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«Meglio che io la aiuti a portarli dentro», decise il Bre’n. «Può essere pericolosa come la morte stessa, ma non credo che sopravviverebbe a un’altra aggressione».

«Deve avere la gola di bronzo», commentò Rheba, seguendolo verso il confine. La potenza vocale di lei l’aveva sbalordita.

«Donna», la fermò una voce alle sue spalle. «Tu ci hai aiutati. Come possiamo ricambiarti?»

Volgendosi la ragazza vide che a parlarle, in un universale un po’ stentato, era uno dei Gelleani adulti. «Non è nulla. Non c’è bisogno che mi ricambiate», disse, proseguendo dietro al Bre’n.

«Aspetta!» La voce del Gelleano suonò stridula.

Rheba lo fissò allarmata, e s’accorse che l’uomo pareva torcersi come per un tormento interiore. Dalla spalla di Kirtn, su cui s’era appollaiato, Fssa si affrettò a fischiare una spiegazione:

«Se non può ricambiare il favore, perderà la faccia. E tu farai meglio a lasciare che costui si sdebiti … a meno che non voglia vederti appioppare una figlia adottiva».

«Cosa?»

«È un’usanza Gelleana. Hai salvato la vita alla piccola, perciò se rifiuti una ricompensa è tuo diritto adottarla. E il tuo atteggiamento ha fatto credere all’uomo che tu pretendessi questa soluzione».

«Ma è una dannata pazzia!» Rheba alzò le braccia al cielo. «E sia pure: se insiste per pagare il suo debito, digli che aiuti Kirtn a portare dentro gli J/taals. Ma assicurati che capisca che mi considero ripagata da questo».

Fssa riferì la proposta, poi commentò: «Siamo fortunati. I Gelleani giudicano vergognoso prestare cure mediche ad altre razze. Il fatto che tu abbia chiesto un pagamento tanto alto gli consente di riacquistare la faccia».

Il Gelleano sorrideva soddisfatto. Chiamò una donna della sua fin troppo vivace famiglia, e i due si unirono a Kirtn muovendosi con la stessa rapidità di cui davano prova i loro bambini. In breve i quattro J/taals feriti furono trasportati al sicuro. Rheba, che s’era accostata ai Gelleani per ringraziarli dell’aiuto, pensò meglio di essere prudente.

«Fssa», ordinò in Senyas. «Dì a questi Gelleani che sono loro grata, ma accertati che questo non provochi altre strane reazioni».

Il serpente si contorse, confuso. «Posso limitarmi a tradurre loro un semplice grazie, se vuoi».

«Ah! E come so io che la cosa finirà lì? Sei tu l’esperto di cose gelleane».

«Io so soltanto quello che ho sentito dire, sui Gelleani. Non non un esperto», si lamentò lui.

«Comunque, d’ora in avanti non prendere a mio nome nessun impegno senza prima parlarmene. Chiaro?», lo redarguì la ragazza.

Fssa provvide a ringraziare i Gelleani, e i due se ne tornarono nel boschetto per occuparsi dei loro ragazzini, che stavano di nuovo altercando. Rheba e Kirtn s’avviarono verso i feriti.

«Mi sembrano malridotti», disse lei.

Kirtn annuì. «Non hanno solo contusioni e ossa rotte, ma anche ferite da coltello e da pistola a raggi, parzialmente cicatrizzate. Per fortuna sembrano robustissimi. Direi di lasciare che a curarli pensi la loro compagna, che ne conosce la fisiologia». Ebbe una smorfia d’ammirazione. «Se non fossero stati già gravemente feriti, gli sciacalli che li hanno aggrediti avrebbero dovuto pestarli tutto il giorno prima di ridurli a mal partito».

La donna J/taal sembrava molto affaccendata, e si muoveva con incredibile rapidità. Più volte andò al pozzo, si riempì la bocca d’acqua e tornò indietro a far bere i feriti, col semplice sistema di sputargli l’acqua fra le labbra.

«Che possiamo fare per questa gente?», chiese Rheba.

«E i morti dici che è meglio lasciarli là fuori?»

«Gli J/taals hanno l’usanza di non spostare i cadaveri dei compagni da dove sono caduti. Ma appena possono li bruciano», rispose Fssa.

«Se la donna avesse del fuoco, sono certo che farebbe così».

«Danno molta importanza alla cremazione dei morti?»

«Sì. Credono che i loro corpi possano essere resuscitati, ma a patto che vengano ridotti in cenere. Altrimenti resteranno morti in eterno».

Kirtn interrogò Rheba con uno sguardo e la vide annuire. Non era compito loro occuparsi delle credenze religiose altrui, tuttavìa in quel momento non avevano di meglio da fare. Il Bre’n andò a raccogliere ramoscelli e legna secca, e quando ne ebbe un grosso fascio si avviò al confine della zona franca.

«Attento!», sibilò Fssa, spaventato. «Ci sono dei predatori là fuori». Vedendo l’altro che lo ignorava si volse a Rheba. «Fermalo. Si farà uccidere!»

«La donna J/taal ha salvato la bambina, e per noi i bambini sono sacri. Lascia che Kirtn pensi ai suoi compagni morti».

Fssa non replicò, però dopo un’esitazione gridò qualcosa alla donna dalla pelliccia nera. Lei lasciò subito quel che stava facendo e seguì il Bre’n, mettendosi lì accanto di guardia. Dall’interno dei due circoli azzurri Rheba osservò Kirtn che s’affacendava a preparare le piccole pire funebri, e intanto assorbì energia finché bagliori fluidi le guizzarono dalle dita. Con un sforzo ne controllò il flusso, preparandosi ad usarla.

Dieci minuti più tardi il Bre’n tornò accanto a lei, le si piazzò alle spalle e le sfiorò le braccia, scivolando con le mani lungo le Linee di Potenza fino all’estremità superiore degli omeri, poi premette le sue dita forti e sensibili sui centri neuromuscolari dove esse s’intrecciavano. A quel contatto Rheba si rilassò di colpo e il suo sguardo divenne vacuo. Era cosciente, ma fu in uno stato simile alla trance che permise alle mani di Kirtn di manovrarla come una macchina vivente.

Senza preavviso le pire esplosero di fiamme bianche, più simili a emanazioni di plasma nucleare che al fuoco. La ragazza parve non vederle neppure: tutto ciò di cui era consapevole era il vento dell’energia che le scorreva nel corpo, una luce che le offuscava la vista, e il flusso che da lei si dirigeva sui cadaveri e sulla legna.

Come tutte le Danzatrici del Fuoco odiava il solo pensiero di vedere bruciare la carne umana, e vagamente fu lieta che i suoi occhi fossero abbacinati, mentre Kirtn la guidava. Le fiamme distrussero i cadaveri senza produrre fumo né odore, in pochi secondi, lasciando infine soltanto chiazze di cenere bianca. La donna J/taal, che s’era inginocchiata coprendosi il volto con le mani, recitò una preghiera, e Fssa la tradusse automaticamente in universale con voce pacata e triste.

Al termine del breve rito funebre Kirtn e Rheba stavano tornando verso il pozzo, quando nella foschia risuonarono degli strani latrati dal tono metallico. Poi la vegetazione si aprì e ne sbucarono impetuosamente tre quadrupedi massicci, con lunghe gambe e un manto screziato, più simili a canidi che ad animali della classe dei rettili quali probabilmente erano. Avanzandola lunghi balzi si lanciarono verso la ragazza e il Bre’n, che imprecarono spaventati. Ma all’istante la donna J/taal emise un altro ululato perentorio, gesticolando freneticamente. Gli animali si arrestarono di colpo.

«State fermi», ordinò Fssa. «Va tutto bene, ma non muovetevi

I clepts si accostarono a Rheba ed a Kirtn, li sfiorarono col naso e con la lingua senza nessuna cordialità ma docilmente. I due ebbero la precisa impressione che stessero ubbidendo a un comando della loro padrona, sottoponendoli a una sorta di esame chimico che doveva essere il loro modo di far conoscenza. Quando poi la donna ordinò qualcosa in tono secco, gli animali si disposero a qualche metro di distanza, tenendo i due esseri umani come al centro di un triangolo protettivo.

«Sembra che oggi avremo chi si occupa della nostra incolumità», commentò Kirtn, non troppo entusiasta della solerte attenzione di cui i cani-rettili li facevano oggetto.