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— Per lo meno, non ci sono ore di punta — disse Kori, cercando di mostrarsi allegro.

Ma né Bonnie né Lou gli risposero; e allora, scrollando le spalle ossute, lo scienziato si rivolse al quadro selettore per esaminare che cosa c’era di buono per colazione.

— Stamane siete attesi da Kaufman e dal Consiglio? — chiese Lou.

Bonnie scosse la testa in un cenno negativo, mentre Kori rispondeva: — Sì, alle nove e mezzo.

Lou, sorpreso, disse a Kori: — Hanno convocato anche te? Ma tu non sei dell’Istituto. Che cosa vuole da te Kaufman?

— Il vostro dottor Kaufman è stato eletto capo della colonia — rispose Kori. — Non lo sapevi?

— No, non lo sapevo. Credevo che fosse il professor DeVreis…

Kori scosse lentamente la testa. — DeVreis è morto di un attacco di cuore, il giorno che è arrivato qui.

— Oh! — Lou aveva l’impressione che fosse morto qualcuno di molto vicino a lui. Conosceva appena DeVreis, ma gli sembrava profondamente ingiusto che un uomo che aveva vissuto una vita così ricca e utile fosse stato cacciato in esilio per andare a morire lì, in quel posto così triste.

Kori si voltò verso il quadro selettore e premette i pulsanti: succo d’arancia, uova, panini, salse e caffè. Quasi immediatamente, una sezione del quadro scivolò via, lasciando apparire un vassoio fumante con l’ordinazione.

— Se non altro — disse Kori, — si mangia bene.

Ma certo che si mangia bene, pensò Lou. Che fortuna finire in questa galera! Rivolgendosi a Bonnie, chiese: — Kaufman non ti ha mandato a chiamare?

Lei scosse la testa. — No, non mi hanno avvertita che c’era una riunione del Consiglio. Con tutta probabilità mi ignoreranno, a meno che non decida di fermarmi per sempre quassù.

Lou annuì. — Già, invece io devo andarci stamane, alle nove.

Arrivò con cinque minuti di ritardo. Aveva impiegato più del previsto per trovare l’ufficio di Kaufman, sulla seconda ruota. Era un ambiente lungo e stretto, così lungo che il pavimento era leggermente incurvato. A un’estremità c’era il tavolo di Kaufman e, dall’altra, una lunga tavola da conferenze. L’arredamento era tutto in plastica e leghe leggere, e in complesso l’ambiente aveva un aspetto provvisorio e triste.

Kaufman era seduto a capo-tavola.

La faccia, ancora orgogliosamente bella, mostrava alcune rughe nuove, e i capelli folti erano più bianchi che in passato. Greg Belsen, Kurtz, Sutherland e altri due sconosciuti occupavano le sedie rimanenti, a eccezione di una. Lou prese posto a un’estremità del tavolo.

Dopo aver presentato i due sconosciuti, che rappresentavano i laboratori europei, il dottor Kaufman disse: — Stiamo cercando di abituarci al nuovo ambiente. Ti abbiamo fatto chiamare stamane per invitarti a scegliere un progetto per il tuo lavoro.

— Un progetto? — ripeté Lou.

— Sì — disse il dottor Kaufman. — Non ritengo che si debba rimanere con le mani in mano, a fare niente. Il governo non ci concede l’attrezzatura necessaria per le ricerche di un tempo…

— Non abbiamo un elaboratore a bordo?

Greg per poco non rise. — Niente elaboratore, Lou. Nessun gingillo importante per noi. Niente microscopi elettronici, niente ultracentrifughe, niente attrezzatura per microchirurgia, niente di tutto questo, c’è solo un po’ di roba che risale agli inizi del ventesimo secolo: microscopi ottici e becchi Bunsen: quegli oggetti, tanto per intenderci, che si regalano ai bambini per Natale.

Lou strinse le labbra, in una linea dura. Il dottor Sutherland spiegò: — Il governo non vuole che ci occupiamo di ingegneria genetica. Neppure quassù. Hanno paura che se riprendiamo le ricerche, trasmetteremo l’informazione sulla Terra. Ed è precisamente quello che i capi non vogliono.

— Ma allora… che cosa vogliono che facciamo, quassù? Che ci lasciamo arrugginire? — chiese Lou.

— No — rispose Kaufman. — Manchiamo, è vero, di attrezzatura moderna, ma ci è ancora possibile svolgere una buona attività scientifica. Ci limiteremo a essere più ingegnosi, più inventivi e a combinare qualcosa di buono con l’attrezzatura elementare di cui disponiamo.

L’attrezzatura di cui disponiamo, pensò Lou. Insomma, questa è una prigione, non c’è altro modo di chiamarla.

— Per esempio — disse Ron Kurtz, protendendosi in avanti sulla tavola leggera. — Non ho mai avuto il tempo di mettere per scritto tutto il lavoro che ho fatto negli ultimi tre o quattro anni. Finora ho pubblicato poche note nelle riviste scientifiche, ma adesso ho la possibilità di sedermi a tavolino e di stendere il lavoro accuratamente, come va fatto.

E dove verrà pubblicato? si chiese Lou. Nelle cronache del tempo perduto?

— È evidente che non ci sarà possibile mandare avanti le ricerche d’ingegneria genetica — disse Kaufman, riprendendo l’argomento iniziale. — Per lo meno, non ci sarà lecito seguire la via di un tempo, che richiedeva un’attrezzatura su larga scala. Di conseguenza, ci proponiamo di sviluppare alcune idee al fine di condurre una ricerca utile per cui basti l’attrezzatura di laboratorio di cui disponiamo attualmente. Vorremmo che tu pensassi a un eventuale lavoro e a come conteresti di svolgerlo.

Un tecnico di elaboratore senza elaboratore, pensò Lou, mentre gli veniva in mente il laboratorio di Greg all’Istituto, con attrezzature per analisi chimiche automatiche che valevano milioni di dollari.

Non c’è da meravigliarsi se pensa di buttarsi fuori dalla nave.

Poi disse forte: — Va bene, cercherò qualcosa.

Fece il gesto di alzarsi dal tavolo.

— Ah, sì — aggiunse Kaufman. — Avrai molte cose interessanti da raccontarci sulle vostre avventure delle settimane scorse. Non ti spiacerà, spero, riferirne agli abitanti del satellite, sulla Tri-Vi a circuito chiuso.

Lou fu colto alla sprovvista. — Veramente, io non so…

— Ma certo che riferirai — disse Kaufman. Il colloquio era finito.

Lou rimase là per un momento, sbalordito. Nel frattempo gli altri si stavano alzando. Lou si voltò, e si diresse verso la porta. Nel momento di uscire in corridoio, Greg, dietro di lui, disse:

— Non preoccuparti troppo per il tuo debutto in Tri-Vi, mio caro.

Lou si voltò verso di lui. — Si fa in fretta a dirlo.

Greg gli passò il braccio attorno alle spalle e si avviarono insieme lungo il corridoio. — Sta’ tranquillo. Sarai seduto con me e uno o due altri tipi e faremo una chiacchierata. Tutto qui. Non ti accorgerai nemmeno di avere la telecamera puntata. È facile.

— La mia grande occasione nel mondo dello spettacolo.

Greg gli sorrise, ma con una punta di tristezza. — Senti, cercavamo disperatamente qualcosa da fare, qualcosa da dire. Non è stato facile, e poi di colpo abbiamo scoperto che anche tu eri finito ingabbiato in questa stia.

Stavano dirigendosi verso il settore del corridoio in penombra, dove si apriva l’oblò esterno.

Lou chiese: — E qual è il tuo progetto di ricerca scientifica per i prossimi cinquant’anni?

— Non vorrai mica vedere un uomo adulto piangere! Quei tipi là dentro sono assolutamente patetici. Parlano di rifare il lavoro di Calvin sulla protosintesi o di scrivere le loro memorie. Può andare bene tanto per occupare il tempo, prima di tirare le cuoia.

— Sarebbe molto patriottico da parte loro — disse Lou.