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«Siamo ambedue umani», disse Rheba.

«Forse lo eravate sul vostro mondo, ma ora siete su Loo». La donna fissò Rheba con glaciale alterigia. «Noi siamo I Quattro. Rappresentiamo i Gemelli Divini».

La giovane Senyasi tacque, limitandosi ad attirare energia con la stessa rapidità con cui la faceva scorrere da sé.

«È evidente che voi due dovete essere forti, abili e fortunati», continuò l’altra, «visto che siete riusciti ad arrivare qui».

«Ma sono umana io sola?», chiese acidamente Rheba.

La donna ignorò quella frase. «Adesso dovrete dar prova che siete anche intelligenti. Ascoltate e imparate. Su questo mondo ci sono tre classi di esseri viventi. La Divinità Loo, ovvero il Loo-chim, è la più alta. Gli umani vengono per secondi. Gli animali sono la terza categoria. Quello accanto a te è peloso, dunque appartiene alla categoria animale». La sua voce era impersonale. Stava enunciando un fatto, e non un insulto.

«E agli animali è permesso bere?», chiese Kirtn.

«Gli animali bevono sul lato bianco», disse l’altra a Rheba, come se disdegnasse di rivolgersi al Bre’n. «Essi possono avere cibo e acqua, finché ubbidiscono docilmente al padrone».

«Avete dei vestiti da darci?», disse Rheba, che aveva freddo.

«Gli animali non ne hanno bisogno. Essi si proteggono col loro pelame, la cui presenza ne rivela appunto l’animalità».

Lievissimi flussi d’energia si torcevano intorno alle braccia di Rheba, e i suoi capelli ondeggiavano come smossi dal vento. Nascosto fra essi il serpentello di nome Fssa si contorse un poco, ma evitò con cura di rivelare la sua presenza.

«Facciamo finta di prendere per buone tutte queste stupidaggini», disse Kirtn in Senyas. «Almeno ci daranno da bere e da mangiare».

La sola risposta di lei fu un forte crepitio d’energia e subito il Bre’n mandò un fischio così acuto da sfiorare gli ultrasuoni, il cui effetto fu di placarla. Ma la ragazza strinse i denti, vibrando per la voglia di disubbidirgli.

«Sono solo in quattro. Posso eliminarli», sussurrò ferocemente.

«Calmati. Li vedo troppo sicuri di sé stessi, e sospetto che abbiano qualche asso nella manica», fischiò ancora lui.

Riluttante la ragazza rifletté che Kirtn aveva ragione, ma l’atteggiamento dei Quattro la irritava. «Allora berrò con te, dalla stessa parte del pozzo», disse.

«No. Ci conviene far buon viso alle regole, finché non avremo capito come funzionano i loro meccanismi sociali».

«Tutto ciò che voglio è di appiccicare il fuoco a loro e alla loro società», sbottò lei.

Alle orecchie le giunse appena udibile la risatina di Fssa. I Quattro li guardavano con sospetto, poco compiaciuti nel sentirli parlare in una lingua ad essi sconosciuta. Il loro atteggiamento si fece ancor più rigido e attento quando Kirtn si mosse verso il pozzo, rilassandosi di un filo solo nel vederlo bere dal lato bianco. Rheba lo seguì e andò dalla parte opposta, al rubinetto azzurro.

Intanto che bevevano, la donna seguitò a impartire istruzioni in tono freddo e meccanico. Non era possibile capire se la loro docilità la compiaceva, la disgustava o la lasciava indifferente. Indicò alcune fessure sulla parete.

«Là il cibo per l’animale. Qui sulla parte azzurra il cibo e i vestiti per te, umana», disse. «Se resterete all’interno dei due circoli sarete al sicuro. Ora siete stati inclusi nel numero».

Di botto i Quattro scomparvero, come volatilizzati.

«Proiezioni ottiche?», chiese Kirtn, perplesso.

«Non credo». Rheba indicò l’alto. «Mentre svanivano ho sentito aprirsi la cupola d’energia, come in un vortice. Devono avere un sistema di trasporto ultrarapido di qualche genere».

«Controllato da qui?» Il Bre’n si guardò attorno, eccitato.

«No. Sono stati raggiunti e richiamati dall’energia. Qualcuno agiva all’esterno».

«Già, sarebbe stato troppo bello se i carcerieri avessero lasciato la chiave dentro la cella. E qualcosa mi dice che questi Loos conoscono a menadito l’arte del carceriere», borbottò lui. «Ma tu stai tremando. Avanti, cercati dei vestiti».

Rheba lo fissò cocciutamente. «Se tu non puoi vestirti, non mi vestirò neppure io».

«Io non ho freddo e tu sì. Non discutere».

La dura logica del Bre’n non faceva una grinza. Rheba si accostò all’apertura indicatale dalla donna, e quando vi fu davanti sentì che un innocuo raggio esplorativo l’avvolgeva come per prenderle le misure. Pochi istanti dopo infatti scivolò all’esterno un abito elastico e privo di cuciture, simile a una spessa calzamaglia.

Se lo infilò senza quasi guardarlo, avida soltanto d’avere qualcosa indosso. Una dozzina di metri più in là Kirtn aveva nel frattempo ammassato foglie secche ed erba, facendone una sorta di giaciglio, ed ella fu lieta di potersi stendere accanto a lui. Era così sfinita che quando il Bre’n la strinse fra le braccia mandò un debole gemito di sollievo, poi chiuse gli occhi e si addormentò quasi subito.

Kirtn si disse che gli sarebbe convenuto restare sveglio. Non era per nulla convinto che le affermazioni di Jal e dei Quattro sulla sicurezza di quella zona corrispondessero al vero, ed anzi avrebbe giurato che lì si preparavano per loro pericoli di nuovo genere. Ma una ventina di minuti più tardi la stanchezza ebbe la meglio sui suoi sospetti, e cadde anch’egli in un sonno di piombo.

Fssa scivolò fuori dai capelli della ragazza e le si acciambellò accanto tenendo ben alta la testa, deciso a montare di guardia presso i due esseri con attenzione e buona volontà. Era il mimmo che potesse fare, dopo che la ragazza l’aveva definito bello ed attraente.

Capitolo 8

GLI OSPITI DEL RECINTO

Kirtn si svegliò bruscamente, strappato dal sonno da un rumore che non riuscì a identificare. Rimase immobile e teso, limitandosi a volgere intorno lo sguardo, ma nel tedioso crepuscolo di nebbia che nel Recinto rappresentava l’alba non vide nulla di allarmante. L’unico suono che ora percepiva era il respiro di Rheba che dormiva al suo fianco. Qualche secondo più tardi colse con la coda dell’occhio il movimento di un’ombra fra le ombre.

Pian piano girò la testa, fingendosi ancora immerso nel sonno, riuscendo a scorgere solo foschia e umide pareti di piante. Allora decise d’indagare e in silenzio si scostò dalla ragazza, fece alcuni passi e vide Fssa accovacciato sul bordo del pozzo. L’imprevedibile creatura aveva di nuovo mutato fattezze, trasformandosi in un disco color verde pallido da cui spuntavano protuberanze, e stava bevendo. Emise un suono flautato di soddisfazione, poi con un fruscio di scagliette si volse. Kirtn riconobbe lo stesso rumore che lo aveva destato, e si rilassò sorridendo fra sé. Dopo un’occhiata al cielo stabilì che stava sorgendo il sole, e rinunciò all’idea di dormire ancora un po’.

«Kirtn?», fischiò piano il serpente. «C’è gente qui vicino, forse qualcuno che ci spia. Sento molte voci».

Il Bre’n s’irrigidì. «Da che parte?»

Sempre conservando la sua forma discoidale Fssa volse il capo protendendo i suoi strani sensi, quindi fischiò la risposta: «Al di là dei segni azzurri della tregua», disse, riferendosi evidentemente ai due circoli concentrici. «Schiavi selvaggi e bestie feroci … Ma si stanno allontanando».

Kirtn si concentrò, ma non fu capace di sentire assolutamente nulla. «Devi avere un udito molto sensibile tu», disse sottovoce.

«Sì», ammise il rettile. Il suo corpiciattolo discoidale ondeggiò compiaciuto, riflettendo cento barbagli multicolori. «Sul mio pianeta natale, la capacità di distinguere i rumori è indispensabile alla sopravvivenza». Volse gli occhietti all’insù. «Qui il cielo mi ricorda casa mia».

A Kirtn l’atmosfera parve opaca e triste, velata di arancione solo a oriente. «E casa tua dov’è?»