«Da qui non si può proseguire in nessuna direzione», stabilì con un sospiro. «Ci sono altri ammassi di minerali del Primo Popolo, sparsi un po’ dappertutto. Torniamo indietro».
Lei si limitò a seguirlo. Preferiva anch’ella scontrarsi con avversari umani, piuttosto che con quelle note musicali tanto dolorose. Lentamente si avviarono verso la zona che avevano attraversato poco prima.
Capitolo 6
LE BELVE DELLA NEBBIA
L’eterogeneo gruppo di schiavi era ancora là dove l’avevano incontrato, e dalle voci confuse e indisciplinate che li raggiunsero nella foschia compresero che stavano altercando. Rheba non aveva smesso di accumulare energia, operazione alla quale le Linee di Potenza sottocutanee rispondevano lucendo appena, e Kirtn sapeva che quell’esercizio incessante non le riusciva facile. Una Danzatrice del Fuoco, specialmente giovane, aveva bisogno di pause nel maneggiare le forze subatomiche, ed ella non se ne stava concedendo. Il Bre’n si aspettava che da un momento all’altro ne pagasse la fatica, ma nella situazione in cui erano anch’egli doveva appoggiarsi alle facoltà della ragazza.
«Le loro uniche armi sono sassi e bastoni», constatò. «Mi chiedo perché si siano uniti in una banda».
Rheba gli si strinse al fianco. «Forse ci conviene girare al largo, prima che ci vedano».
Il sentiero scorreva lungo una radura erbosa, in fondo alla quale si alzava una fitta parete di alberelli. Kirtn gettò alla zona un’occhiata incerta. «Mi sembra troppo facile. Forse si aspettano proprio questo. Potremmo cadere dalla padella nella brace».
Una folata di vento diradò la nebbia, consentendo agli individui di scorgerli. Dal loro atteggiamento si sarebbero detti trucemente sicuri che le loro prede non potevano fuggire. Rheba disse al compagno di non muoversi, uscì dal sentiero e finse di scappare lateralmente nella radura. La cosa parve non fare né caldo né freddo agli schiavi. Alcuni ridacchiarono, le loro intenzioni rimasero più imprescrutabili che mai, e nessuno si mosse per tagliarle la strada. Dopo una decina di passi la giovane donna fece dietrofront e tornò in fretta accanto a Kirtn.
«Non mi piace. Quelli conoscono la zona, e se ci lasciano fuggire di là significa che ci aspetta una trappola».
Kirtn strinse i denti. «Sono troppi, e tu sei stanca. Inutile andarci tanto per il sottile, Danzatrice».
Il Bre’n non disse altro, lasciando che la sua Akhenet capisse da sola. Uccidere costava a una Danzatrice del Fuoco molta meno fatica che ferire o stordire: un semplice tocco della mente le bastava per assorbire energia, e nessun cuore umano poteva continuare a battere senza l’impulso elettrico del suo centro nervoso. Per colpire le era invece necessario incanalare grandi quantità di particelle subatomiche, e quindi proiettarle con violenza verso il bersaglio. Costrette a creare intensi campi magnetici, le Linee di Potenza andavano sotto sforzo, e questo poteva avere serie conseguenze su un fisico che non riposava da molte ore.
Rheba ripensò ai cadaveri che avevano visto. Nessuno di loro aveva chiesto di venir lì a lottare ed a morire, neppure quegli schiavi che la sorte aveva trasformato in animali da preda.
«Ucciderò solo se sarò costretta», disse, a disagio. «E poi la cosa richiede più concentrazione, anche se é meno faticosa. Sai che io non …» La sua voce si spense in un borbottio.
Lui le fece una carezza. «Ti capisco», mormorò, pensando che sarebbe toccato a lui proteggerla, e che non ne era all’altezza.
«Forse sarà sufficiente bruciacchiarli un poco. Loro non hanno mai visto una Danzatrice del Fuoco al lavoro».
Il Bre’n tacque. La decisione spettava a lei. Doveva essere così, o non avrebbe più avuto vera fiducia in lui né in se stessa.
La ragazza si concentrò su un cespuglio a mezza strada fra loro e la torma degli schiavi. Quando finalmente l’arbusto cominciò a tremolare, sollevò le mani e dalle sue dita scaturì un filamento di energia d’un giallo brillante. Il gesto in sé stesso non era necessario, ma a quel modo l’effetto psicologico su chi osservava era maggiore.
Il cespuglio avvampò di fiamme. Allo spettacolo imprevisto gli individui si scambiarono commenti sottovoce, tuttavia non indietreggiarono affatto. Quello che sembrava il loro capo si mosse anzi baldanzosamente verso il piccolo incendio, controllò che non fosse un’illusione, quindi tese le braccia per scaldarsele al fuoco. Tutti gli altri si affrettarono ad imitarlo vociando come scimmie, è congratulandosi con l’individuo quasi a procurar loro quella fonte di riscaldamento fosse stato lui stesso.
Le fiamme si spensero di colpo, richiamate dalla Danzatrice disgustata e furente. Subito dopo le chiome di tutti gli schiavi presero a strinarsi e mandare fumo, arse dalle lingue d’energia violetta che s’erano accese nell’aria e svolazzavano sulle loro teste. Gli uomini e le donne della banda corsero da una parte e dall’altra, gridando e sferrando bastonate a quegli uccelli di fiamma, solo per scoprire che le lingue d’energia rovente li inseguivano con pertinacia e producevano dolorose ustioni.
Rheba lavorò senza sosta, mentre lungo le sue braccia le Linee di Potenza Akhenet prendevano a rifulgere d’oro. Decine di focherelli aerei guizzavano sulle schiene e fra le gambe degli schiavi. Alcuni caddero a terra, un paio decisero d’averne abbastanza e fuggirono, poi il loro capo sbraitò ordini inferociti e prese a calci gli altri finché riuscì a farsi ubbidire: agitando le loro rozze armi gli uomini corsero all’attacco ululando come bestie.
Una gragnuola di pietre costrinse Rheba a fuggire indietro, e nell’agitazione del momento dovette smettere di proiettare energia. Prima che potesse riaversi, la torma degli assalitori fu loro addosso.
La maggior parte degli schiavi preferì attaccare Kirtn, invece della ragazza dalle cui mani avevano visto nascere il fuoco, ed ella ne approfittò per scappare fra i cespugli. Riuscì ad evitare d’esser presa, ed intanto le giunsero alle orecchie rauche urla di dolore: alcuni di quei selvaggi si stavano accorgendo di cosa significava lottare contro un Bre’n. Ma erano troppi, e quando gli si aggrapparono alle gambe e alle braccia riuscirono a rovesciarlo a terra.
In quel momento anche Rheba inciampò e cadde fra gli sterpi. Nel rialzarsi vide il compagno sepolto sotto i corpi nudi e sporchi di numerosi avversari, e mandò un gemito. La mischia era feroce, e il gruppo si affollava intorno a lui come sciacalli che attendessero il loro turno di mordere. Un fischio in linguaggio Bre’n raggiunse la ragazza: Kirtn le stava ordinando di fuggire finché ne aveva il modo. Poi nella nebbia ci furono soltanto gli ansiti, i pugni e i colpi di bastone.
Rheba si mosse barcollando verso gli schiavi. Una donna le si gettò addosso allacciandola alla cintura con le braccia, e un’altra le attanagliò le mani alla gola cercando di rovesciarla, ma entrambe vacillarono indietro strillando, stordite dalla scossa elettrica che ella aveva emanato per riflesso istintivo. Disperatamente gridò il nome di Kirtn, poi assorbì ciecamente energia dai cespugli che ancora bruciavano, dalla luce solare, dalla cupola del campo di forza e da ogni altra sorgente che riuscì a raggiungere. Sottili linee di fuoco percorsero il mucchio di corpi umani, simili a rapidi fulmini, e dove toccarono la carne lasciarono piaghe rosse e fumanti.
Gli schiavi sussultarono e rotolarono via, agitandosi nel fango, e fra essi si alzò in piedi la figura ricurva del Bre’n con due o tre avversari appesi addosso. Il capo della banda afferrò un massiccio bastone, gli corse alle spalle e lo raggiunse alla nuca con un colpo che lo fece piombare al suolo privo di sensi.
A quella vista Rheba perse il poco controllo che era riuscita a conservare, e alzò le braccia inorridita: da essa nacque un vento di fiamma simile all’alito di un drago, che dissolse la nebbia e provocò un boato per lo spostamento d’aria. Dalle punte delle sue dita fino alle spalle, l’arabesco di filamenti dorati sotto la cute brillava intenso, proiettando nuvole di morte rovente che spazzavano il terreno.