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«Loo importa gruppi di quelli che potremmo definire lavoratori immigrati. La mascherina apparteneva certo a uno di costoro». Scrollò le spalle. «Forse quel lavoratore aveva bisogno di soldi, e così l’ha venduta a un gioielliere».

«Impossibile», stabilì Rheba con un gesto secco. «Un Senyasi non si separerebbe mai dalla sua Faccia spontaneamente. Per levargliela bisognerebbe ucciderlo, e probabilmente è successo proprio questo. Ma forse la donna Bre’n che l’ha fatta per lui è ancora viva». La sua voce s’indurì. «Loo, Mercante Jaclass="underline" le coordinate».

«Mettiamoci d’accordo onestamente. Tu hai qualcosa che io voglio, come io ho qualcosa che interessa te. Facciamo uno scambio».

«E perché?», disse Kirtn. «Potrei pestare la tua carcassa bluastra fino a fartele cantare in tutte le lingue, quelle coordinate».

«Oh, senza dubbio», ammise l’altro. «Ma Loo è un pianeta assai grande, e le sue usanze sono particolari. Sì, molto particolari. Io lo conosco, e vi assicuro che da soli non riuscireste mai a trovare quel ragazzino. Avrete bisogno di me».

«Un ragazzino?», scattò Rheba. «Tu hai visto un Senyasi?»

«Diciamo che ho buone orecchie. È lui che cerchi, vero?»

Lei scambiò un’occhiata con Kirtn. «Forse».

Jal ebbe un’espressione astuta. «Non crederai di darmi a bere che eri disposta a girare per la galassia in cerca di una Pelosa qualsiasi. Non sono un idiota, bella mia. No, tu stai cercando quel ragazzino che ha le mani come le tue».

Rheba abbassò lo sguardo sulle sue mani, dove l’arabesco delle Linee di Potenza s’era opacizzato fin quasi a svanire. Mani come le sue, rifletté … un ragazzino con mani come le sue. Un giovane, forse un bambino, ma che sarebbe diventato un uomo. E un possibile compagno. Se fosse riuscito a trovarlo, il popolo una volta chiamato Senyas non avrebbe potuto ancora dirsi estinto.

Distolse gli occhi dalle dita ustionate e tremanti. Se il ragazzino era molto giovane, ciò spiegava come avesse potuto lasciarsi privare della Faccia: gliel’avevano semplicemente tolta. Su Deva quel genere di furto era stato una cosa impensabile. Ma la Confederazione, dovette riconoscere, non era Deva.

«Questo ragazzino», disse, sforzandosi di apparire indifferente.

«Dove l’hai visto l’ultima volta? Era fisicamente sano? C’era la donna Bre’n con lui?»

«Facciamo l’affare», propose Jal. «Ciò che so sul ragazzo, in cambio del luogo in cui è stata costruita questa astronave».

Lei passò alla lingua Senyas, volgendosi a Kirtn: «Che ne pensi, Mentore Bre’n? Dobbiamo fidarci di costui?»

«No, Akhenet. Dobbiamo usarlo … se possibile». Fissò su Jal i suoi occhi dorati. «Perché ci hai raggiunti all’astroporto? Potevi risparmiarti di pagare la scommessa, e nessuno all’infuori di noi se ne sarebbe lamentato».

Il mercante sorrise appena. «Senza contare che avrei potuto spararvi, e ricevere un encomio dai Sorveglianti».

«E che motivo avevi per non farlo?»

«Sapevo che avreste cercato di raggiungere lo scalo e filarvela. Era logico. In quanto a me, troppi mi hanno sentito accettare quella scommessa, e io sono un giocatore conosciuto in tutti i casinò. Se qualcuno mi vedesse su Onan nelle tre settimane successive alla vostra fuga, si penserebbe che ho mancato alla mia parola di Professionista, il che nel nostro ambiente è un delitto. Inoltre esiste una legge che obbliga il servo a rifondere i danni causati a terzi dal suo padrone … e pur essendo ricco non me la sento di far ricostruire il Buco Nero a mie spese. A parte ciò, sono curioso. Ho il presentimento che da voi potrò trarre qualcosa di utile».

«Come il sapere in che modo ho barato a Caos?»

Jal si passò sulle labbra una lingua azzurrina come la sua pelle. «Fra le altre cose, certo». Osservò ancora la strumentazione di bordo con un interesse che sfumava nell’avidità. «Di tutti i Ventisette Cicli conosciuti, solo pochi hanno lasciato dietro di sé macchinali così perfezionati. Il Ciclo Mordynr, e un poco quelli Flenta e Spareen». Li fissò come sperando di leggere sulle loro facce una reazione, poi continuò: «Ma soprattutto il Ciclo Zaarain … Ah! Questo nome vi è noto, vedo. Non è così? Ho indovinato?»

«Mitologia», borbottò Rheba.

«Il Ciclo Zaarain esistette realmente», la corresse subito il mercante. «Fu l’Undicesimo Ciclo, il più elevato che il Quarto Popolo abbia mai conosciuto. La Confederazione Yhelle con i suoi trentun pianeti è solo un frammento dell’ultimo e minore di tutti i Cicli, un niente a paragone di quella che fu la grandezza del Ciclo Zaarain».

Nel sentirlo divagare a quel modo, Rheba non era più capace di nascondere la sua noia. «Ah, sì?», borbottò.

«Certo, piccola Liscia ignorante. L’ultimo Ciclo è durato circa duemila anni, e ha interessato quasi settecento pianeti, prima di crollare nella Diciassettesima Grande Tenebra. La Confederazione Yhelle può rappresentare l’inizio di un Diciottesimo Ciclo, o forse no. Ma questo poco importa, perché saremo morti da un pezzo tutti quanti, prima che qualche storico lo decida».

«Anche a noi importa poco di sentire i tuoi discorsi, se intendi farci una lezione di storia», disse Kirtn.

«Io sono un mercante, amico Peloso, e la storia mi è utile per valutare i manufatti delle epoche passate. Molti fra gli articoli che tratto sono d’antiquariato, e li rivendo alle università o ai collezionisti privati. Ma alcuni in particolare …», e indicò i pannèlli di pilotaggio, «… alcuni preferisco tenerli per me. La tecnologia pre-Confederazione può essere assai utile a un commerciante, in certe circostanze».

«Tu non potresti mai essere in grado di manovrare questa astronave», lo informò Rheba. «Così non illuderti che potresti riuscire a rubarcela».

«Mi accontento delle coordinate del pianeta da cui proviene».

Una visione peggiore dell’inferno stesso lampeggiò per un attimo nella mente di lei: il sole in preda alle fiamme esplosive, la sua massa stellare che si dilatava e dilatava fino a coprire Deva in un abbraccio distruttivo, la fine di un intero mondo e di una civiltà. Uno sguardo a Kirtn gli bastò per vedere nei suoi occhi la stessa desolazione e gli stessi pensieri.

Si volse al compagno ancora in lingua Senyas: «Possiamo dirglielo?»

Il Bre’n gli stringeva sempre la catena attorno al collo. «Questo è il tipo che se gli dai una mano ti mangia il braccio», sbuffò disgustato. «Senza dubbio potremmo trovare Loo anche da soli. Però rintracciare il ragazzino non sarebbe cosa dappoco, e nulla ci garantisce che sopravviverebbe tanto. Questo Loo non ha l’aria d’essere precisamente un paradiso».

«Allora gli daremo le coordinate di Deva, così si brucerà le dita a frugare nelle sue ceneri». Rheba si massaggiò le mani pensosamente. «Se c’è ancora una possibilità che il ragazzino sia vivo, dobbiamo muoverci subito. E Jal, sia maledetta la sua linguaccia blu, è la nostra sola speranza».

«Non voltargli le spalle un solo momento, bambina».

Lei sorrise amaramente. «Gliele volterei solo se cercassi qualcuno disposto a piantarmi un coltello nella schiena».

Kirtn le restituì il sogghigno, ma non allentò la stretta della catena al collo di Jal, che ora cominciava a manifestare sintomi d’insofferenza per quel trattamento.

Rheba tornò alla lingua universale. «Ti propongo questo, mercante: tu ci farai da guida su Loo, finché non avremo ritrovato il ragazzo e la donna Bre’n. Quando ce ne andremo di là, ti darò le coordinate del pianeta che t’interessa tanto. Ma non potremo accompagnarti, non è nei nostri programmi tornarci».

«Fuorilegge, eh?», disse Jal. «L’avevo immaginato».

Rheba si limitò a guardarlo, in attesa.

«E va bene, ragazza. Accetto». Jal diede un colpetto sul polso massiccio di Kirtn. «Rimetti il guinzaglio al tuo Peloso, e ti darò le coordinate. Ma quest’oggettino rimane a me».