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«Non sono stata un mostro di abilità, temo», mormorò ancora lei. «Ho attirato parte dei raggi invece di defletterli. Non ero mai stata costretta a difendermi dall’energia libera, e l’ho proiettata indietro verso di loro come ho potuto. Alla fine ha funzionato, credo. Mi è parso di averli feriti, o almeno abbagliati».

Anch’ella percorse con gli occhi le Linee di Potenza appena formatesi. Prudevano molto. Le nuove Linee di Potenza prudevano sempre. D’istinto se le grattò ancora, e subito il dolore ai polpastrelli ustionati le strappò un ansito.

«Hai cercato di fare troppo!»

La voce di Kirtn era morbida ma severa, la voce di un Mentore Bre’n. E le sue parole erano un genere di rimprovero che Rheba aveva ricevuto cento volte quand’era bambina, prima della distruzione di Deva. Con un sospiro rifletté d’esser stata troppo presuntuosa a giurare a sé stessa di far qualcosa per i superstiti delle loro due razze, con le sue meschine capacità.

«Non ho molte possibilità, vero? … Forse nessuna», disse indicandosi le braccia.

«Lo so, piccola».

«Infine cosa contano queste nuove linee così sottili? Il corpo di Shanfara ne era coperto fittamente, da cima a fondo. La pelle di Dekan sembrava accendersi d’oro splendente, quando lui lavorava. Jaslind e Meferri erano due fiamme viventi, e i loro bambini nacquero con le Linee di Potenza già sulle guance».

Scoraggiata lasciò ricadere le braccia. Slacciò la cintura di sicurezza e si alzò, preferendo il morso del dolore fisico alle spine dei ricordi e dei rimpianti. Meglio pensare solo all’oggi, rifletté.

«Jal è vivo?»

Kirtn si volse all’altra poltroncina, è notò una striscia di goccioline di sangue al suolo: andavano da lì ai pannelli di controllo e tornavano indietro, segno che l’uomo sfera alzato prima che loro due riprendessero conoscenza.

«È già sveglio», sussurrò. «Non fidarti troppo di lui».

Rheba chiuse gli occhi un attimo. «No, ma … comunque sia, ha una Faccia Bre’n».

«Ne sei sicura?», sussultò lui, incredulo.

«La portava appesa al collo, nel casinò».

Con uno scatto Kirtn aggirò la poltroncina, si avvicinò all’uomo in due lunghi passi e gli aprì la blusa sul petto. La mascherina Bre’n già notata dalla ragazza pendeva sempre dalla spessa catena d’oro. Kirtn la esaminò attentamente, senza quasi respirare per l’emozione.

«Un volto di donna», sussurrò infine. Raccolse il monile con dita tremanti e ripeté: «Una donna Bre’n!» Eccitato tornò accanto a Rheba. «Dove può aver avuto quella Faccia?»

«Abbiamo tre settimane per farcelo dire».

Kirtn si chinò ancora sull’uomo e fece per sfilargli la catena dal collo, ma Jal si «svegliò» immediatamente, rivelando che fin’allora era stato tutt’altro che svenuto. I suoi occhi si spostarono dalla grossa mano al volto del Bre’n, e sollevò ironicamente un sopracciglio. Poi volse la testa a fissare la ragazza.

«La mia modesta persona è legata a te per tre settimane, ma non così gli oggetti di mia proprietà», puntualizzò, parlando in universale.

«Una Faccia Bre’n può appartenere solo al …», esitò cercando in quella lingua un terminale che equivalesse ad Akhenet. «Quella appartiene al figlio-allievo di una Bre’n».

Jal ebbe una smorfia d’incomprensione. La ragazza aveva parlato in universale, ma il significato di quel che aveva detto evidentemente gli sfuggiva.

«Dove hai avuto questa Faccia?», tagliò corto Kirtn. La sua voce aveva un tono di minaccia chiaro quanto la domanda stessa.

«L’ho vinta», rispose l’altro con indifferenza.

«Dove, e a chi?»

«Al Buco Nero. Il suo proprietario era stato così stupido da scomettere contro … ehi!» La voce gli si strozzò in gola, quando Kirtn gli torse la catena intorno al collo.

«Non mentire mai a un Bre’n». Kirtn rilassò subito la stretta, consentendogli di respirare. «Allora, chi te l’ha data?»

«È successo su Loo», ansimò lui. Poi vide l’incomprensione sul volto degli altri due. «Parlo del pianeta Loo. Si direbbe che non lo conosciate. Possibile?»

Kirtn scosse il capo con impazienza.

Serio in viso Jal si rivolse a Rheba. «Loo fa parte della Confederazione Yhelle. Saprete almeno cos’è la Confederazione, spero».

«Consideraci due stranieri ignoranti», disse Rheba. In realtà lei e Kirtn non disponevano di troppe informazioni sulla zona di spazio in cui erano venuti a finire. L’indizio riguardo il manufatto Bre’n in possesso di Jal era giunto alle loro orecchie casualmente, in uno scalo spaziale, e su Onan non avevano avuto il tempo d’acquistare neppure un videonastro di quello che i turisti trovavano all’astroporto.

Mercante Jal li osservò con una luce strana nello sguardo, poi girò una rapida occhiata sul complesso della cabina di pilotaggio e annuì fra sé. Fece per alzarsi, ma una mano di Kirtn lo fermò. Allora sorrise.

«Calma, amico. Di che hai paura?», disse in tono pacifico. «Se anche non fossi legato da servitù alla tua Liscia, qui dentro sono inoffensivo. Non saprei neanche dove mettere le mani». Indicò i pannelli e i monitor. «Io me ne intendo di strumentazione. Ho comprato, venduto e anche … be’, diciamo preso a prestito ogni specie e modello di astronave costruita entro i confini della Confederazione, eppure non ne ho mai vista una come questa. Parlo correttamente le sei lingue principali, e mi faccio capire in molte altre, ma non mi è mai capitata sotto gli occhi una scrittura come quella sui vostri strumenti».

Gli altri due non fecero commenti. Jal fissò la ragazza come se la vedesse allora per la prima volta. «L’astronave è diversa da tutte quelle che conosco, però in voi non c’è nulla che sembri anormale. Tu appartieni senza dubbio al Quarto dei Cinque Popoli: umanoide fino all’ultima cellula».

«Uno dei Cinque Popoli? Cosa te lo fa supporre?», chiese lei, impaziente.

«Be’ … non sei un Fantasma. Questo me lo hai provato quanto ti sei spogliata, al casinò. Ma ho la bizzarra impressione che tu non sappia molto dei Cinque Popoli».

Rheba sbuffò, esasperata.

Mercante Jal accentuò il suo sorrisetto. «Non avertene a male per la mia curiosità. Se la tua razza non appartenesse a uno dei Cinque Popoli, dovrei supporre che provieni magari da un’altra galassia. Ma infine …» e indicò la plancia intorno a sé, «è evidente che questa attrezzatura non è stata costruita da nessuna delle razze che fanno parte della Confederazione».

«Complimenti per il tuo spirito d’osservazione», sbottò lei, in un tono che voleva scoraggiare altre domande. «Adesso parlaci del pianeta Loo. Conosci le coordinate?»

«Le informazioni sono una merce di scambio».

«Tu sei una merce», ritorse lei. «Non dimenticare la nostra scommessa, Mercante Jaclass="underline" la posta in palio eri tu».

«Oh, sì. E non ti ho ancora fatto le mie congratulazioni per aver vinto. Devi aver usato una tecnica d’imbroglio assai originale. Di cosa si è trattato, puoi dirmelo?»

«Ho usato lo specchietto del portacipria».

Jal apprezzò il sarcasmo di quella risposta con un ampio sogghigno divertito, ma il Bre’n che gli stava accanto lo scosse rudemente.

«Le coordinate, mercante!»

«Il tuo amico Peloso è un bestione impaziente e poco garbato, ragazza», osservò l’altro.

Rheba annuì. «Il fatto è che nella faccenda è coinvolta una donna Bre’n. E Kirtn è un Bre’n».

«Bre’n …», ruminò il mercante. Esibì un’espressione d’innocente perplessità. «Mai sentiti nominare animali di questo genere».

«E i Senyasi?», provò Rheba, delusa nell’intuire che Jal non stava mentendo. «Hai sentito parlare di una razza chiamata Senyas?»

«Mai», affermò l’uomo. Una mano di Kirtn era pronta a stringergli il collo, comunque il suo tono suonò sincero.

«E allora, come hai avuto la Faccia?», insisté lei.