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— Vorrei fare un’altra domanda — disse Charles Sutherland, con la sua voce nasale. — Avete pensato alle tensioni enormi cui sarà sottoposta la struttura del satellite, se vi applicate un propulsore a fusione?

Kori rispose: — Ho fatto alcuni calcoli. Il risultato non è tanto disastroso. Ovviamente, per fare il lavoro come si deve, avrei bisogno di un calcolatore.

— E qui non c’è — disse Sutherland, con un sorriso sarcastico. — E il governo non ce lo darà di sicuro. Come non ci daranno i propulsori a fusione. Di conseguenza, l’intero progetto è privo di significato.

— Io, invece, sono convinto che ci daranno qualsiasi cosa — disse Lou, — appena sapranno che solamente in questa maniera si potranno liberare di noi per sempre.

— Per sempre non c’è dubbio, in un modo o nell’altro — disse Sutherland.

Kaufman corrugò la fronte. — Chiedendo al governo di tentare questa pazzia, ammettiamo implicitamente di rinunciare a ogni speranza di ritorno sulla Terra. Riconosciamo di essere esiliati per il resto della vita.

— Perché, tu non credi di restare qui per il resto della tua vita? — disse Kurtz.

— No! — Kaufman batté sul tavolo col palmo della mano. — Ho amici sulla Terra che stanno occupandosi di noi in questo preciso istante, per porre fine a questa follia. Ne sono sicuro. E altrettanto faranno i capi degli altri laboratori, sparsi in tutto il mondo. Non è possibile che il governo mantenga in piedi questa farsa per sempre.

Lou scosse la testa. — Ho parlato personalmente con il Presidente Generale. È evidente che ha intenzione di farci stare qui.

— È un povero vecchio. Tra poco sarà sostituito.

— Da Kobryn — disse Mettler. — Il quale non ci accorderà nessuna grazia.

Greg Belsen si rivolse a Kori, che gli era seduto vicino. — Credi davvero di riuscirci? Di portarci sulle stelle?

— Ma certo. È solo questione di ottenere l’attrezzatura e l’appoggio necessari dalla Terra.

— E di trovare il pianeta giusto — aggiunse Lou.

— Non è indispensabile che il pianeta sia identico alla Terra — disse Greg. — Potremmo modificare geneticamente i nostri figli, in modo da renderli fisicamente adatti alle condizioni del nuovo mondo. So che questa è soltanto un’idea, per ora. Comunque, saremmo sempre in grado di creare un mondo che sarà la patria dei nostri figli, anche se non ci sarà possibile trovarne uno perfettamente adatto a noi. Per conto mio, vale la pena di tentare. Proviamo. Se non altro, avremo qualcosa di concreto per cui lavorare.

— Fino a quando il governo si rifiuterà di darci quello che ci occorre — borbottò Kaufman.

— Passiamo ai voti — propose Greg.

— Un momento — disse Kaufman. — Prima di votare… C’erano già tre mani alzate: Greg, Ron Kurtz e Mettler.

Stringendosi nelle spalle, Tracy, l’altro europeo del Consiglio, alzò anche la sua. Soltanto Kaufman e Sutherland erano contrari al progetto.

Kaufman sbuffò. — E va bene. Prenderemo in esame il progetto. Dottor Kori, chiedete ai vostri colleghi di darvi una mano per la missilistica e l’astronautica. — Era evidente, dal tono della voce, che Kaufman si aspettava che gli altri scienziati missilistici considerassero Kori un pazzo.

Effettivamente, per alcuni fu così. Scuotendo la testa, si allontanarono da Kori, increduli. Alcuni però accettarono l’idea. Più come un diversivo, forse, che non come una possibilità effettiva. Comunque si misero a buttar giù note, equazioni. Nel giro di una settimana, l’intero gruppo di scienziati e ingegneri missilistici che si trovava a bordo del satellite era al lavoro, anche se per alcuni il progetto appariva del tutto insensato. In breve si diedero da fare attorno ai calcolatori da tavola del satellite, attenti ai numeri che lampeggiavano negli schermi, sempre più entusiasti.

Greg Belsen si appassionò al lavoro fin dall’inizio. Considerava la possibilità di congelare i soggetti, di metterli in animazione sospesa in unità criogeniche di sonno. Era già stato fatto sulla Terra, in rari casi di necessità clinica e per pochi giorni. Greg pensava di sprofondare nel sonno criogenico tutti i settemila abitanti del satellite, per decenni. — Il fatto è — spiegava a Lou, — che, o tutta questa gente resta addormentata per quasi tutto il tempo, o saremo costretti a trasformare questa nave in una casa di pan di zucchero. Hai idea di quanti milioni di tonnellate di viveri divorano, nel giro di un secolo, settemila persone?

A poco a poco, anche altri biochimici si misero a lavorare con Greg. E qualche genetista finì per essere attratto dal problema, benché fosse del tutto estraneo al proprio campo.

Nel giro di un mese, Lou chiedeva a un esperto governativo d’elaboratore, estremamente diffidente, di eseguire alcuni controlli sugli elaboratori ad alta velocità. Dopo una settimana di discussioni con gli scienziati terrestri e i funzionari governativi, l’uomo dell’elaboratore diede il permesso a Lou di stabilire un contatto diretto radio e Tri-Vi con il grande calcolatore governativo dell’Australia.

— Controllano due volte che non ci infiliamo di nascosto qualche ricerca di ingegneria genetica. Così il lavoro va a rilento, ma ce la faremo ugualmente Kori dice che niente ci può fermare. Purché riusciamo, naturalmente, a costruire i propulsori e gli schermi antiradiazioni e il resto dell’attrezzatura.

Bonnie accennò di sì. Aveva chiesto alle autorità che le concedessero di rimanere ancora a bordo del satellite, per collaborare al lavoro che stavano svolgendo Lou e gli altri. Il Presidente Generale le aveva firmato personalmente il permesso di risiedere sul satellite indefinitamente. Però se Lou l’avesse osservata più attentamente, si sarebbe accorto che la ragazza non sorrideva più, anche quando si sforzava di farlo.

Ci vollero sei mesi, prima di avere la certezza della riuscita. Sei mesi di lavoro febbrile, di calcoli, di riunioni che duravano per ore, di discussioni, di lusinghe. Sei mesi in cui Lou vide Bonnie due o tre volte alla settimana, quando andava bene, a volte anche meno. E parlava senza tregua di lavoro, progetti, speranze. E lei non diceva mai niente.

Poi, a un tratto, Lou riferì a Kaufman. — Non ci sono più dubbi, ormai. È possibile trasformare questa prigione in una nave spaziale. Congeleremo gli abitanti. Raggiungeremo le stelle. A questo punto, è opportuno che chiediamo al governo l’attrezzatura necessaria.

Kaufman disse, con riluttanza: — Chiederò un incontro con le autorità competenti.

Scuotendo la testa, Lou ribatté: — Il Presidente Generale mi ha detto di rivolgerci a lui, se avessimo avuto bisogno di qualcosa. Mi rivolgerò a lui. Direttamente.

Il tempo sembrava essersi fermato, come quando ci si ritrova nello stesso punto di alcuni mesi o di alcuni anni prima. Nel medesimo punto, precisamente.

Lou era nello studio del Presidente Generale, accompagnato da Bonnie e da Kori, e in quel preciso istante le porte dell’ascensore si richiudevano con un leggero soffio. Nella stanza non era cambiato niente. Il Presidente li chiamò, dal suo tavolo. I sei mesi trascorsi a bordo del satellite sembravano un sogno remoto e spiacevole. Ma sono vissuto realmente a bordo di quella prigione di plastica? In quel piccolo mondo artificiale? Dopo la corsa in auto dal campo dei missili, attraverso la campagna verde e i paesini calcinati, nella brezza profumata e tra il mormorio della risacca, e poi la traversata della città rumorosa, affollata, piena di vita, il satellite sembrava del tutto irreale.

Il Presidente ascoltò pazientemente la loro storia, annuendo e dondolandosi avanti e indietro nella poltrona di cuoio, sorridendo anche, una volta o due. Poi, Lou finì di parlare.

Per un po’ il Presidente tacque soprappensiero. Poi, finalmente, disse: — La vostra inventiva, in un certo senso, mi lascia sbalordito. D’altra parte, però, non sono veramente sorpreso che abbiate avuto un’idea tanto straordinaria. — Li guardò, uno dopo l’altro, con gli occhi limpidi, nonostante i segni dell’età. — Non intendo commentare il motivo che vi induce ad abbandonare per sempre il nostro mondo — disse il Presidente. — Immagino che anche la morte tra le stelle sia preferibile, per voi, a una lunga vita in esilio. — Rise piano, tra sé. — Non mi sarei mai aspettato, non c’è dubbio, di essere messo di fronte a una decisione simile. Non mi sarei mai aspettato che il primo tentativo dell’uomo di raggiungere le stelle avvenisse nelle condizioni in cui ci troviamo ora.