— Dunque, ci darete il consenso alla partenza? — chiese Lou, con slancio. — Ci aiuterete, ci darete l’attrezzatura necessaria e…
Il Presidente gli impose il silenzio, alzando un dito ossuto.
— Molti tra voi, così mi avete detto, sono contrari al progetto… Molti non intendono salpare verso le stelle.
— Sì — dovette ammettere Lou. — Il lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi si è limitato a dimostrare che la traversata è tecnicamente possibile. Il dottor Kaufman, però, e molti altri, soprattutto i più anziani, non ne vogliono sapere.
Il Presidente sospirò. — Vi renderete conto, immagino, che la faccenda si riduce a una questione di denaro. Come tutto, a quanto pare. Prima o poi.
— Denaro?
Annuendo, il Presidente spiegò: — Ci vorranno miliardi perché il vostro satellite sia messo in grado di affrontare un viaggio sulle stelle…
— Abbiamo fatto qualche calcolo — disse Lou. — È costoso, non c’è dubbio, ma meno costoso che tenerci per sempre in orbita. In questo modo, pagate subito un grosso impegno, dopo di che noi spariremo. Ma se ci tenete in orbita, dovrete darci i viveri, le medicine, tutto…
— Mi sembra di essere il Faraone che discute con Mosè — osservò il Presidente. — Sarei lietissimo di spendere il necessario per aiutarvi a partire, se è questo che volete. Ma quelli di voi che non intendono partire? Non mi è possibile mantenere un gruppetto in orbita e contemporaneamente spendere la somma necessaria per spedire altri sulle stelle. O l’uno o l’altro. Entrambi, non è possibile.
— A questo punto, bisognerà votare — disse Lou.
— Sì — disse il Presidente. — Immagino che dobbiate farlo.
Lasciarono lo studio del Presidente, ripresero l’ascensore e salirono sull’auto che li portò attraverso la campagna semi tropicale delle coste siciliane fino al campo dei missili. Ma adesso l’erba e il sole e le casette sparse erano altrettanti segni crudeli, per ricordare loro sadicamente che il satellite era una realtà permanente e che loro, su questo splendido mondo, erano soltanto visitatori, mentre la prigione li stava aspettando.
Viaggiarono in silenzio sui sedili posteriori del turbocar, tenendo gli occhi bene aperti e tutti i sensi all’erta per assaporare ogni immagine, ogni voce, ogni odore: tutte cose che in passato avrebbero considerato banali e senza importanza, mentre adesso erano altrettanti miracoli che forse non avrebbero mai più ritrovato.
Una seconda macchina li seguiva a distanza ragionevole, e, in alto, ronzava pigramente un elicottero. Non c’erano dubbi: erano prigionieri.
Quando furono abbastanza vicini al campo da intravvedere le sagome tozze dei razzi, Bonnie si rivolse a Lou.
— Non dovevi portarmi con te, oggi. Non dovevi.
— Perché no? — chiese Lou, sorpreso.
— Perché non sono forte come te — rispose lei, gridando per coprire il rumore del vento e il ronzio della turbina. — Lou… non posso lasciare tutto questo per sempre. È già tremendo quando guardi la Terra dagli oblò del satellite. Ma lasciarla per sempre… andare nello spazio nero… no, Lou, non posso. Se la votazione è favorevole alle stelle, io farò ritorno sulla Terra.
— Io credevo…
Anche Kori, seduto dall’altra parte di Bonnie, sembrava scosso.
— Mi dispiace, Lou… non posso farci niente. Me ne sono accertata stamane: il governo è disposto a lasciarmi tornare, se lo desidero. Non posso lasciare, per sempre, la Terra. Non posso!
— Ma… io ti amo, Bonnie. Non posso andarmene senza di te.
Lei chinò la testa e pianse.
XXII
Lou sedeva, molto teso, davanti alle telecamere Tri-Vi. Aveva accanto il dottor Kaufman, seduto in una sedia identica alla sua, che scricchiolava sotto il suo peso.
Si trovavano nel compartimento speciale che era stato adattato a studio televisivo. In quel momento, tutti gli abitanti del satellite li stavano osservando, mentre i due esponevano i rispettivi punti di vista sulla proposta di Lou.
Mentre il dottor Kaufman parlava nel suo modo enfatico, incisivo, affrontando ogni punto del discorso con la violenza di chi punta un indice accusatore, la mente di Lou vagava lontano.
Aveva sempre davanti agli occhi la faccia smarrita di Bonnie che gli diceva che non sarebbe mai partita con lui per le stelle. E aveva sempre di fronte la campagna verde, i vigneti e gli orti dei limoni, il cielo azzurro e il mare amico, che non avrebbe mai più rivisto.
Non posso lasciare, per sempre, la Terra. Non posso.
E io, posso?, si chiedeva Lou. E tutti noi? Come è possibile voltare le spalle al mondo intero, a un miliardo di anni di evoluzione? È a questo che voglio spingerli? È questo che voglio fare?
Il dottor Kaufman intanto stava dicendo: — È estremamente importante che tutti noi ci rendiamo esattamente conto di cosa implichi questo gesto. Finora, non è stata mai costruita una nave spaziale con equipaggio umano. Il tentativo non è ancora stato fatto. Voi tutti sapete che riceviamo i rifornimenti da terra, ogni settimana. Abbiamo, è vero, sistemi aria-acqua a ciclo chiuso, e tuttavia ci occorre un ricambio di aria e di acqua almeno una volta al mese. Finché resteremo in orbita attorno alla Terra, ci sarà possibile ottenere questi rifornimenti, ogni volta che ne avremo bisogno. Ma se lasciamo la Terra, se ci gettiamo in questa avventura pazzesca verso le stelle, sarà assolutamente necessario disporre di sistemi di rifornimento di acqua e di aria interamente autosufficienti. Ora, so perfettamente che le missioni con astronauti a bordo dirette a Giove e a Saturno si sono servite di sistemi a ciclo chiuso e che questi sistemi hanno funzionato bene, anche per un periodo di sei anni. Ma questa caccia alle stelle di cui ci parlano, richiederà decenni! Forse un secolo, se non di più! Non sappiamo neppure se tra le stelle esiste un pianeta del tutto simile alla Terra. — Kaufman scosse la testa, e una ciocca grigia gli cadde sulla fronte. — No, questa idea di una caccia alle stelle è troppo rischiosa, anche per motivi strettamente tecnici. Intanto, non sappiamo come costruire una nave spaziale. E anche se i nostri migliori ingegneri della Terra ci fossero inviati dal governo per aiutarci, non saremmo in grado, una volta salpati dalla Terra, di mantenere in efficienza la nave. Non saremmo in grado di fare le riparazioni e nemmeno la manutenzione necessaria. Quanti ingegneri ci sono tra noi? Un gruppetto sparuto. Noi siamo scienziati ricercatori, non meccanici sporchi di grasso!
Lou ascoltava soltanto con una parte del suo cervello. L’altra parte gli ripeteva senza rimorsi: La vita, come tutti i processi fisici, è governata dalle leggi della termodinamica. Non si ottiene niente se non si paga un certo prezzo. Se vuoi le stelle, devi lasciarti alle spalle Bonnie. Se vuoi Bonnie, devi pagare con la prigione perpetua. Qual è la differenza? Sarebbe poi così diverso, lanciare questo guscio di berillio verso le stelle? In un modo o nell’altro, saremmo costretti a trascorrere tutta la vita qua dentro. Non cercare di barare, Lou! Andare alle stelle dà uno scopo, un fine alla vita di ognuno di noi. Restare qui, significa girare in un girotondo orbitale per il resto della vita, senza speranza, senza niente altro, oltre quel grosso mondo azzurro, sospeso davanti ai nostri occhi, a ricordarci ogni minuto quello che ci è stato tolto.