da ridere — disse Lou. — Marcus mi aveva riempito di droga, perché gli dicessi dov’eri. Così ti avrebbe trovato e ti avrebbe tolto di mezzo.

— Lo so — disse Kori, che non smetteva di ridere. — Scusami. Però è stata una scena buffa.

— E Bonnie si riprenderà? — chiese Lou.

— Sì, sicuramente. Tra un giorno o due verrà a trovarti.

— E Marcus e la sua banda?

Kori si strinse nelle spalle — In galera, immagino. Se li sono portati via i soldati.

Lou si abbandonò sul letto. — Così sono tutti sistemati. Ah! E il Grande George? Chi se ne occupa?

Kori si accigliò di colpo. — È la parte triste di tutta questa faccenda, Lou… il Grande George è morto.

— Ma come?

— Gli hanno sparato — disse Kori, piano. — Non sappiamo chi sia stato. Forse una guardia di Marcus, o un soldato dell’esercito governativo. C’era Bonnie sul posto, ma non ha saputo dire chi è stato.

— L’hanno ucciso. Ma perché?

Kori, scuotendo la testa, rispose: — Non lo sapremo mai. Al momento dello sbarco delle truppe c’è stato un breve scontro. Forse è stato un colpo sparato a caso. Può anche darsi che, vedendo un gorilla, abbiano avuto paura. Per fortuna non ha sofferto. Un colpo… ed è morto all’istante.

Per qualche secondo nessuno dei due parlò. Poi Lou chiese: — Ma adesso dove ci troviamo?

La faccia di Kori non s’illuminò affatto. — Esattamente nel posto da dove siamo partiti. A Messina. Temo che appena tu e Bonnie sarete in condizione di affrontare la traversata, ci imbarcheranno sul satellite. Per l’esilio.

XIX

I medici ordinarono a Lou di rimanere a letto per una settimana, in modo che la pelle lacerata si cicatrizzasse e lui riacquistasse le forze. Adesso vedeva Bonnie e Kori quasi tutti i giorni. Buona parte del tempo, però, la passava a letto, a riflettere. Erano successe tante cose e in così breve tempo. Ora aveva modo di ripensare all’accaduto, cercando di collegare i vari frammenti, in modo da avere un quadro coerente di quello che da un momento all’altro era stato della sua vita.

Perché? pensava amaramente. Perché il Grande George? Ci siamo opposti a Marcus soprattutto per salvare George che è stato l’unico a non uscire vivo dall’avventura. Lou pensava all’esplosione della bomba e a come doveva essersi spaventato il gorilla. Le ultime ore della vita erano state probabilmente un inferno per una creatura così pacifica e gentile. Non ci siamo comportati bene con te, Georgy, disse Lou tra sé. Mi dispiace.

Quando pensava al futuro, Lou si sentiva depresso. Lo avrebbero mandato in esilio, ne era sicuro. Da parte sua, Kori era più ottimista.

— Dopo tutto quello che abbiamo fatto per il governo? — disse il fisico un pomeriggio al capezzale di Lou. — Dopo avere rischiato la pelle per sventare il colpo di stato di Bernard? No, non ci manderanno in esilio, anzi, ci daranno una medaglia. Tu, comunque, una ricompensa te la meriti: se non altro, per avere stabilito un nuovo record internazionale di schegge.

Lou sorrise. Dentro di sé, però, sapeva che il governo non li avrebbe lasciati liberi. Loro avrebbero fatto conoscere al mondo intero l’esilio degli scienziati, e questo il governo non lo avrebbe mai permesso.

Bonnie era cambiata. Dal suo atteggiamento sembrava che volesse tenergli nascosto qualcosa. Un pomeriggio, mentre gironzolavano per i corridoi affollati dell’ospedale, Lou le chiese: — Che cosa ti preoccupa?

Lei sembrò sorpresa. — Si vede?

Lou annuì.

— Devo prendere una decisione — disse Bonnie. Gli occhi grigi erano turbati, tristi.

— A proposito di Kori e di me?

— In un certo senso, sì. Vedi, Lou, ufficialmente io non sono nella lista degli esuli, Volendo, posso ritornare ad Albuquerque. A meno che non venga anch’io con voi sul satellite.

— E ci rimanga per il resto della vita.

— Sì.

Lou sospirò profondamente.

Se tu mi sposassi, disse tra sé dovresti spartire il mio esilio. Ma non posso chiedertelo. Non posso neanche parlartene.

Lei lo osservava, sforzandosi di leggere nella sua fisionomia, cercando qualcosa che non trovava.

— Bonnie — disse Lou alla fine, — forse non sarai costretta a prendere questa decisione. Ormai sei molto legata a noi e forse il governo deciderà di mandarti in esilio con Kori e con me.

Bonnie si fermò, in mezzo al corridoio. — Non possono farlo… no, non lo faranno.

— Possono farlo — disse Lou. — E in tal caso, la colpa sarà mia.

— Eccovi, finalmente! Vi ho cercato dappertutto! — Kori arrivava di corsa lungo il corridoio, infilandosi tra infermiere accigliate e pazienti che protestavano. Ansando, disse a Lou e a Bonnie: — Il Presidente Generale vuole vederci, per parlarci. Domani mattina. Il Presidente Generale!

Lou si voltò verso Bonnie. Per la prima volta nutrì una speranza. Se non per sé, almeno per lei.

Nonostante la rabbia, nonostante il rancore per quello che gli era stato fatto, Lou era impacciato come uno scolaretto quando furono introdotti tutti e tre nello studio del Presidente Generale. Si accorse però che anche Bonnie e Kori erano silenziosi e sbalorditi.

Lo studio era imponente. Occupava tutto l’ultimo piano della torre più alta di Messina, e andava dalle porte dell’ascensore dove loro tre si trovavano in quel momento, fino all’immensa vetrata inondata di sole, dove c’era il grande tavolo antico, tutto intarsiato, del Presidente.

— Avanti, avanti — disse l’ometto dietro a quell’immensa scrivania, con una voce resa flebile dall’età.

Avanzarono in silenzio sul tappeto folto, passando accanto a un globo terrestre a colori e in rilievo, con la rete completa dei satelliti in miniatura che ruotavano attorno alla Terra. Il globo era sospeso magneticamente a mezz’ aria. Lo studio era in varie tonalità di verde, con prevalenza di verdi cupi della giungla. I mobili erano di legno naturale lucido. Nell’aria c’era un profumo di orchidee e di altri fiori tropicali. L’aria condizionata della stanza era calda, umida, quasi appiccicosa.

— Scusate se non mi alzo — disse il Presidente. — Ho avuto recentemente un leggero attacco, e i medici mi hanno raccomandato di non fare sforzi. — La voce era calda, gentile, amichevole, con un forte accento brasiliano. Il Presidente era minuto, sottile; la faccia magra era incorniciata da ciuffi bianchi e le mani erano fragili. Era molto vecchio. La pelle bianca, come incipriata, era coperta da una rete di rughe finissime.