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«E parli molte lingue?», Kirtn era inebetito dallo stupore.

«Io ho tante voci quante sono le stelle», affermò Fssa, guardandolo con gli occhietti scintillanti. «Anche fra la mia stessa gente ero ritenuto un genio. Fssa significa Tutte-Le-Voci».

«Non solo bello, ma anche modesto», constatò Rheba.

Fssa notò l’ironia della sua voce, e parve perplesso. «Dovrei essere anche modesto, dici? La modestia è necessaria per esser belli?»

Kirtn passò le dita sul suo corpo sottile in una carezza rassicurante, e sentì che era eccezionalmente duro e solido. Malgrado la sua natura timida, Fssa era un fascio di fibre muscolari resistenti come metallo.

«La modestia è necessaria solo a una Danzatrice del Fuoco», disse, con un’occhiata maliziosa a Rheba. «E parli correttamente tutte le lingue che sai, Fssa? Oppure fischi solo note musicali?»

«Posso imitare qualunque rumore. E i linguaggi sono soltanto rumori codificati secondo la necessità degli esseri intelligenti».

Rheba lo teneva sollevato con entrambe la mani, incapace di decifrarne la psicologia e cercando di dirsi che non poteva essere così umano come appariva nel comunicare. «Allora parla in Senyas», lo sfidò.

Lo sguardo di Fssa parve spegnersi un poco. «Se lo facessi, forse non sarei più bello», fischiò.

«Ridicolo», sbuffò lei. «Parla in Senyas, avanti».

«Ma tu non mi lascerai cadere in terra? Neppure se diventassi più brutto?»

«No, lo prometto. E adesso prova».

«E va bene», fischiò Fssa, rassegnato. «Ma avrei preferito restare bello».

A dispetto della sua promessa mancò poco che Rheba non lo mollasse di colpo, perché appena pronunciata l’ultima parola in lingua Bre’n il serpente subì un’improvvisa trasformazione fra le sua mani: penne di un scintillante colore dorato si alzarono dalla sua colonna vertebrale, e dietro la testa gli si aprì un collare di setole verdi. Ai lati del suo corpo comparvero aperture presumibilmente collegati ai polmoni, che aspiravano aria come branchie. Sulla coda gli spuntò un piumino azzurro.

«Che cosa vuoi che dica?», chiese, in perfetto Senyas.

«Per i Fuochi della Galassia!», ansimò Rheba. «È incredibile. E sei capace di parlare in universale?»

Le penne rotearono e si tramutarono in lunghe spine ricurve, il collarino di peli fu ritratto ed al suo posto emerse una sorta di ala di farfalla circolare. Le scagliette cambiarono colore, formando un disegno a losanghe blu e platino, e lasciarono uscire un piano di pinne. Fssa era una vera e propria scatola magica vivente, capace di esibire forme diverse come se si cambiasse d’abito, e ciascuna mutazione era d’effetto estetico singolare e piacevole.

«Tutti i serpenti ben educati parlano l’universale», disse in quella lingua. Ebbe un sospiro. «Ma … io preferirei essere bello».

Rheba lo fissava affascinata. «Santo cielo, Fssa! Per te è impossibile non essere bello. Dove hai preso l’idea assurda d’essere brutto?»

«Io non ho le braccia e le gambe», disse lui, lamentoso.

Detto ciò fece scomparire spine e collarino, tornando liscio e di colore argento-dorato come in precedenza. Poi le si attorcigliò timidamente intorno a un polso, fissandola quasi in attesa di una sua opinione. La ragazza lo accarezzò e se lo accostò a una guancia, pensando a quale potesse essere la vita di una creatura simile in un mondo governato da bipedi stupidi e spietati.

«Povero Fssa», mormorò. «Povero bel serpentello. Vorresti venire con noi fino al pozzo? Forse non potremmo garantire la tua sicurezza, ma sono disposta a dirti che sei bello almeno due volte al giorno».

Alla sua proposta il bizzarro rettile senziente parve contorcersi di gioia, e dalle scagliette che lo rivestivano provenne un fruscio metallico. Kirtn prese la ragazza per un gomito, le sorrise e la aiutò ad alzarsi.

«Sono stanca», mormorò lei.

«Il pozzo non è lontano», li informò Fssa.

Rheba cercò di deglutire saliva e scoprì di avere la bocca troppo arida per riuscirci. «Odio questo pianeta, Kirtn. Odio tutti i Loos».

Il compagno la cinse con un braccio. Poi si rivolse al serpente: «Visto che ti piacciono le lingue, forse ce n’è una nuova che potremo insegnarti».

«Quale?», fischiò subito Fssa.

«È fatta di azioni, invece che di parole. Si chiama vendetta».

La risata del serpente, se pure era tale, fu un suono sibilante. «Mi piacerebbe impararla. Ssssì. Sarebbe ssssimpatico!»

Con un sorrisetto divertito Rheba si dispose il sottile rettile intorno al collo. Lui ne parve compiaciuto, ma con un guizzo le risalì poi lungo la nuca e scomparve fra i suoi capelli, arrotolandolesi sulla testa come una sorta di corona invisibile e ben mimetizzata.

La ragazza non protestò, e al fianco di Kirtn si avviò sul sentiero. Ben presto il percorso si allargò e si fece più liscio, come una strada in terra battuta, ma la luminosità stava diminuendo. Era quasi il tramonto. Nella foschia c’erano alcune capanne, vuote e silenziose, e i due compresero che gli schiavi preferivano ignorarle per andare a dormire nella zona franca presso il pozzo.

Rheba vide la prima delle linee azzurre proprio mentre la oltrepassavano, tanto era sottile. Poco più avanti c’era la seconda, parallela, ed entrambe avevano una leggera curvatura. Scambiò un’occhiata con Kirtn, rammentando le parole di Jaclass="underline" solo all’interno dei due circoli concentrici sarete al sicuro.

Al sicuro? Aveva un significato reale quel termine, all’interno del Recinto del Loo-chim? Probabilmente no, e tuttavia quel che contava era adesso l’acqua, perché cominciarono a percepirne il gorgoglio e d’istinto accelerarono il passo. Quasi subito videro il pozzo: un cilindro alto un metro e mezzo, dipinto per metà di bianco e per metà di blu, con un rubinetto corrispondente a ciascun colore. L’acqua ne usciva ininterrottamente finendo in uno scarico. Dietro al pozzo c’era una parete anch’essa bicolore, fornita di aperture, dal significato indecifrabile.

Si stavano avvicinando allorché due donne e due uomini uscirono da oltre la parete verticale e si mossero verso di loro. Erano Loos, indossavano vestiti ed esibivano un’assoluta sicurezza di sé.

Kirtn li osservò guardingo, misurando la distanza che ancora lo separava dal pozzo. Era stanco e assetato, i suoi riflessi risentivano della fatica, il corto pelame che lo ricopriva era incrostato di fanghiglia e di sangue. Alla vista degli sconosciuti dimenticò tuttavia le sue condizioni fisiche, di nuovo disposto a vender cara la pelle con l’indomabile orgoglio dei Bre’n.

Al suo fianco Rheba stava assorbendo energia dall’alto. I suoi capelli mandarono un crepitio elettrostatico secco, e il rumore informò Kirtn di come la sua compagna fosse pericolosamente pronta all’azione. Non di rado in passato egli l’aveva spinta in situazioni emotive di tensione, esercitandola così a reagire agli allarmi in modo automatico. Il risultato poteva essere tanto un perfezionamento delle facoltà di lei quanto un disastroso crollo psichico. In quelle condizioni mentali la Danzatrice del Fuoco rischiava d’essere una minaccia tanto per sé che per chiunque le stava vicino, ma il Bre’n era troppo esausto per indurla a controllarsi meglio.

La ragazza non parve notare che le sue chiome crepitavano sempre più forte. Lungo le braccia le Linee di Potenza le si accesero di luce dorata, intricate e sottili.

«Tu parli universale?», chiese una delle due donne, a Rheba.

«Sì», rispose per lei Kirtn, evitando così che la compagna si deconcentrasse per parlare.

«Mi sono rivolta all’umana, e non a te, animale», lo rimproverò la sconosciuta.

Rheba emise un fischio modulato in lingua Bre’n. Kirtn le sfiorò con cautela un braccio e ne ricevette una scossa non indifferente. La guardò con una smorfia, seccato che ella consentisse all’energia di defluire via senza accorgersene. Comunque, la concentrazione di lei s’era spezzata.