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Il percorso in discesa era curvilineo, sostenuto da pilastri, e il punto in cui era comparso lui si trovava una trentina di metri più in alto del livello stradale. Alla sua sinistra si stendeva la periferia di una vasta città, separata dal terreno del Recinto da un’alta cancellata metallica, e oltre quello sbarramento era visibile molta gente, sfaccendati e curiosi dall’aspetto talvolta strano e talaltra poco raccomandabile, che osservavano l’uscita degli schiavi dal Recinto.

Dietro le sue spalle vi furono gemiti di protesta e ansiti, mentre l’energia che i Loo. adoperavano con tanta poca delicatezza sbatteva sulla rampa anche gli altri membri dell’Azione. Aiutò Rheba a rialzarsi, e fu allora che una nota acuta e squillante lo fece voltare di scatto. Per l’emozione quasi gridò.

Il suono era un lungo fischio in lingua Bre’n, e proveniva da qualche parte al di là della cancellata. Era un richiamo diretto a lui personalmente, e in esso c’era anche un breve messaggio. Senza pensare a nient’altro corse lungo la discesa, cercando con gli occhi la persona che più in basso e mescolata agli sfaccendati aveva fischiato.

Una delle due guardie che erano comparse lì coi suoi compagni cercò di fermarlo, l’altra estrasse un’arma cilindrica e gliela puntò contro urlando un ordine che egli non udì neppure. Poi un terribile lampo di tenebra gli esplose nella mente.

Capitolo 16

I SOPRAVVISSUTI

Rheba tremava verga a verga. L’energia esplosa dall’arma della guardia s’era ramificata intorno alle membra di Kirtn, solidificandosi in una rete che lo aveva avvolto come in un bozzolo, e ora i due militi che l’avevano deposto sul pavimento dello stanzone la stavano tagliando via. Il corpo inerte del Bre’n e le figure in uniforme si confondevano nei suoi occhi colmi di lacrime. Se li asciugò, ma lo spavento le faceva piegare le gambe. Con un gemito scostò le guardie e s’inginocchiò accanto al compagno, cercando di sentirne le pulsazioni su un polso con dita che l’angoscia rendeva rigide e insensibili.

Gentilmente M/Dere tolse la mano di lei e tastò il polso al Bre’n con fare esperto. Fra i capelli di Rheba, Fssa aveva assunto un colore nera per l’apprensione, e i suoi occhietti rossi come rubini erano sbarrati sull’uomo disteso al suolo.

«Il cuore batte. È vivo», riferì la J/taal.

La ragazza dovette attendere la traduzione di Fssa, ma udì a stento quelle parole. Era così stordita che per non afflosciarsi dovette appoggiarsi a M/Dere, e le fu grata quando un suo braccio le cinse le spalle. Il luogo in cui si trovavano faceva parte della zona in cui venivano tenuti gli schiavi di maggior riguardo, quelli destinati a comparire nella Concatenazione, ed era un insieme di edifici ben sorvegliati.

Signore Jal entrò nel locale in cui erano stati condotti, ordinò alle due donne di allontanarsi dal corpo di Kirtn, e puntò su di lui un piccolo strumento per l’indagine bioscopica. Da una griglia uscirono ronzii e ticchettii, informazioni in un codice che Fssa non era in grado di tradurre. Con un borbottio l’uomo intascò l’oggetto, ma la sua espressione si fece tempestosa quando si rivolse alle due guardie.

«Le vostre Chim sono molto fortunate», disse. «C’è mancato poco che non passassero il resto della loro vita a piangere la morte di due idioti con una manciata di sterco al posto del cervello».

I militi impallidirono, segno chiaro che i Signori di Loo non scherzavano allorché parlavano della morte di qualcuno in seguito a un atto punitivo.

«Per quale motivo avete sparato a uno schiavo che vale più del vostro peso in oro? Voglio una spiegazione chiara e soddisfacente, o sarà peggio per voi».

«Ecco … lui stava scendendo giù dalla rampa senza permesso, mio Signore», balbettò uno di loro.

Jal gli dedicò un’attesa fatta di gelido silenzio, lasciandogli capire che, si aspettava una ragione supplementare e molto più valida.

«Questo è tutto, mio Signore», aggiunse l’uomo, innervosito. «Lo schiavo correva lungo la rampa».

Dalla bocca di Jal scaturì una sequela di parole nella lingua padronale, che Fssa smise di tradurre quasi subito per rispetto alle orecchie di Rheba. Quando l’individuo si fu sfogato e cambiò tono, il serpente riprese il suo lavoro:

«Pazzi! A chi avrebbe potuto nuocere uno schiavo disarmato, anche se avesse corso su e giù per quella rampa dieci giorni di fila? Sapete bene che qualche volta il transfer energetico stordisce gli schiavi di razza inferiore. Questo è il motivo per cui abbiamo fatto costruire la rampa e la cancellata. E lì non c’è alcun pericolo che uno schiavo impazzito ferisca qualcuno, eccetto sé stesso. Maledetti stupidi!»

Per qualche istante Jal fronteggiò le guardie a pugni stretti, come trattenendosi a stento dal colpirle, poi volse loro le spalle. Tornò a chinarsi su Kirtn, estrasse ancora il piccolo rivelatore e lo mosse intorno alla sua testa. La corona che il Bre’n portava scintillò con intensità improvvisa, come se Arcobaleno reagisse al passaggio dell’energia indotto dall’apparecchio, e Jal spalancò gli occhi stupito.

«Incredibile! Questa strana creatura è proprio viva», commentò. Ascoltò con attenzione il ticchettare della griglia e scosse il capo. «Le meraviglie della Confederazione non cessano di stupirmi. E scommetterei che quel furbacchione di Dapsl cercasse di guadagnare un po’ d’oro, contrabbandando fuori dal Recinto uno del Primo Popolo. Vero?»

«Io?», stridette la voce dello schiavo. «Io non oserei mai tentare d’ingannare voi, Signore». Dapsl si fece avanti. Sul lato sinistro della faccia, dove il pugno di Jal l’aveva colpito, gli s’era formato un grosso ematoma scuro. «Ve l’avevo detto che quell’affare lì è uno del Popolo di Pietra, non ricordate?»

L’altro ignorò il suo inchino e le sue parole. Con uno svolazzare d’indumenti preziosi si volse verso Rheba. «Il tuo amico Peloso riprenderà i sensi fra poco, ma il suo risveglio sarà molto doloroso. Cercate di farlo camminare. Deve muoversi, o starà ancora peggio».

Rheba gli rispose col gesto che su Loo indicava un assenso, al che Jal la fissò stupefatto: solo in quel momento l’uomo s’era reso conto di aver continuato a parlare il Loo-padronale, e che la ragazza lo aveva compreso perfettamente. I suoi occhi saettarono sulla testa di Fssa, che sporgeva appena dai capelli di lei, e sorrise inarcando un sopracciglio.

«Dunque Dapsl non mi ha mentito, parlandomi di questo strano serpente», disse in universale. «Quante lingue conosce?»

Rheba mentì senza esitare: «Parla un poco il Loo, e l’universale abbastanza bene. Dice di conoscere anche l’J/taal, e vedo che parla ai mercenari, ma non so chi gli abbia insegnato la lingua». Si strinse nelle spalle. «Me lo porto dietro perché è un esperto nel produrre rumori, e in un’Azione questo è utile. Ma non serve a nient’altro».

Detto ciò fischiò una breve frase di scusa a Fssa, augurandosi che Jal non sospettasse nulla. Finché non fossero stati uniti indissolubilmente secondo le regole della Concatenazione, qualsiasi Loo avrebbe potuto impadronirsi del serpentello a suo capriccio, e lei non voleva che il suo genio linguistico invogliasse quegli individui.

Signore Jal osservò Fssa con l’aria di non essersi bevuto affatto la menzogna di lei. Poi dovette forse riflettere che se il serpente aveva un valore ben difficilmente lo avrebbero abbandonato fin’allora nel Recinto, e che infine le sue capacità sonore erano indispensabili all’Azione. Borbottò qualcosa fra sé e tornò a rivolgersi a Dapsl.

«Da qui a due settimane inizierà l’anno nuovo. Sceglierò le mie tre Azioni un paio di giorni prima. Tu organizza questa basandoti sulla leggenda di Saffar e Hmel … e riga dritto, stavolta, o ti spedirò nella Fossa».