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Fssa prese a cambiare aspetto ripetutamente, come se stesse passando in rassegna tutte le possibili metamorfosi di cui era capace il suo corpo. Alla fine riferì: «Se in questo momento c’è qualche tipo di radiazione puntato su di noi, non riesco ad avvertirla. Può essere che l’abbiano interrotta».

«Dai sintomi che avverto, può darsi», ammise Kirtn. «Dove vai?»

«Ho da fare», fischiò il serpente.

«Resta qui e stai in ascolto», ordinò Kirtn, e vedendo che Fssa si mostrava riluttante a ubbidire scattò: «La Danzatrice del Fuoco soffre, maledizione. Fai come ti dico».

«Mi spiace per lei», rispose l’altro. «Ma anch’esso soffre».

«Esso? Di chi stai parlando?»

«Il sasso».

Kirtn si guardò attorno, senza capire. «Quale sasso?»

Con una mossetta del capo Fssa indicò il pezzo di roccia con cui i bambini Gelleani avevano giocato. «Quello là».

Rheba si rialzò a sedere, appoggiandosi a una spalle del compagno. «Vuoi dire che è una creatura del Primo Popolo?»

Fssa esitò. «Potrebbe esserlo, ma …» Di colpo tornò a tramutarsi in fungo scaglioso. «Non sente come uno di loro. Però vive e soffre. Ricevo da lui dei frammenti d’immagini e di sensazioni, colori e forme». Si volse a Rheba. «Tu puoi aiutarlo, Danzatrice del Fuoco? Ti prego … non è un bambino, tuttavia è vivo».

La ragazza faticava a pensare. Si strinse ancora la testa fra le mani e sospirò: «Se insisti, vai pure. Anzi, preferisco che Kirtn vada a recuperare quel dannato sasso e lo porti qui, così vedremo meglio quel che si può fare. Dì alla J/taal che mandi i clepts a scortarlo».

Fssa aveva evidentemente assimilato anche la lingua dei cani da guerra, perché si rivolse direttamente a loro con un paio di strani ululati. Quando Kirtn si mosse verso i limiti della zona franca, i clepts lo scortarono vigili e ubbidienti. Subito uscirono dai cespugli tre individui dall’aria minacciosa, ma non fecero neppure in tempo a palesare le loro intenzioni che i cani da guerra scattarono come fulmini e li aggredirono a zanne scoperte. Uno degli schiavi cadde a terra gridando, e venne sgozzato. Il secondo fu morso ferocemente alle gambe. Il terzo fece dietro front e si tuffò nella vegetazione, riuscendo ad allontanarsi. Kirtn notò che i clepts non lo inseguivano, e che anche il ferito veniva lasciato strisciar via. Era evidente che avevano avuto ordine di attaccare solo chi persisteva nel mostrarsi aggressivo. I tre animali si rimisero in formazione attorno a lui, scrutando la boscaglia con occhi oblunghi e argentati, inespressivi. Le loro bocche colavano ancora sangue umano. Nessuno lo disturbò, mentre andava a raccogliere il misterioso sasso cristallino.

«Lieto di avervi accanto», borbottò il Bre’n. «Ma non vorrei avere sulla coscienza altri cadaveri, se possibile». Tornando indietro rigirò la roccia fra le mani. «Vivo o no, amico sasso, sei sporco in modo vergognoso».

Dove non era incrostato di fango, l’oggetto rivelava sfaccettature cristalline che sembravano levigate artificialmente. Incuriosito Kirtn andò al pozzo e lo lavò, ed il risultato li sorprese, perché pulita e scrostata la pietra rifletteva tutti i colori dell’iride.

Rheba ne fu affascinata. «È stupenda. Sembra che nel suo interno sia intrecciato un arcobaleno».

«E probabilmente è inutile quanto un arcobaleno», fischiò il serpente in tòno stridulo.

«È stata tua l’idea di aiutarla», si stupì Kirtn. «Adesso ti è diventata antipatica?»

«Non è bella come un arcobaleno», insisté cocciuto Fssa.

Kirtn ridacchiò. «Ehi! Il nostro amico è geloso».

«Geloso, io?», protestò il rettile, indignato. «Figuriamoci se sono geloso di una pietra!»

Fssa strisciò verso Rheba, le salì in grembo e le si arrotolò a un avambraccio. La ragazza lo accarezzò. «Sei molto bello anche tu».

«Questa è la terza volta che me lo dici oggi», osservò il serpente. «Il nostro accordo lo prevedeva solo per due volte al giorno».

«Tu sei più bello di due volte al giorno», lo complimentò Rheba, facendolo quasi contorcere dal piacere. «Però … sei geloso, vero?»

«Non è facile essere belli. Io faccio del mio meglio, e mi costa fatica», fu la risposta, in tono petulante.

«Ma non puoi pretendere di avere l’esclusiva della bellezza. E Arcobaleno non è brutto». Rheba sorrise, inventando lì per lì un nome per il minerale vivente.

«Avrei lasciato stare quel … quell’Arcobaleno, se avessi saputo che era tanto bello per te. E poi forse non è neppure intelligente. Comunicare con lui è difficile».

Fssa si avvicinò al sasso, tornò di colpo alla forma fungoidale, e prese a fremere lievemente. Pochi istanti più tardi Rheba mandò un grido di dolore e si portò le mani alle terapie, stordita dalla fitta che le aveva attraversato il cranio come un ago rovente.

«Fermati!» gridò. Afferrò il serpente e lo scosse con forza, ansimando. «Fermati … basta!»

D’un tratto la sua sofferenza ebbe termine ed ella si accasciò al suolo tremando. Anche Kirtn stentava a mantenere l’autocontrolo, e digrignava i denti.

«Che vi succede?» chiese Fssa. «Io non stavo … Non capisco. Vi sentite male?»

Il Bre’n controllò le condizioni di Rheba, poi gli rivolse una smorfia. «Qualunque cosa tu stessi facendo col tuo amico Arcobaleno, ci hai provocato un forte dolore alla testa».

«Io?», si meravigliò il serpente. «Ma tutto ciò che ho fatto è stato di porgli una domanda, e poi mi sono messo in ascolto. Certo che se … Dopotutto trasmette su frequenze complesse, a più livelli e con molte risonanze. Mi chiedo se …»

L’aspetto di Fssa mutò, facendosi più basso e appiattito, e sulla sua superficie corporea si rincorsero rapide vibrazioni. Pochi momenti dopo, in corrispondenza della risposta di Arcobaleno, Rheba gemette. Il fungo ebbe un fruscio di scaglie, trasformandosi ancora in serpente.

«Mi spiace, ma dovevo esserne sicuro», riferì Fssa. «Arcobaleno è vivo. Non credo che appartenga al Primo Popolo, però non potrò esservi più preciso finché non avrò decifrato la sua lingua. Sarà una cosa breve, ora che sono sintonizzato con lui».

«Nossignore!», esclamò Rheba. «Non m’importerebbe neanche se fosse il Dio di Cristallo del Primo Popolo. Tutte le volte che parla con te ci fa scoppiare il cranio. Digli di starsene zitto, altrimenti io … Oh, cielo! Sta ricominciando!» Strinse i denti, con un mugolio. «E pensare che l’ho definito stupendo. Fallo smettere, ti dico. Fallo tacere!»

Pian piano la sofferenza che l’aveva invasa si placò. A pugni stretti fissò con odio la strana roccia. In ogni sfaccettatura cristallina brillavano luci vivide, e nel suo interno cento colori diversi giocavano fra loro. Era una gemma limpida e senza difetti, bella da togliere il fiato e degna di ornare il trono di un imperatore.

Rheba emise un borbottio di disgusto, desiderando di non avervi mai posato gli occhi sopra.

Capitolo 11

YO KERRATON DAPSL

«Cerchiamo d’esser pratici», disse Rheba a Kirtn ed ai mercenari J/taals. «Avete avuto parecchi giorni per pensarci sopra. Adesso sentiamo: come possiamo andarcene da qui?»

Fssa diede alla traduzione delle sue parole un eco melodioso, residuo delle strane frequenze sonore che aveva imparato da Arcobaleno. Era il primo giorno che la ragazza si sentiva in grado di mettere l’uno dietro l’altro due pensieri che avessero un senso, ed ora che stava meglio il problema di come lasciare il Recinto l’assillava. Il serpente s’era sistemato fra i suoi capelli, posto che ormai gli riusciva gradito più di ogni altro, e non metteva fuori la testa neppure per parlare.

Alla domanda di lei gli J/taals si volsero verso la compagna che per le sue mansioni chiamavano M/Dere, ovvero la Stratega, la donna dalla pelliccia nera che aveva accettato il contratto con Rheba a nome del gruppo. Il riposo era valso a farli guarire tutti e cinque, ma quelli che avevano sofferto di strappi muscolari erano ancora costretti a sottoporsi a massaggi quotidiani, oltreché a singolari esercizi ginnici di notevole complessità.