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L’altro allargò le braccia e roteò gli occhi. «Signore … che ne sarà della mia famiglia, se mi farete morire nella Fossa?», ansimò.

Jal esibì la solita indifferenza glaciale per il suo smarrimento. «Cos’altro può aspettarsi un tessitore fallito? Ringraziami se fino ad ora sono stato pietoso, invece».

«Ma … ma loro non mi rispettano, Signore!», strillò Dapsl. «Ridono di me, non ubbidiscono e mi disprezzano. Come posso mettere in piedi un’Azione con gente simile?»

«Anche il più stupido tessitore sa legare i fili l’uno all’altro, e la trama che tu devi tessere è già pronta», disse l’altro. «Comunque ti darò una sferza neuronica, da usare con gli J/taals e i clepts». Abbassò lo sguardo su Rheba, che s’era chinata sul volto di Kirtn e con le lacrime agli occhi gli accarezzava la fronte. «Però attento a non adoperarla con loro due. Preferisco che il Bre’n ti ammazzi, piuttosto che tu debba fargli assaggiare la sferza. Chiaro?»

«Ma Signore … quel bestione è un non-Addomesticato!»

Jal sorrise. «Finché potrà stare con la sua bionda Kaza-flatch, si comporterà come un Addomesticato. Tu bada a quello che fai, piccolo Dapsl. Se me lo rovini, mi dimostrerai che la tua vita è inutile e dannosa».

L’espressione dell’ometto rivelava che sapeva benissimo di cos’era capace Jal. Quando s’inchinò tremava tanto che per poco non cadde. L’altro lo gratificò di un’occhiata disgustata, poi andò alla porta a passi svelti e uscì.

Il risveglio di Kirtn fu penoso. Le sue membra scattarono, percorse da tremiti epilettici, e Rheba e M/Dere furono costrette ad afferrarlo e tenerlo fermo a forza perché non si facesse del male. Quando aprì gli occhi, spenti e arrossati, le due donne videro che il dolore lo attanagliava fino a sconvolgergli la mente. Ricordando le raccomandazioni di Jal lo massaggiarono per distendergli la muscolatura contratta, poi sostenendolo fra loro lo fecero camminare intorno alla stanza.

Ogni passo del robusto Bre’n era una tortura, e i suoi movimenti scoordinati rivelarono che aveva il sistema nervoso ancora fuori fase, ma dopo una mezz’ora, si riprese e il suo sguardo tornò lucido. Sudando copiosamente mormorò che il dolore era quasi scomparso. Poi strinse i denti, al ricordo di quel che era accaduto prima che la cortina di tenebra si chiudesse su di lui.

«Che ti succede?», chiese Rheba, vedendolo trasalire a quei pensieri. «Vuoi sdraiarti di nuovo?»

Kirtn le rispose in Senyas, per tener meglio sotto controllo l’emozione. «C’è una donna Bre’n in questa città. Quando ero sulla rampa mi ha chiamato».

Rheba si sentì pervadere da emozioni contrastanti. La notizia l’aveva eccitata, ma anche sconvolta e delusa, come se d’improvviso il possibile incontro con una Bre’n non le sembrasse più tanto desiderabile.

«Ne sei certo? … Sì, naturalmente lo sei. Nessuno potrebbe imitare il fischio di una Bre’n. E sta bene? È una Akhenet? E se lo è, con lei c’è l’altro Akhenet? Lui è sano? Quanti anni ha? …». La sua voce s’incrinò a metà di quell’effluvio di domande che non era riuscita a trattenere, e rifletté che certo Kirtn non aveva potuto parlarle, sebbene poche note della lingua fischiata bastassero a dare molte informazioni.

Il Bre’n annuì. «Calmati. Si chiama Ilfm. Ha usato la chiave armonica superiore, e ciò vuol dire che lei e il suo Akhenet sono sani, per quanto possano esserlo due schiavi. Nel dirmi il nome di lui non ha modulato i toni da adulto, così penso che Lheket sia un bambino. Non ha neppure usato l’armonica d’insieme, e dunque devo presumere che non conosca nessun altro di noi su questo pianeta».

Rheba si rilassò, continuando a sostenerlo. Nel camminare disse: «Lheket dev’essere il ragazzo di cui ha parlato Jal, allora».

Automaticamente si portò una mano al lobo dell’orecchio da cui non pendeva più il dono di Kirtn, la Faccia Bre’n. Jal glielo aveva tolto prima di mandarla nel Recinto, ed ora l’individuo possedeva il suo oltre a quello di Lheket.

«Possano i suoi figli diventare cenere sotto i suoi occhi!», ringhiò fra sé, inviandogli quello che era il peggior anatema dei Danzatori del Fuoco. Sulle sue braccia lingueggiarono bagliori d’energia ardenti come l’odio che le riempiva gli occhi.

Una volta tanto Kirtn non disse nulla per calmarla. L’orecchino era il simbolo di tutto ciò che i Bre’n e i Senyasi potevano essere, rappresentava il loro futuro come il loro passato, ed era il catalizzatore stesso di due personalità fatte per cercare l’unione. Kirtn ne sentiva la perdita intensamente quanto lei e forse ancor di più, visto che ne conosceva a fondo il significato recondito.

«Dobbiamo scoprire dove la tengono», stabilì Rheba. «Poi cercheremo il modo di liberare anche il suo Akhenet, e di fuggire. Ma prima pensiamo a noi». Si guardò attorno. Il locale era vasto e conteneva semplicemente del mobilio, oltre ad alcuni innocui elettrodomestici. Non c’era nulla che potesse essere usato come arma.

«Troveremo quel bambino, stanne certa». Kirtn trattenne un sorriso, notando la sua ansia. «E allora una parte della nostra ricerca sarà conclusa».

«Era là? Tu hai potuto vederlo?», chiese lei. Parlare di quell’argomento le riusciva perfino difficile, e forse proprio perché quel bambino avrebbe potuto essere l’unico padre per i suoi futuri figli. Su Deva la sua reticenza sarebbe stata impensabile: lei e Kirtn avrebbero discusso con la massima libertà le scelte dell’una o dell’altro in fatto di compagni e di amanti. Ma Deva era scomparso, e le scelte erano ridotte a niente. Domandò ancora: «È molto giovane?»

Kirtn le passò una mano fra i capelli ih una carezza dolce, che aveva anche lo scopo di toglierne la carica elettrostatica. «Non lo so. Spero di sì», aggiunse distrattamente. Poi si rese conto che poteva essere frainteso e cambiò tono. «Volevo dire che anche tu sei giovane, Danzatrice del Fuoco. E che c’è molto da …» S’interruppe di colpo. Non trovava alcun modo di dirle che, prima di dedicarsi a Lheket, sarebbe stato addirittura vitale accettare l’amore fisico del suo Mentore Bre’n, ovvero di lui.

«Sono soltanto spaventata, ecco quello che provo», mormorò Rheba. «Quanta poca tranquillità abbiamo avuto, da quando Deva è perito con il suo sole. È stata dura, Bre’n mio! Se tu trovi una compagna, e se io faccio lo stesso … tutto cambierà ancora. Oh, io so che sarà in meglio, non è vero? Ma tu sei tutto ciò che ho». Ascoltando la sua stessa voce s’interruppe, disgustata dalla propria incapacità di esprimersi con l’uomo a cui voleva bene fin dalla nascita. «Mi dispiace, Akhenet. Forse io non sono degna di te».

Kirtn rise senza allegria. «Allora anch’io non sarei degno di te. Credi che le mie paure siano tanto diverse dalle tue?»

Lei lo fissò incredula. Poi vide le rughe che gli si erano disegnate sulla fronte e intorno agli occhi, ai lati della mascherina di peluzzi dorati. Assurdamente il pensiero che egli provasse timori dello stesso genere dei suoi la fece sentire meglio. Gli passò le braccia intorno al collo, e nella sua voce vibrò una nota di orgoglio:

«Tu sei mio, Kirtn. Forse dovrò accontentarmi solo di una parte di te, ma le stelle diventeranno ghiaccio, prima che io ti lasci andare!»

Il Bre’n ricambiò l’abbraccio di lei con una forza che lo sorprese, e che lo fece sentire piacevolmente indifeso da certe sensazioni. Le mani della ragazza gli salirono fra i capelli, e solo la corona le fermò.

«Ebbene, non ne avete ancora abbastanza di scambiarvi enzimi?», berciò acidamente Jal dalla porta d’ingresso.

Rheba sentì che Kirtn s’irrigidiva. L’inaspettato ritorno dell’indisponente individuo riusciva sgradevole anche a lei. A bella posta rifiutò di voltarsi a guardarlo, e appoggiò le labbra su quelle del compagno baciandolo a lungo. La molla che l’aveva spinta a quel gesto era stata il desiderio di insultare Jal, mostrando di ignorarlo, tuttavia avrebbe dovuto ormai prevedere quel che sarebbe successo: le Linee di Potenza sulla sua pelle cominciarono a brillare, e che lo volesse o meno quello era un chiaro sintomo di passione in una Danzatrice del Fuoco.