Rheba sbadigliò. «Io non me ne preoccupo. Devo assolutamente dormire. Sono sfinita».
Lo era davvero. Senza dir altro si distese sul suo materassino d’erba, e da lì a poco era di nuovo immersa nel profondo sonno tipico degli Akhenet. Kirtn sedette accanto a lei con un sospiro, girò uno sguardo perplesso sui tre silenziosi clepts, poi si piegò a osservare il volto della giovane Senyasi. Le sfiorò la fronte e le labbra, saggiando la sua temperatura corporea, quindi annuì fra sé e si rilassò.
Il Bre’n non si mosse dal giaciglio per molto tempo. Ogni tanto appoggiava le dita sul collo di lei per sentirne le pulsazioni, paragonando la loro frequenza con le sue. Sul volto non gli si leggeva la minima impazienza, soltanto una costante attenzione alle condizioni fisiche della ragazza. Da quando erano atterrati sul pianeta Onan, Rheba s’era stancata molto, ed egli sapeva bene che un’Akhenet esausta poteva dormire anche per quattro o cinque giorni di fila.
Capitolo 10
LA PIETRA DELL’ARCOBALENO
Rheba restò immersa in un sonno agitato per un giorno intero, e quando si risvegliò era in. preda a un mal di capo che la fece mugolare a denti stretti. Alzatasi a sedere, cominciò a grattarsi le braccia quasi furiosamente. Sotto la sua pelle le Linee di Potenza erano un intreccio filiforme, che i tessuti stentavano ad accogliere nel loro prolungarsi. Trasse alcuni profondi respiri e il dolore alle tempie si placò.
«Come stai, piccola?» Kirtn era ancora al suo fianco.
«Mi scoppia la testa. Ho dormito troppo». Sbadigliò rumorosamente e si sfregò gli occhi.
«Anch’io, ho come un martello nel cranio».
«È successo niente di nuovo?»
«Niente di particolare. La J/taal non sta bene, ma credo che siano le conseguenze dei colpi che ha preso, e che abbia solo bisogno di riposo». Il Bre’n si massaggiò la nuca con una smorfia di sofferenza.
«Mi sento a pezzi».
Rheba gli mormorò qualche parola di conforto e si guardò intorno, scoprendo che quel movimento bastava a farle dolere i bulbi oculari. I clepts erano sempre di guardia ai vertici d’un triangolo di cui loro erano il centro. La donna J/taal sembrava addormentata, e Fssa non si vedeva da nessuna parte.
«Dov’è finito il nostro magico serpentello?»
«Laggiù, sul più vicino dei due circoli azzurri».
Lei seguì con gli occhi la direzione del suo dito, ma non riuscì a scorgere che cespugli e sassi. Poi si rese conto che Kirtn indicava una specie di grosso fungo, e capì che quella era la nuova forma fisica della strana creatura.
«Ma che diavolo sta facendo? È l’aspetto che assume per dormire? O si sente male?»
«Sta meglio di te e di me», borbottò lui. «E non credo che possa ammalarsi, né che abbia l’abitudine di dormire, se è per questo».
Mentre i due lo fissavano, il serpente mutò ancora sembianze facendosi spuntare delle penne da uccello. Rheba chiuse gli occhi con forza e si premette le mani sulle tempie, sforzandosi di scacciare il dolore, poi sospirò scoraggiata. Giusto allora la donna J/taal si destò, si contorse un poco e poi espresse la sua opinione sulla vita che le era toccata in sorte con un mugolio simile al suo. Rheba avrebbe voluto chiederle come stava, se non altro per cortesia, ma senza il serpente la conversazione era impossibile.
«Fssa!», chiamò allora. «Ehi, puoi venire qui un momento?»
Lo Fssireeme le rispose con un fischio svogliato, ma non si prese la briga di muoversi né di rinunciare al suo aspetto fungiforme.
«Ho bisogno di te. La J/taal si è svegliata, e …» Si prese il collo fra le mani e ansimò. «Per l’Ultima Fiamma … la mia testa mi sta uccidendo!»
Kirtn la guardò preoccupato ma non disse nulla. Si appoggiò indietro sui gomiti e cercò di non sentire i lamenti di lei e quelli della donna J/taal, finché il contatto di Fssa che arrivava strisciando non lo fece sussultare.
Rheba accarezzò il serpente. «Mio bell’amico, chiedi agli J/taals se hanno bisogno di qualcosa, sii gentile».
Dopo che Fssa ebbe tradotto, la donna dalla pelliccia nera si mise in ginocchio, allargò le mani a palmi aperti in avanti e chiuse gli occhi. In quella posa bizzarra disse: «Ti ringrazio, J/taaleri. Appena i compagni saranno svegli, completeremo il tkleet».
«Cos’è il tkleet?», chiese lei al serpente.
«Il rituale del contratto», rispose lui.
«E di cosa si tratta?»
«Non ne ho idea. Io sono soltanto un traduttore».
La ragazza si chiese perché mai il mal di capo fosse cessato così bruscamente. Annuì, distratta. «Già. E sei fin troppo bravo, a volte».
«Ma sono anche bello?»
«Certo, bellissimo». Gli sfiorò le scagliette dorsali con un dito. «Ma ora spiegami cos’è il tkleet, per favore».
«È una cosa che non so proprio».
«Tu cerca di scoprirlo, allora».
Fssa parlò con la J/taal, quindi riferì: «È una cerimonia e nulla più. Lei e i suoi compagni si presenteranno a te, e tu potrai dar loro un nome».
«E perché? Non hanno già ciascuno il suo?»
Fssa parve spazientito. «Sì, ma sembra che a molti J/taaleri piaccia dare il nome al gruppo di mercenari da loro assoldato. Non sei obbligata, se non vuoi».
«Be’, informala che a questa faccenda del tkleet penseremo poi, quando gli altri J/taals saranno guariti».
Il serpente eseguì la traduzione, domandò a Rheba se avesse ancora bisogno dei suoi servizi e le chiese il permesso di tornare dove stava prima. Una volta che fu presso i circoli del confine riassunse le fattezze di un fungo e s’immobilizzò. La ragazza lo osservò perplessa per qualche momento, poi si alzò e andò al pozzo.
Poco dopo, mentre portava acqua ai feriti insieme a Kirtn e alla J/taal, tutti e tre tornarono ad accusare un fortissimo mal di testa. Non c’era altro da fare se non sopportare il dolore, peggiorato stavolta da fitte alle articolazioni, perché i malati dovevano essere assistiti comunque. La ragazza notò che sembravano guarire con insolita rapidità.
Le loro ferite e bruciature si stavano rimarginando a vista d’occhio, e probabilmente lo stesso accadeva alle lesioni interne.
Kirtn non poté mascherare il suo stupore. «Di questo passo, scommetto che saranno in piedi prima del tramonto».
«Di questo passo sarò io a non arrivare al tramonto», ritorse la frase lei.
«Prova a bagnarti le tempie».
D’un tratto il mal di capo che tormentava Rheba cessò, ma dieci secondi dopo tornò così repentino e violento che ella non trattenne un gemito. Con sua sorpresa però anche Kirtn e la J/taal emisero lamenti, ed i clepts uggiolarono all’unisono. Sedette accanto al Bre’n finché, cinque minuti più tardi, il dolore si placò di colpo, e pur sollevata cominciò ad aver paura.
«Ma che ci sta succedendo?», mormorò.
«Non lo so». Kirtn la strinse a sé. «So solo che accusiamo dolore tutti nello stesso tempo, e questo non è naturale».
«Che sia una tortura dei Loo? Eppure a sentir loro qui dentro non dovevamo temere niente».
«Forse Fssa ne sa qualcosa. Lui è qui da parecchio».
Kirtn fischiò un richiamo al serpente, che si decise a rispondergli solo dopo un po’ e con evidente riluttanza. Qualunque cosa stessa facendo, era chiaro che non gli andava d’essere disturbato.
«Lascia che faccia ciò che vuole», sospirò Rheba.
Nel vederla sofferente il Bre’n alzò la voce. «Ehi, serpente! Qui sta succedendo qualcosa. Non hai mai sentito dire se i Loos si divertono a torturare gli schiavi con qualche forma di radiazione?»
Fssa tornò alla sua forma di rettile e s’affrettò a strisciare fino a loro. «Tortura? Vuoi dire che state soffrendo?»
«Da cani», gemette Rheba. «Il dolore viene e va. Mi sento scoppiare la testa, e tutti abbiamo sintomi identici nel medesimo tempo».