Jal lo guardò in assoluto silenzio per un lunghissimo minuto, e con occhi tali che l’ometto emise un gemito di spavento.
«E sia», disse poi. «Ma se l’Azione non mi piacerà, piccolo Dapsl, tu non uscirai mai più dal Recinto».
Lo schiavo si volse a Rheba tremando come una foglia. «Ti scongiuro, togli quei clepts dallo spettacolo, e lascia perdere gli J/taals. Soltanto tu e il tuo Peloso: un’azione di danza kaza-flatch, con accompagnamento musicale … sì, la canzone Bre’n. Puoi tenere il serpente, se vuoi. Nessuno lo noterà, e io non …»
«No!», lo zittì lei, con voce tagliente.
Dapsl cercò ancora con lo sguardo l’appoggio di Jal, ma sul volto dell’uomo non comparve un barlume di comprensione.
Intanto i Signori avevano terminato di passare in rassegna gli schiavi. Sia che si fossero già accordati per suddividerseli, sia che ciascuno si fosse limitato a controllare quelli da lui catturati e spediti nel Recinto, nessuno aveva degnato della sua attenzione il gruppo messo insieme da Rheba e Kirtn. Sulla parte destra dell’arena circolare erano apparse delle poltroncine, e le altezzose coppie andarono gravemente a sedersi là. Dalle labbra di Rheba emerse un sospiro di preoccupazione, e il compagno cercò di consolarla sfiorandole un braccio; ma ambedue avevano timore che un capriccio di quegli imperscrutabili individui potesse separarli, o lasciarli a languire nel Recinto.
«I chim sono pronti ad esaminarci», disse Dapsl, più spaurito che mai. «Se i vostri gusti pervertiti e sciocchi mi costeranno la libertà, farò in modo che la paghiate amaramente, lo giuro!»
Rheba inarcò un sopracciglio. «Siamo forse stati noi a metterti nel Recinto? Non siamo responsabili della tua sorte. Anzi dovresti esserci grato, se ti facciamo partecipare alla nostra Azione».
«Siete responsabili, invece. Io sono qui per colpa vostra. Signore Jal mi ha mandato apposta per aiutarvi, ingrati kaza-flatch della malora», sbraitò lui. «Adesso, stupida cagna, guarda attentamente le Azioni. Non ci sarà nessuna vera competizione, ma guarda lo stesso e impara. Sei così ignorante che qualsiasi cosa gli altri facciano ti può servire da esempio».
Una mano di Kirtn gli si poggiò su una spalla. Il Bre’n non strinse le dita come avrebbe voluto fare, ma la sua voce suonò pericolosamente gentile: «Piccolo sgorbio, tu stai oltrepassando il segno».
La faccia di Dapsl divenne ancor più purpurea. Senza dir altro si scostò, quindi indicò loro l’arena circolare con un cenno del capo. Uno dei gruppetti, composto da tre schiavi, s’era portato davanti agli spettatori. Per alcuni istanti i Signori e le Signore confabularono scambiandosi commenti, quindi uno di essi li invitò a iniziare l’Azione con un gesto languido.
I tre schiavi erano umanoidi di pelle chiara, con lunghissimi capelli rossi che spuntavano come una criniera dalla linea mediana del cranio e scendevano fino ai fianchi. Malgrado i vestiti aderenti non era possibile capire se fossero maschi o femmine, e si assomigliavano in modo notevole. Appena uno di loro diede il «la», cominciarono a cantare in toni bassi e cupi. Formavano un trio di voci intonate e ben impostate, tuttavia la loro canzone era così lenta e monotona da risultare a dir poco insipida. Rheba intuì che si trattava di barbari, e che quello era probabilmente un canto rituale della loro tribù. Al primo ne seguirono altri due, non meno involuti e noiosi, e al termine dell’esibizione uno dei Chim schioccò le dita seccamente. Un altro Chim gli si accostò, e ci fu uno scambio di parole pronunciate sottovoce.
Sulla testa di Rheba, Fssa stava protendendo i suoi sensi acutissimi a captare la conversazione. Dopo qualche minuto, visto che i due Signori seguitavano a chiacchierare, la ragazza batté un dito su una spalla di Dapsl.
«Che sta succedendo?», chiese.
L’altro rispose senza muovere la bocca né voltarsi a guardarla, in un sussurro appena udibile. «Il Chim che ha catturato quel terzetto revoca la sua richiesta».
«Spiegati».
Dapsl sbuffò, impaziente. «Tutti gli schiavi del Recinto sono potenzialmente adatti alla Concatenazione. Il Chim ha però visto che quei tre non sono bravi come sperava. Ogni Chim può far richiesta di inserire tre Azioni nella Concatenazione».
«E non ci sono possibilità che il trio di cantanti venga scelto da qualcun altro?»
«Scherzi? Nessun Chim vorrebbe mai i rifiuti di un altro. I tre verranno acquistati come manovali, o come schiavi da letto, o per essere torturati, o per qualunque altro scopo piaccia al compratore. Anche separati possono essere buoni da kaza-flatch. Le possibilità dei loro capelli sono … interessanti».
Rheba non volle chiedersi quali fossero le possibilità «interessanti» di chiome simili, anche se non riusciva affatto ad immaginarsele. I due Chim avevano l’aria di contrattare un affare. Da lì a poco raggiunsero un accordo, e le guardie ebbero l’ordine di separare il terzetto: due vennero spinti al centro dell’arena, e al terzo venne fatto cenno di tornare verso il pozzo.
Dapprima i tre schiavi si guardarono intorno con occhi storditi, poi dovettero finalmente capire che la loro Azione non aveva avuto successo e che sarebbero stati venduti separatamente. Si rivolsero al Chim che li aveva catturati con un fiotto di parole stridule per l’ansia, in una lingua che neppure Fssa aveva mai udito, ma la loro evidente disperazione non commosse nessuno.
Dalla cupola d’energia che chiudeva il cielo scese un bagliore: due degli schiavi e una guardia ne furono sfiorati e scomparvero di colpo. Quando il terzo barbaro si fu accorto d’esser rimasto solo, mandò un gemito acuto e terribile. Nei suoi occhi lampeggiò la furia dell’animale selvaggio, e con un balzo si gettò addosso alle guardie più vicine. Ma non giunse mai a toccarle.
Dal sovrastante campo di forza prese forma una colonna d’energia rosata, che scese ad avvolgere il corpo dello schiavo e lo immobilizzò trasformandolo in una statua di carne. I suoi capelli si rizzarono come sterpi svolazzanti, le labbra gli si torsero scoprendo i denti in una smorfia di agonia, e lo spaventoso tremito delle sue membra rivelò a chi lo guardava che era in preda a una sofferenza disumana. Dalla bocca gli colò un rivoletto di sangue, e i suoi occhi si rovesciarono nelle orbite.
«Che stupido!», commentò Dapsl, osservando lo sventurato torcersi entro la colonna d’energia. «Gli era stato detto che nei due circoli azzurri è proibito attaccare chiunque, e adesso può vedere cosa accade a chi sgarra».
Kirtn strinse i pugni. «Vogliono ucciderlo?»
«No. Da morto non avrebbe più molto valore per loro».
Rheba fremeva, tentata di assorbire l’energia che stava tormentando il barbaro. Avrebbe potuto farlo e metter fine a quel supplizio, ma era certa che i Loo se ne sarebbero accorti e che questo avrebbe segnato forse anche la sua fine. Tuttavia lo spettacolo le ripugnava, e si chiese quanto avrebbe potuto resistere senza intervenire.
«Non temete, non lo ammazzeranno», continuò Dapsl. «Credo che non vogliano neppure ferirlo davvero, quel povero bastardo».
D’un tratto la colonna di forza rosata risalì alla cupola e ne fu assorbita, senza che si vedesse chi aveva effettuato quella manovra. Lo schiavo si abbatté al suolo come una marionetta dai fili spezzati, e le guardie interrogarono con uno sguardo il Chim che lo aveva catturato. Costui diede un ordine, e uno dei militi agguantò il barbaro tirandolo in piedi. Evidèntemente uno dei Signori aveva deciso di comprarlo, perché il campo di forza si abbassò di nuovo e i due vennero avvolti in un vortice che li trasportò altrove.
Le due guardie rimaste fecero avanzare nell’arena l’Azione successiva, mentre tutti gli altri schiavi assistevano muti e con aria spaurita. Rheba ricordava il momento del suo arrivo al pozzo, quando aveva meditato seriamente d’assalire i quattro individui che erano apparsi a riceverli. Fu lieta di non averci provato.