«La Faccia non è tua, mercante. Non può esserlo».
«È il mio portafortuna, però. E ci tengo».
«Mi spiace. Non è cosa di cui si possa fare mercato. Dagliela, oppure Kirtn dovrà diventare molto antipatico con te».
Jal sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Ma già fra le mani di Kirtn la catena d’oro aveva mandato il suono secco delle maglie che si spezzavano. Con delicatezza il Bre’n staccò la mascherina dal suo fermaglio, e ne sfiorò i contorni come se fosse un oggetto sacro. La fece ruotare fra le dita, e il piccolo volto scolpito diede quasi l’impressione di rispondere al contatto con uno strano e misterioso sorriso.
Rheba distolse lo sguardo, come se non volesse intromettersi nei pensieri più intimi del compagno. Il Bre’n aveva in mano qualcosa di troppo strettamente legato alla sua razza, alla tragedia che l’aveva colpita, e alle sue speranze di ridarle vita. D’un tratto la vista le si offuscò, la cabina parve ondeggiare intorno a lei, e si sentì mancare. Le braccia di Kirtn l’afferrarono un attimo prima che piombasse al suolo, e la sollevarono con premura.
«Devi riposarti nell’utero», le disse in Senyas. «Penserò io al prossimo balzo in overdrive».
La ragazza mormorò una debole protesta, ma senza insistere. Aveva le mani troppo malconce e la mente troppo confusa, per occuparsi del computer dell’astronave. Kirtn sentì che il suo corpo sfinito si rilassava, e con un tocco spalancò lo sportello di una delle tre cuccette incassate in una parete. Depose la giovane donna nel suo interno e richiuse. Jal osservò con interesse il Bre’n operare su un pannello laterale, ma non fu in grado di capire quale fosse la tecnologia di cui si serviva.
«È una specie di dottore automatico?», chiese.
«Dottore? No. Noi lo chiamiamo utero», borbottò l’altro. «È una cuccetta dove il corpo risposa e viene aiutato a guarire in fretta. Niente di miracoloso». E nel vedere l’espressione di Jal aggiunse: «Se tu ci mettessi dentro un cadavere, non lo vedresti certo rivivere».
Il mercante si umettò le labra con la lingua. «Notevole. Posso sapere dove ve lo siete procurato?»
«Fa parte dell’astronave. E adesso vuoi sputare queste coordinate?»
Kirtn andò a sedersi al posto di pilotaggio voltandogli le spalle con indifferenza per mostrargli che intedeva fidarsi di lui, ma in realtà lo stava tenendo d’occhio. Intuendo la sua tensione, Jal gli si avvicinò con l’aria più tranquilla del mondo.
«Quadrante 31, Settore 6, 21 gradi ESW dal primo meridiano di GA-316», rispose.
L’uomo si appoggiò con negligenza a un pannello verticale, tenendo gli occhi fissi sulle mani di Kirtn che correvano sui tasti della consolle. Ma sul volto gli apparve una smorfia di contrarietà quando si rese conto che non riusciva a seguire la manovra. Ne ricavò soltanto l’impressione di luci e suoni armoniosi che si succedevano troppo velocemente per capirci qualcosa.
«Bene», borbottò, deluso. «Loo è a due balzi in overdrive da qui. Le coordinate per il primo sono queste …»
La voce gli si stroncò in un ansito rauco, quando la velocità aumentò con un’accelerazione che lo fece quasi cadere. Appena ripreso l’equilibrio, pallido in faccia, esplose: «Stammi a sentire, Peloso delle mie scarpe: non ho la minima voglia di finire in bocca a Keringa, solo perché non ti degni di ascoltare le mie istruzioni. Ti ha dato di volta il cervello?»
«Risparmia il fiato», disse Kirtn. «Io mi limito a dire al Devalon dove voglio andare, poi è l’astronave a decidere come arrivarci».
L’indignazione dell’altro si mutò in stupore. «Ma non può essere così semplice. Solo sette dei Cicli conosciuti disponevano di computer che …» Tacque, poi gli puntò un dito addosso con un sogghigno soddisfatto. «Zaarain! Dì la verità, questa è un’astronave Zaarain, vero? E ciò significa che sul tuo pianeta è sopravvissuta la civiltà tecnologica dell’Undicesimo Ciclo, corpo di una cometa!»
Kirtn rise. «Nella galassia c’è ben altro che la tua Confederazione Yhelle. Questa nave è stata disegnata e costruita da Scienziati-Danzatori di Deva, ovvero …», emise un fischio modulato, incapace di tradurre il termine con esattezza. «Insomma, da Akhenets. E questo vuol dire che la tecnologia è soltanto nostra: Bre’n e Danzatori Senyasi».
«Danzatori? Strano modo di definire dei tecnici».
«L’universale è una lingua povera. Ho adoperato i termini che più si avvicinano al significato».
Jal sedette sull’altra poltroncina, continuando a studiare i comandi. «Ha un gran valore, non c’è dubbio», borbottò. «Peccato che siate così ignoranti».
Kirtn si volse a mezzo. «Ma che vai dicendo?»
«Siete due ignoranti, due inesperti. E su Loo questo potrebbe costare la vita a voi, ed a me la possibilità di mettere le mani su una tecnologia molto evoluta. A meno che tu non sia così compiacente da darmi fin da ora le coordinate del tuo pianeta».
«Io non sono un tipo compiacente», brontolò Kirtn.
«Allora ascoltami, Peloso: Loo è un pianeta difficile. Tutte le forme di vita della Confederazione Yhelle vi sono rappresentate. Su Loo la gente colleziona … diciamo … cose uniche, originali. Questo ne fa un mondo a sé stante. E molto, molto pericoloso».
Kirtn stava ancora concentrandosi sulla manovra. La poltroncina sensibile aveva assunto la forma del suo corpo, e ora traduceva in impulsi diretti al computer i suoi segnali mentali. Alcune luci lampeggiarono in risposta, suoni melodiosi le accompagnarono, e il Bre’n sorrise soddisfatto.
«Mi stai ascoltando, Peloso?»
«Certo». Kirtn si volse ad annuire. «Stavi dicendo che questo pianeta è un rischio. Ma quale non lo è, quando ospita vita intelligente?» Scrollò le spalle.
«Sono gli animali, e non la gente, ad essere pericolosi. Hai mai sentito parlare del Divoratore Mangariano?»
Il Bre’n si passò le dita sulla mascherina di setole dorate che gli circondava gli occhi, poi s’appoggiò allo schienale con un sospiro stanco. «No. Ma tu farai attenzione che non ci venga fra i piedi, vero?», sbadigliò rumorosamente e si sfregò la mandibola, con un mugolio. «Siediti e allaccia la cintura, che fra un po’ saltiamo in overdrive».
Intanto che l’astronave accelerava preparandosi al balzo, Mercante Jal si dilungò a descrivere al Bre’n alcune delle più ripugnanti e feroci forme di vita della Confederazione. Ad onta della noia che aveva ostentato inizialmente, Kirtn si ritrovò ad ascoltare con un certo interesse i discorsi dell’altro, e più Jal andava avanti più la sua attenzione ne veniva catturata. Mezz’ora dopo Rheba emerse dalla cuccetta-utero, sparì per qualche minuto in una cabina interna dove si occupò della sua toeletta personale, e nel raggiungerli mostrò al Bre’n le mani perfettamente guarite. Il compagno gliele accarezzò sorridendo, poi le fece cenno di sedersi ad ascoltare anch’ella. La ragazza non tardò a scoprire che Mercante Jal era un parlatore ben capace di farsi seguire dal suo pubblico.
A interromperlo venne un segnale sonoro indicante che mancavano pochi secondi al balzo, ed i tre si assicurarono alle poltroncine. Poi vi fu la vibrazione dell’impianto di overdrive che li scaraventava nello spazio non-dimensionale, e in un attimo gli schermi mostrarono che il Devalon s’era trasferito a cinque diametri di distanza da un grosso pianeta grigio e verde. Subito iniziò una rapida decelerazione, mentre il pilota automatico programmava un’orbita ellittica intorno ad esso.
Ma non avevano ancora terminato la prima metà dell’orbita, che una luce blu lampeggiò sulla consolle degli impianti difensivi. Il Devalon era sotto attacco.
«Cos’è quel cicalino lì?», chiese Jal, perplesso.
«Difese automatiche in orbita intorno al pianeta», ansimò Rheba correndo ai comandi.
Il mercante ebbe un sussulto. «Per la coda mozza di Keringa!», strillò. «Apri la trasmittente sulla lunghezza d’onda dell’idrogeno. Muoviti, o ci troveremo un missile in coda!»