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«Danzatrice del Fuoco!» La voce del Bre’n suonò secca come uno schiaffo.

Rheba abbassò le braccia, controllandosi con un sospiro. Riflessi fluidi d’energia le lampeggiavano dai polsi alle spalle, e le sue mani splendevano come irretite d’oro.

«Se tu non fossi una kaza-flatch così stupida», strillò lo schiavo con una acuta, «e se ti accontentassi di fare un numero erotico col tuo amico Peloso, invece di mettere insieme il più dannato gruppo di kaza-flatch mai visti, il Loo-chim non vi avrebbe certo separati mai. Non si separano i membri di un’Azione buona per la Concatenazione. Invece con questa banda di saltinbanchi …»

Qualunque cosa Dapsl fosse sul punto di dire, dovette interrompersi per evitare un ceffone di Kirtn che l’avesse preso l’avrebbe sbattuto via come un fuscello. Borbottando e ringhiando tornò fra gli J/taals. Dopo un momento anche Fssa lo seguì, scivolando sul terreno polveroso con veloci serpentine.

«Se lo avessi arrostito», disse Rheba, «credi che i clepts lo avrebbero mangiato?»

«Difficile. Non sono mangiatori di carogne».

«Neppure se gli avessi bruciato quelle trecce unte d’olio?»

«Dubito che qualcuno lo troverebbe piacevole anche senza trecce».

«Dannato bastardo». La ragazza si grattò distrattamente le braccia. Quel giorno i gomiti le prudevano in modo particolare. Le sarebbe piaciuto avere un po’ dell’unguento adatto, ma era rimasto a bordo del Devalon con tutte le loro cose.

«Esercizio numero quattro!», berciò Dapsl con l’eco della traduzione di Fssa. «Avanti, scansafatiche: e uno — e due — e tre …»

Rheba scrollò le spalle. «È un soldo di cacio piccolo e brutto, ma devo dire che sa quello che vuole. La nostra Azione sarebbe un caos senza di lui».

Una mano di Kirtn le scivolò dietro il collo, e le massaggiò la nuca finché lei non sorrise per il piacere. «Quando saremo fuori di qui ci libereremo di lui, appena possibile».

Rheba rovesciò indietro la testa contro la sua mano, gli si strinse addosso ed emise un mugolio. Kirtn ridacchiò, ma poi dovette scostarsi per evitare che i suoi sensi rispondessero all’innocente sensualità di lei.

«Al lavoro, Akhenet. E questa volta guarda di fare la gabbia larga abbastanza per non ustionarmi».

Lei sbuffò. «Al diavolo! Quanto ci vorrà prima che questi compratori di schiavi si decidano a venire?»

«Se Dapsl dice il vero, tre giorni ancora».

«Non ho voglia di lavorare». La ragazza lo abbracciò languidamente. «Grattami dietro la schiena, ti prego».

Kirtn le passò le mani intorno alle spalle, frizionandole l’epidermide attraverso la stoffa sottile del vestito. Le scostò il colletto e si accorse che alcune Linee di Potenza le si erano prolungate sui deltoidi fino al collo. Mentre gliele massaggiava, Rheba rispose a quel contatto aderendo a lui ancor di più e con forza.

«Bruci troppo, piccola Danzatrice», mormorò il Bre’n. «Ed è ancora presto per te».

Per un momento la ragazza rifiutò di dare ascolto alla sua esortazione. Lo strinse quasi con ansia, ed egli sentì le barriere della disciplina vacillare in lei come un frangiflutti aggredito dalle ondate dell’istinto. Chiuse gli occhi, lasciando che le emozioni di lei lo avvolgessero senza travolgerlo. Poi le premette le dita sulle spalle, facendo scorrere nelle sue Linee di Potenza un impulso mentale fatto di calma allo stato puro. All’istante il suo effetto costrinse Rheba a rilassarsi.

Lei alzò il viso stupita. «Non sapevo che tu fossi in grado di fare questo», mormorò. «Grazie, Mentore».

«Non l’ho fatto io soltanto, lo abbiamo fatto in due. Tu stai crescendo molto rapidamente, piccola Danzatrice». L’espressione di Kirtn era in bilico fra la speranza e la paura. «Comunque, trasmettere impulsi di forza mentale è appena una delle tante cose che i Bre’n fanno per i Senyasi, e non certo la più importante».

«Ma come ci sei riuscito?»

Lui esitò, chiedendosi se non fosse troppo presto per dirle la verità su quegli scambi d’energia psichica. Decise di rivelargliene solo una parte, e non la parte più significativa. «Ho usato un canale».

«Un canale?»

«Uno sbocco per le emozioni. Energia Bre’n».

«Come nel rez?», sussurrò lei con un tremito.

«No. Non correrei questo rischio con te».

Rheba non rispose. Entrambi sapevano che il rez era un riflesso automatico, non una scelta consapevole. Comunque Kirtn era un Bre’n, e avrebbe fatto ciò che doveva fare un Bre’n. Lei era una Senyasi, e lo avrebbe accettato. Si sforzò di sorridere.

«Bene. Adesso mettiti lì accanto a quel cespuglio, e io cercherò di inventare una gabbia dove tu possa stare comodo. D’accordo?»

Capitolo 13

ADDOMESTICATI

Rheba si svegliò con un mal di testa così forte che avrebbe voluto piangere. In alto il cielo era ancora una distesa grigia velata a oriente, dove il sole stava per sorgere. Rabbrividì, si strinse alla meglio il vestito intorno alle membra e si addossò alla schiena di Kirtn, il quale non si destò ma la cinse automaticamente con un braccio. Faceva freddo, e quella era la cosa che dal suo arrivo su Loo l’aveva disturbata più di ogni altra. Svegliarsi intirizzita era una sensazione odiosa.

Il dolore alla testa s’intensificò, per qualche minuto tornò a scemare pian piano, e poi si fece più forte di prima. Sentendola agitarsi, il Bre’n finì per aprire gli occhi, la fissò insonnolito ed emise un brontolio. Dalla smorfia che aveva dipinta sulla faccia, Rheba dedusse che anch’egli avvertiva gli stessi sintomi.

«Fssa!», ringhiò Kirtn. «Dov’è quel piccolo criminale? Scommetto che ha ricominciato a parlare con Arcobaleno».

Lei si guardò attorno, si frugò fra i capelli e mugolò: «Qui non c’è».

«Quando metterò le mani addosso a quello Fssireeme, gli darò io una nuova forma», sbuffò il Bre’n, tirandosi a sedere.

Sentendo il mal di capo svanire, Rheba si permise un respiro di sollievo. Pochi istanti dopo i due videro il serpente che strisciava verso di loro come una saetta argentea e dorata. Scintillava di mille barbagli ed era piacevole a vedersi … ora che aveva smesso di causare loro quella sofferenza.

Kirtn lo agguantò quasi brutalmente. «Apri bene le orecchie che non hai, rettile. Tu sai già quel che succede quando fai parlare Arcobaleno. Perché insisti a tormentarci?»

Sotto l’occhiata rovente dell’altro, Fssa divenne nero per l’imbarazzo. Tacque, penzolando dalla sua mano moscio come una corda bagnata.

«Che c’è di tanto irresistibile in quella maledetta pietra? Si può sapere?»

In tono lamentoso il serpente fischiò: «Lui è così vecchio, amico Kirtn … Più vecchio di chiunque altro. È nato molti millenni fa, prima che noi Fssreeme lasciassimo il nostro mondo lontano». Le sue scagliette divennero perlacee, poi s’irretirono di linee d’argento. «Sa più cose di quante io avrei mai creduto possibile. Lingue antiche, strani linguaggi tecnici dimenticati, ed altre che per me sono come potrebbe essere il fuoco per te. Conosce frammenti delle cose più disparate, da cui però non è possibile capire molto. Ciò che ho appreso da lui sono i sistemi di comunicazione, perché riesco a estrapolarli da pochi dati. Tutto il resto è un guazzabuglio d’informazioni, gli avanzi di una conoscenza confusa e spezzettata quanto antica».

Rheba si sentiva ora abbastanza rilassata da poter provare sentimenti come la curiosità. «Arcobaleno è del Primo Popolo? Quanto è vecchio?»

Fssa fischiò una negazione. «Non è del primo Popolo. La sua mente è dello stesso genere cristallino, ma è stata creata dall’uomo. Lui stesso lo ha ammesso, e non sa mentire».

«Creato?», si stupì Kirtn. «Quando, perché, e da chi?».

Sentendo la voce di lui farsi di nuovo amichevole, il serpente tornò a colori più chiari e brillanti. «Arcobaleno è stato creato dai …» Qui la sua voce si trasformò in un suono bizzarro impossibile da riprodurre per una bocca umana. «Be’, è un nome troppo difficile. Dandogli un suono accettabile, credo che voi li chiamareste Zaarain. Può andar bene come traduzione?»