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— E ricordate — stava dicendo Kaufman — che finché rimarremo in orbita quassù, ci sarà sempre la possibilità che il governo cambi parere e che ci restituisca la libertà. Ma quando saremo in viaggio verso le stelle, il ritorno non sarà più possibile. È un passo irreversibile. Nessuno di noi vivrà tanto da vederci arrivare a destinazione. I nostri figli invecchieranno e moriranno a bordo di questo veicolo. I nostri nipoti, forse, scopriranno finalmente un mondo su cui è possibile vivere. Forse. Certo, è una ben tenue speranza, da cui far dipendere le vite di ogni uomo, donna o bambino tra noi.

Kaufman smise di parlare e si appoggiò allo schienale, facendo scricchiolare la sedia. Si voltò, con aria d’attesa verso Lou.

Lou si sentì di colpo la bocca arida e le mani madide di sudore. Le telecamere ormai erano puntate su di lui, toccava a lui parlare. Era il momento di cercare di convincerli o invece avrebbe rinunciato a tutto?

Guardò, oltre la figura elegante di Kaufman, il grande quadro elettronico che era stato preparato sulla parete di fondo dello studio. A ogni abitante del satellite che avesse compiuto i quindici anni corrispondeva una spia luminosa. Quando Lou avesse finito di parlare, tutti avrebbero votato. Una spia verde si sarebbe accesa in corrispondenza di ogni voto favorevole, e una luce rossa per ogni voto contrario all’avventura spaziale.

— Non puoi perdere — gli aveva detto Kori, prima dell’inizio della trasmissione Tri-Vi. — I voti negativi provengono dai più anziani, da quelli che hanno più di trent’anni. Ma noi siamo senz’altro più numerosi. Ho controllato i dati della popolazione.

E Greg aveva aggiunto: — Ci siamo battuti come disperati per far ridurre il limite d’età a quindici anni. Dopo tutto, quei ragazzi sono destinati a trascorrere la maggior parte della loro vita su questa grossa marmitta.

— È sufficiente — aveva continuato Kori, prendendo Lou per un braccio, — che tu faccia un discorso sentito. Un discorso aperto a tutti. I giovani voteranno compatti per le stelle, ne sono sicuro!

Lou, in quel momento, era seduto davanti all’occhio freddo delle telecamere, ma dentro di sé rivedeva Bonnie, ne sentiva la voce, ne vedeva le lacrime.

Si schiarì la voce. Si mosse con un certo disagio sulla sedia e finalmente si decise.

— Il dottor Kaufman ha messo in evidenza alcuni rischi tecnologici impliciti nell’impresa di raggiungere le stelle. Ha perfettamente ragione. È un rischio. Non è mai stato fatto prima. Non so, e nessuno di noi lo sa, se riusciremo a far funzionare i motori, le pompe dell’aria, i riciclatori dell’acqua per oltre un secolo, se non di più. — Lou esitò un momento. — Il dottor Kaufman vi ha anche detto che se rimaniamo in orbita attorno alla Terra, c’è sempre la possibilità che ci concedano la grazia. In tal caso, riacquisteremo la libertà, ci sarà lecito fare ritorno sulla Terra e riprendere le nostre vite normali. Anche questo è vero. Potrebbe succedere.

S’interruppe, ma per un solo secondo. Il tempo necessario per invocare tra sé, con angoscia: Bonnie… Bonnie…

— Quando per la prima volta ho messo piede a bordo di questo satellite, il dottor Kaufman mi ha chiesto di andare alla Tri-Vi per raccontarvi quello che mi era capitato. Lo farò adesso.

E cominciò il racconto. Parlò degli sceriffi federali e del suo volo a New York. Parlò della scontentezza dello sceriffo per non avere potuto partecipare al picnic di famiglia. Parlò della notte a New York, delle bande, dei coltelli, della fuga, del terrore. Riferì di come aveva trovato l’Istituto chiuso, deserto, a eccezione del Grande George. Poi del suo arresto, dell’arrivo a Messina, dell’incontro con il Ministro Bernard. Parlò ancora dell’isola, di Marcus, dei progetti criminali di quella gente, di come intendevano usare l’ingegneria genetica e le scoperte della biochimica come armi di rincalzo al loro arsenale di ordigni nucleari. Raccontò ancora di quello che avevano fatto al Grande George e di quello che volevano fare a tutta l’umanità.

Alla fine parlò del Presidente Generale, cortese e spietato, che aveva riconosciuto che il loro esilio era una ingiustizia tremenda, e che tuttavia non vedeva altra soluzione. E parlò della gente, delle grandi masse, dei venti miliardi di persone cui erano stati sacrificati, di tutti quelli che sapevano del loro esilio e che se ne infischiavano.

— … è questo il mondo da cui siamo stati esiliati. Un mondo dove poche persone hanno il potere di distruggere la vita dei migliori scienziati del pianeta, insieme con le loro famiglie. Un mondo dove i selvaggi sono padroni delle metropoli e dove mostri civilizzati tentano di rovesciare il governo.

Si rivolse a Kaufman. — E in questo mondo voi desiderate tornare! Immaginiamo per un momento che ci sia concesso di farvi ritorno; immaginiamo che il governo cambi idea e ci restituisca la libertà. Che cosa se ne faranno del nostro lavoro? C’è da fidarsi a confidare ai capi le nostre conoscenze? O meglio, c’è da fidarsi di loro? Che cosa li tratterrà dal mandarci di nuovo in esilio? Nessuno si preoccupa di noi. Cercano soltanto il potere che la nostra scienza può conferire loro. Il meglio che hanno saputo trovare per noi è stato l’esilio!

Fissando le telecamere, Lou disse: — Non abbiamo nessuno a cui rivolgerci, tranne noi stessi. La scelta appartiene a noi. Possiamo continuare a girare in orbita, morendo lentamente, sperando che un giorno o l’altro il governo ci consenta di tornare. Ma desideriamo veramente tornare? Non credo. Ho visto quel mondo laggiù e, nonostante la sua bellezza, non voglio farvi ritorno. In questo universo con tutte le sue stelle e lo spazio infinito c’è sicuramente un angolo dove costruire un mondo migliore per noi e per i nostri figli. Io dico che dobbiamo andare alle stelle.

Lou si abbandonò contro lo schienale, svuotato e tremante. Poi, le luci attirarono la sua attenzione. Il voto lo lasciò sconvolto: le luci verdi soverchiavano le poche spie rosse.

La gente, fuori dello studio, rideva e batteva le mani. Qualcuno fischiava fortissimo. La porta si aprì e Lou vide Kori e Greg che gli venivano incontro, sorridendo.

Lou sapeva che in quel momento Bonnie era nel suo alloggio, nella sua cabina. Pronta a lasciare il satellite. Ormai, probabilmente, non piangeva più. Era inutile piangere, adesso. Il dolore non sarebbe stato lenito dalle lacrime, né dalle parole, e neppure dai rimpianti.

— È un errore tremendo — diceva Kaufman, scuotendo la testa. — Tutto quello che desideriamo o di cui abbiamo bisogno è qui, e voi tre ci costringete a voltare le spalle a tutto. Ci obbligate ad abbandonare le nostre case e a puntare nel vuoto. Lassù, non c’è niente per noi, Christopher. Niente!

Niente, pensò Lou. Tranne l’universo.

FINE