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Sbuffando prese a grattarsi le braccia, dove le Linee di Potenza di più recente formazione le prudevano forte. Per dedicarsi a quel compito smise di manovrare l’energia, e si chiese se non stesse lavorando troppo. Il prurito era anche un sintomo di stanchezza, e su Deva quando una Danzatrice del Fuoco era stanca, c’era stato l’uso di dirle di grattarsi e basta, perché lavorare in condizioni di stress era pericoloso.

«E uno — e due — e tre … No, no, no! Più leggeri, voialtri bastardi kaza-flatch che non siete altro! Volare, ho detto!»

Le invettive di Dapsl erano ormai come un ronzio di mosche per le orecchie di Rheba. Fletté le dita. Frecce di fiamma saettarono nella gabbia splendente, ed a questo punto Kirtn avrebbe dovuto mandare terribili ruggiti, ai quali lei si proponeva di conferire un aspetto visivo tramite efficaci vibrazioni d’energia. Qui c’era anche la parte di Fssa, cui spettava la creazione di un sottofondo sonoro, ma il serpente era impegnato a tradurre — o a non tradurre — quel che si dicevano Dapsl e gli J/taals.

Sospirò, e lasciò, svanire la gabbia. Poi cominciò a costruire forme colorate d’aspetto umanoide, che imitavano i movimenti degli J/taals. Da un lato fece apparire una piccola creatura purpùrea, che apriva e chiudeva la bocca seguendo il parlare di Dapsl. Quindi scoprì che riusciva a fargli una caricatura ridicola, con le gambe storte, una testa oscillante da idiota, trecce che svolazzavano in alto e un gesticolare farneticante. Le impresse dei movimenti meccanici, e se ne distrasse per costruire un serpentello d’argento che si rimirava con mosse vezzose in uno specchio dorato.

Un’esclamazione stupefatta provenne da Kirtn, alle sue spalle: «Ehi! … Non sapevo che tu fossi capace di fare queste cose».

Rheba gli diede un’occhiata timida, stringendosi nelle spalle con un sorrisetto. Si passò le mani fra i capelli, scaricandola dell’energia elettrostatica che li faceva svolazzare.

«Non ho più visto numeri di varietà di questo genere, da quando abbiamo lasciato Deva. Credo di non essere troppo abile», disse, quasi per scusarsi. «A un Maestro Danzatore bastava poco per fare cose molto più belle e divertenti. Non ho ancora dimenticato quanto risi una sera d’estate, al giardino pubblico, quando vidi …» Tacque, mentre i suoi occhi sembravano perdersi in quel silenzio, e in essi Kirtn poté leggere ricordi che appartenevano anche a lui. Le figure create dalla ragazza svanirono pian piano.

«Un giardino pubblico su Deva … i bambini che giocavano!»

Rheba abbassò il capo e si guardò le mani irretite dal disegno dorato, senza vederle. La sua voce suonava lontana e debole: «So che non riuscirò mai a togliermeli dagli occhi: la gente, i miei amici, quelli fra cui ci sarebbe stato il mio compagno e amante … il padre dei bambini che non ho mai avuto e che forse non avrò più. Tutti loro, e i loro sguardi pieni di terrore rivolti al sole che esplodeva …» Barcollò verso Kirtn rifugiandosi nelle sue braccia. «Dobbiamo uscire da qui. Voglio trovare il bambino Senyasi e la donna Bre’n! Noi siamo Akhenet. Noi non possiamo vivere senza bambini», ansimò, guardandolo con occhi che avevano visto troppe fiamme.

Lui la strinse, cercando di consolarla come meglio poteva, e dentro di sé maledisse quel bisogno di avere bambini che era stato installato nei Bre’n e nei Senyasi. C’era una necessità fisica che li spingeva inesorabilmente verso un compagno della stessa razza, anche quando l’affetto fra due compagni di razza diversa era fortissimo come nel loro caso. Era un fatto genetico, anche se si usava dire che l’eredità genetica dei Danzatori fosse in parte Bre’n e in parte Senyasi, perché nel lontano passato fra le due razze erano nati molti ibridi.

Kirtn avrebbe desiderato dividere con la giovane Danzatrice del Fuoco ciò che sapeva della loro storia, metterla a parte di quel passato che era rappresentato nelle cellule del suo corpo … ma lei era troppo giovane. Non aveva ancora scoperto da sola con quale profondità le razze Bre’n e Senyasi si compenetrassero. Sebbene la sua maturazione fosse stata accelerata e forzata dopo la distruzione di Deva, non aveva mai mostrato per lui gli istinti tipici della femmina verso il maschio. Nessun trasporto sensuale, salvo quelli ingenui e superficiali caratteristici di una Senyasi giovane. Molto facilmente neppure in futuro lo avrebbe considerato un possibile amante. Non tutte le coppie di Akhenet univano l’affinità fisica a quella mentale. E tuttavia, di quelle che non sviluppavano questo tipo di attrazione fino all’unione più completa, era destino che molte non sopravvivessero. I Bre’n in preda al rez erano una forza distruttiva cieca e priva di ragione.

Mettendo da parte i pensieri spiacevoli, Kirtn fischiò dolcemente per richiamare la ragazza fuori dalle tenebre del malumore in cui anch’ella era precipitata. Rheba gli rispose modulando una nota armonica dello stesso genere. Fssa, che le si stava arrampicando su per una gamba, mandò suoni flautati simili al ritornello di una canzone. Gradualmente la tensione abbandonò il corpo della ragazza, che si rilassò fra le braccia del Bre’n e aderì a lui con candido languore, sfiorandogli il collo con la fronte. Kirtn immerse il volto nei suoi capelli soffici e vaporosi, aspirandone il profumo lieve.

In quell’atteggiamento, sebbene Rheba non se ne rendesse conto, le ciocche dei suoi capelli si mossero come animate di vita pròpria, e carezzarono il volto di lui sull’alito degli invisibili fremiti d’energia che le Danzatrici Senyasi mettevano in moto solo per i loro amanti. La ragazza non era in grado di riconoscere la sua reazione per quel che significava. Nessuno, se non lo stesso Kirtn, avrebbe saputo erudirla in merito. E lui non poteva.

«Se avete finito di sprecare il tempo», sbottò Dapsl, seccato, «ho bisogno di quel rettile balordo. Gli J/taals fanno finta di non capire neanche i più semplici ordini, quando non gli vengono tradotti. Dannati kaza-flatch idioti!»

Rheba sentì fremere i muscoli di Kirtn, e per un istante fu tentata di dirgli che all’ometto avrebbe fatto bene una razione di sberle. Ma incitare un Bre’n alla violenza era cosa dagli sviluppi solitamente imprevedibili. Lasciò che dal suo corpo a quello di lui fluissero deboli impulsi elettrici, un trucco che aveva imparato per fargli rilassare la muscolatura, e nell’accorgersene il compagno le dedicò un sorrisetto ironico.

La ragazza accarezzò il dorso del serpentello, senza nessuna fretta. Fssa aveva assunto una colorazione molto scura, che come lei sapeva indicava tanto la necessità di non disperdere calore corporeo quanto uno stato psichico di sconforto.

Irritato dalla noncuranza di lei, Dapsl allungò una mano ad afferrare il serpente, ma Kirtn lo scostò cn una spintarella e l’altro vacillò indietro, imprecando imbestialito.

«Non sei molto educato con Fssa», gli fece osservare il Bre’n.

«Se desideri i suoi servizi, devi chiederglielo per favore». «E va bene: per favore», sospirò rabbiosamente Dapsl. «E adesso digli che è bello».

«Bello, quel coso lì? Che vada in malora. Ho visto vermi di palude molto più attraenti».

Ma il volto dell’ometto si fece pallido, quando una mano di Kirtn gli afferrò una spalla come in una morsa di ferro. «Digli che è bello», si sentì ripetere.

«Ma sì, è bellissimo, è amabile, è perfetto … Lasciami!» Dapsl si contorse con una serie di smorfie finché non riuscì a liberarsi. Poi lo fissò con odio. «Fra voi animali ve la intendete bene, vero? Un Peloso che fa la balia a un rettile … Che schifo!»

Rheba si volse a fronteggiarlo e, prima che potesse impedirselo dalle dita le scaturirono dieci sottili lingue di fiamma. Il piccolo schiavo saltellò freneticamente da una parte e dall’altra per evitarla, mandando strida rauche quando ne veniva sfiorato.

«Il nostro patto … ricorda il nostro patto!», la supplicò. «Smettila!»