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«Lontano», sibilò malinconico Fssa. «Chissà dove».

«Come sei arrivato su Loo?»

«Oh, i miei antenati vennero portati qui molto tempo fa. Noi siamo i Comunicatori Fssireeme, capisci?» Mandò una risatina amara. «Siamo fra i relitti della Dodicesima Espansione, anche conosciuta come il Ciclo Makatxoy. In Senyas ciò significa il Ciclo dei Meccanicisti, i costruttori di macchine bioniche».

«Bioniche?» Kirtn fu sorpreso da un’improvvisa intuizione. «Vuoi dire che anche tu sei una macchina?»

Fssa non rispose.

Stesa sull’erba, Rheba emise un mugolio insonnolito e si contorse, ma senza svegliarsi. Negli ultimi giorni aveva accumulato tossine, e il suo corpo di Akhenet aveva bisogno di un riposo tutto particolare. Kirtn rimase fermo e zitto finché non fu ben sicuro che si fosse riaddormentata profondamente. Avrebbe voluto essere in grado d’insegnarle a ristorarsi con l’energia solare, ma non era all’altezza di quel compito. Sapeva soltanto che ciò richiedeva complessi adattamenti infracellulari, e che la capacità di trasformare la luce in nutrimento era un’esclusiva caratteristica delle Danzatrici del Fuoco più evolute. Provarci senza l’abilità necessaria sarebbe stato più pericoloso che inutile, per Rheba.

Un altro tintinnio di scaglie richiamò lo sguardo del Bre’n sul serpente, che era balzato giù dal bordo del pozzo e stava letteralmente rotolando verso di lui.

«Sei molto bello, piccolo rettile», fischiò. «Macchina o animale, mi piaci lo stesso. Grazie per aver vegliato sul nostro sonno».

Fssa rinunciò alla sua nuova forma e con un guizzo tornò a quella serpentiforme. «Io non sono una macchina. Non del tutto. Il mio popolo si è evoluto su un pianeta dall’atmosfera di gas semisolido, una protostella, chiamata Ssimmi. La sua forza gravitazionale era molto maggiore di questa di Loo, e nell’atmosfera si poteva nuotare. Era meraviglioso, con moltissime forme di vita che mandavano suoni d’ogni genere». La sua voce si fece sognante. «Non era come questo mondo freddo, incolore e umido. Almeno, così mi è stato detto dal mio maestro. Io sono stato un Ssimmi solo nei miei sogni».

Kirtn attese, incuriosito ma timoroso d’offendere il sensibile rettile con domande troppo personali. Fssa tuttavia non era riluttante a parlare dei fatti suoi, anzi sembrava che avere un ascoltatore lo stimolasse.

«Non vorrei tenerti sveglio con le mie chiacchiere», fischiò.

«No, non ho sonno. Parlami del tuo pianeta».

«Era un mondo selvaggio, confrontato a questi della Confederazione Yhelle. Noi non siamo mai stati costruttori di utensili. Siamo … be’, direi che ci limitiamo a vivere. Così era anche su Ssimmi, sebbene occorresse fortuna perché i predatori erano moltissimi. Il mio popolo ha dovuto sviluppare capacità difensive, come quella di creare illusioni».

«Illusioni ottiche, intendi?»

«No. Voi del Quarto Popolo date per scontato che la vista sia il senso basilare. Io mi riferisco alle illusioni sonore. Su Ssimmi c’era un’atmosfera inadatta all’uso degli occhi, e di conseguenza tutto era basato sulle capacità vocali e auditive. I predatori erano del tutto ciechi, e ciò malgrado pericolosissimi».

«Capisco. Cacciavano con l’uso di radar acustici, come molti insetti e piccoli mammiferi».

«All’incirca, ma con apparati sensori più complessi. Usavano onde sonore di diverse lunghezze per ciascuna attività. Quando noi sentiamo avvicinarsi un predatore ne identifichiamo la specie tramite i rumori, e ne produciamo altri simili a quelli della razza che teme maggiormente. Se siamo abbastanza bravi, sopravviviamo, altrimenti veniamo presi. La vita su Ssimmi si basava su questo principio elementare di capacità».

«Ma se non siete costruttori di utensili, come avete fatto a lasciare il vostro pianeta?»

«È stata la Dodicesima Espansione ad arrivare fino a noi. A quel tempo eravamo imitatori-analizzatori di suoni, con un’abilità unica nel capire gli elementi linguistici, e non sapevamo far altro. Ma avevamo abbastanza cervello per capire che ci conveniva collaborare con gli invasori. Loro avevano macchine … e soprattutto mani e piedi. «Fssa tacque per un lungo momento. «Il mio popolo si mise al loro servizio, e quando essi ebbero finito di manipolare i nostri cromosomi fecero di noi una razza diversa, capace di metamorfosi organiche, e traduttori migliori degli apparecchi che avevano usato fin’allora … Ma non fecero di noi delle macchine. Non lo siamo, sebbene quegli umani ci usassero come semplici apparecchi per comunicare».

Kirtn annuì. «Molte razze sono state fatte schiave e poi modificate geneticamente. Ma non poche di esse sopravvissero ai loro padroni, o finirono addirittura col dominarli».

«Sssì», sibilò ansiosamente Fssa. «Comunque quella è storia antica, e adesso nessuno di noi conserva rancore. Solo una cosa m’importa: vorrei nuotare nell’atmosfera di Ssimmi, prima di morire».

Il Bre’n si sorprese ad annuire con viva comprensione. «Ti capisco, anch’io darei la vita per rivedere il mio pianeta com’era una volta … azzurro e verde».

«Forse un giorno il tuo desiderio si avvererà», gli augurò Fssa.

«Non credo», Kirtn parlò in Senyas, per celare le sue emozioni sotto quel linguaggio puramente tecnico. «Deva è soltanto una sfera di roccia riarsa che orbita intorno a una stella instabile».

«Mi spiace», fischiò il rettile, contrito.

«Il passato è passato», borbottò lui. «Ma se riusciamo a fuggire da Loo ti porterò su Ssimmi, lo prometto. Rivedere la patria è un diritto di ognuno».

«Grazie, ma … io no so dove sia Ssimmi».

«Ah! Da quanto tempo la tua gente lo ha lasciato?»

«Migliaia e migliaia di anni. Questo però non cambia il nostro desiderio di nuotare nell’aria di Ssimmi. Abbiamo una memoria perfetta, e i nostri maestri che c’insegnano la storia ricordano tutto, fino al tempo in cui i primi di noi lasciarono i laboratori di bionica per viaggiare con Mercanti Espansionisti. Prima di allora …» emise un sospiro sibilante. «C’è solo la Lunga Storia, le interminabili ere in cui vivevamo allo stato brado sul pianeta selvaggio».

All’improvviso la forma di Fssa sembrò esplodere, proiettando all’esterno piume e spine d’ogni colore in un fruscio. Kirtn trasalì, intuendo che aveva sentito qualcosa.

«Ci sono dei nuovi schiavi», riferì il serpente dopo qualche momento.

«Ne sei certo?»

«Sì. Il rumore dei loro passi è erratico, come se fossero stanchi o feriti».

«Probabilmente entrambe le cose».

Fssa cambiò ancora colore, girando il capo verso il pozzo. Da quella direzione Kirtn udì provenire voci acute e squillanti, oltre una macchia di arbusti che crescevano all’interno dei due circoli. Adesso gli sembrava di ricordare d’aver visto una famiglia, il giorno addietro, tre adulti e cinque bambini che vagavano nella nebbia. Se erano loro, c’era da chiedersi come avessero potuto cavarsela fino ad allora con tutti quei ragazzini a cui badare.

Nella debole luce dell’alba vide infine dei bambini muoversi fra le piante. Sorprendentemente i loro modi erano vivaci e spensierati, al punto che s’inseguivano per gioco mandando gridolini allegri. Uno degli adulti sbucò fra gli alberi, li ammonì in una lingua sconosciuta e tornò fra la vegetazione a fare quel che stava facendo quando il chiasso lo aveva disturbato.

Fssa commentò il loro atteggiamento con un lieve sibilo, ma Kirtn non poté nascondere un’espressione stupefatta.

«Sono Gelleani», fischiò il serpente. «Per ferirne uno dovresti scaraventarlo in un precipizio su un pianeta ad alta gravità, e forse una volta non basterebbe».

«Questo spiega tutto», disse il Bre’n con un sorrisetto.

«Non è una famiglia completa. Per solito le famiglie Gelleane sono composte da quattro adulti e otto bambini».

«Vedo con piacere che sei ben informato sugli abitanti della Confederazione Yhelle. Io e Rheba non se sappiamo molto invece».